“Che ci posso fare io? Non ci posso fare proprio niente. Perché dovrebbero prendere lo stipendio? Se non c’è la cassa integrazione. Non ci posso rimettere io. I problemi non sono miei”. Con queste dichiarazioni di Francesco Borgomeo ad una giornalista di Rete 4, è iniziata la settimana cruciale sul fronte ex-GKN, la cui vertenza si trova oggi a un bivio. Le ultime due settimane sono state un crescendo di eventi e dichiarazioni, fino all’annuncio, mercoledì scorso, della liquidazione di QF, la società che poco più di un anno fa ha acquisito lo stabilimento di Campi Bisenzio, con la promessa di trovare investitori per la sua riconversione, oppure, nel caso non si fosse verificato, di portare avanti autonomamente una reindustrializzazione.
Siamo quindi esattamente nello stesso punto di 19 mesi fa, quando Melrose annunciò lo smantellamento del sito industriale e l’avvio della procedura di licenziamento. Solo che in questi 19 mesi ne sono successe di cose e la comunità che abbracciò subito la fabbrica è ancora lì ed è cresciuta. È stata costituita una Società Operaia di Mutuo Soccorso che sta portando avanti, tra le tante attività, progetti di reindustrializzazione innovativi e con un mercato potenzialmente promettente.
Due le principali proposte: pannelli solari di nuova generazione, con una tecnologia capace di sganciare questa produzione dal circuito estrattivo, e biciclette per trasporto merci, le cargo bike, il cui prototipo è stato presentato il 12 febbraio. Questi progetti sono un dato di fatto, l’unico in 19 mesi, e adesso sta alle istituzioni prendersi la responsabilità di dare un futuro a un processo collettivo che non si è mai fermato, neanche davanti agli attacchi beceri, neanche davanti alle dichiarazioni deliranti di imprenditori e amministratori, neanche davanti a stipendi non pagati per quattro mesi.
Ricordate il Sindaco Metropolitano Dario Nardella che invitava gli operai a ritrovare un clima di serenità? La tipica serenità di chi deve fare i conti con il carovita senza nessuna entrata da ottobre scorso. Ricordate QF che accusa i lavoratori di opporsi alla cassa integrazione, quando in realtà la cassa integrazione non è mai stata concessa dall’INPS proprio perché il piano industriale non c’è mai stato? Ma questo si sa non è un problema suo, lo ha detto chiaro e tondo, mica ci può rimettere! E allora sarà un problema suo magari il fatto che davanti a progetti industriali seri e circostanziati, non si è mai presentato ai tavoli per discuterne, per capire se magari con quei progetti industriali si poteva accedere alla cassa integrazione e avviare così una reale riconversione del sito.
Il crescendo degli eventi sembra aver scosso dall’apatia le istituzioni locali, che hanno convocato lunedì scorso una riunione dell’unità di crisi in fabbrica. Poi qualcuno dovrà spiegarci com’è possibile che un incontro ufficiale della Regione si tenga in un luogo che è stato definito occupato e quindi non agibile. Forse ora le istituzioni avranno capito che se non è un problema suo, dell’imprenditore, è forse un problema loro, o meglio, più che un problema è una prospettiva, perché far tornare lì una produzione all’avanguardia, una reale riconversione green, supportata da fondi pubblici, significa dare allo Stato la possibilità di rientrare di quell’investimento, di creare un gettito fiscale che vada a vantaggio di tutti. Una visione ben lontana dalla richiesta di cassa integrazione “a babbo morto”, capace solo di spendere quegli stessi soldi pubblici per poi arrivare alla chiusura e alla perdita di 500 posti di lavoro in questo territorio.
L’alternativa alla liquidazione è il commissariamento da parte del governo, che possa così valutare seriamente le proposte di reindustrializzazione che sono arrivate in questi mesi anche alla Regione Toscana e aprire così una cassa integrazione di due anni, allo scopo di riconvertire il sito. È con questa proposta che la RSU, i sindacati e la Regione stessa si siederanno al tavolo convocato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy per venerdì 24 febbraio.
Intanto la comunità che ha abbracciato subito la fabbrica prosegue nella sua attività. Perché noi sì, lo abbiamo capito il 9 luglio 2021 che era un problema nostro, anzi che era la nostra migliore prospettiva, quella lotta che aspettavamo da tempo e che ha cambiato tutto. Insorgiamo è stato “accusato” di essere un movimento politico, quando in realtà è una presa di coscienza collettiva e una speranza, la speranza di non arrendersi all’ennesimo scempio industriale, di mettere a disposizione conoscenze, idee, passione, tempo, per arrivare a proposte concrete e fattibili per far ripartire la fabbrica e con lei, potenzialmente, tutto il resto. Ed è per questo che la comunità è ancora lì ed è cresciuta. Ed è per questo che è chiamata ancora una volta a esprimere “solidarietà, energie e forze attorno alla fabbrica”, come si legge nel post che chiama tutte e tutti all’assemblea del gruppo di supporto giovedì 23 febbraio alle 20.30 al presidio permanente in via Fratelli Cervi: “Qua noi ci giochiamo il lavoro e lo stipendio. Voi, che poi siete noi, vi giocate la possibilità di determinare il futuro di un territorio e di un paese”.