Siamo dunque a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina e ancora non si vede la fine. Dopo un anno di guerra: come uscirne? La situazione è andata peggiorando di mese in mese, e in questo anno abbiamo visto tutte le brutture che ogni guerra si porta dietro. Ci siamo più volte detti che questa non è l’unica guerra, ed è vero, che ce ne sono tante in giro sparse per il mondo anche più sanguinose, verissimo; ma non c’è dubbio che questa è diversa dalle altre, perché è combattuta da due eserciti veri, dotati delle più sofisticate armi moderne, perché è uno scontro aperto, con un fronte e movimenti di truppe corazzate.
Ma soprattutto coinvolge direttamente le due superpotenze, Russia e Stati Uniti; perché ha sconquassato tutto il mondo creando una coalizione larga di Paesi in conflitto tra di loro, anche se per ora sul campo ci sono solo ucraini e russi; perché può trasformarsi in qualsiasi momento in una guerra nucleare.
Siamo in presenza della terza guerra mondiale, non più a pezzi; se non la fermiamo in tempo coinvolgerà direttamente i nostri Paesi.
Partiamo da alcuni punti fermi:
1) la guerra inizia con una aggressione che non ha giustificazione alcuna da parte della Russia. In realtà Putin ha trascinato il suo Paese in questa avventura per le sue ambiziose mire personali di farsi passare per lo zar ricostruttore di un impero ormai antistorico, e per consolidare un regime liberticida e intollerante, che dietro la difesa del «mondo russo» nasconde l’occupazione di tutti gli spazi economici-politici da parte di una cupola mafiosa
2) la guerra trova radici nella politica di espansione della Nato a Oriente, nel ritorno di un imperialismo russo, nel risorgere di nazionalismi pericolosi e obsoleti nell’area dell’ex-URSS che da anni sono in conflitto tra loro; in realtà la guerra in Ucraina era già in corso, ma a una ben più bassa intensità
3) c’è un moto di ribellione, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, in questi Paesi, ai tentativi di imporre autocrazie che generano corruzione e chiudono tutti gli spazi di libertà. Anche in Ucraina questo fattore rende particolarmente inviso il regime russo, visto come simbolo di dittatura e mancanza di libertà. Questo sentimento è stato adeguatamente sfruttato dall’Occidente per condurre una politica di contenimento nei confronti della Russia
4) ogni persona amante della libertà e della pace non può non avere un moto di simpatia per il popolo ucraino, ingiustamente aggredito, e vede la possibile vittoria di Putin come un pericolo e un dramma non solo per noi e per gli ucraini, ma per i russi stessi. Questo non deve farci dimenticare che l’Ucraina di oggi, come Stato, non è certo un modello di libertà e democrazia; al suo interno e nel suo governo esistono forze che hanno cercato questa guerra, oltre a corruzione, e al desiderio di vendetta e di repulisti antirusso
5) il movimento per la pace è contro la guerra, ogni guerra, senza «se» e senza «ma», dunque è contro Putin che ha riportato un intero continente in guerra.
In questo anno – dopo alcuni tentativi iniziali di trattativa, non so quanto sinceri da entrambe le parti – si è chiuso ogni negoziato, mentre abbiamo assistito a un’escalation della guerra, che ha portato alla mobilitazione, per ora parziale, in Russia; l’Europa anziché cercare di fermare la guerra ha inviato sempre più armi.
Vorrei fare chiarezza su questo: io sono nonviolento, dunque non credo che le armi potranno mai risolvere alcun conflitto, e che la nonviolenza e le sue tecniche dovrebbero essere il mezzo più adeguato per rispondere alle aggressioni.
Posso arrivare a capire chi mi dice: sì, ma in questo momento se gli ucraini non avessero armi per difendersi soccomberebbero e anche la ricerca di un accordo negoziale salterebbe, in quanto Putin non avrebbe alcun interesse in essa.
Il fatto è che oggi tutti i governi occidentali senza eccezioni, al di qua e al di là dell’Atlantico vedono nella guerra l’unica soluzione: danno armi non solo per difendersi ma per poter proseguire la guerra fino alla vittoria. Considerano la vittoria militare l’obbiettivo principale da perseguire a ogni costo.
Questa impostazione fa sì che tutta l’economia si stia trasformando in economia di guerra, si rilancia in grande l’industria militare, tutti i Paesi vogliono spendere di più per la guerra, mentre si lanciano campagne di denigrazione verso chiunque parla di pace, chiunque accenna a trattative.
Al Parlamento europeo si continuano a sfornare mozioni, approvate a larghissima maggioranza, che chiedono più guerra.
È a questa campagna, a questa politica che occorre rispondere.
Come se ne esce: io vedo 3 possibili alternative:
- i contendenti si rendono conto che la guerra non conviene a nessuno e si siedono a un tavolo per un temporaneo «cessate il fuoco» e la continuazione a bassa intensità fino a che non ci si decide per una conferenza sulla sicurezza in Europa che cerchi di risolvere anche la questione ucraina
- prima o poi i russi cedono, magari sotto la spinta di tensioni interne, perdono la guerra; ciò porterebbe a una seconda deflagrazione della Russia dalle conseguenze imprevedibili
- i russi messi alla disperazione tirano fuori l’arma definitiva e ciò farebbe esplodere la terza guerra mondiale.
Come vedete l’unica soluzione che dà speranza è la prima, tanto varrebbe puntare subito su quella invece di baloccarsi in irrealistici sogni di vittoria sul campo.
L’appello e le manifestazioni a cui Europe for peace chiama nei prossimi giorni sono per rafforzare questa posizione.
Il movimento per la pace non è riuscito ancora a modificare un’opinione pubblica che sempre di più giustifica le scelte di guerra.
Occorre mettere in piedi un movimento che sia di massa, che unisca sia i nonviolenti, radicalmente contrari alle armi, sia chi giustifica la resistenza armata come extrema ratio, ma è altrettanto convinto della necessità che queste armi tacciano al più presto.
Bisogna dare la sveglia alla maggioranza dei nostri concittadini, che pur dichiarandosi contro la guerra non ritengono l’opposizione politica e culturale ad essa una priorità; convincerli che se non si muovono adesso arriverà il momento in cui qualcun altro li «mobiliterà».
Solo una forte pressione dei popoli potrà spingere i governi a imboccare la soluzione numero 1. Questo è vero in Europa occidentale come in Russia; sappiamo quanto sia difficile per gli oppositori russi alla guerra manifestare; ciononostante molti di loro affrontano la repressione con coraggio.
Noi che, ancora per adesso, siamo liberi di manifestare, dobbiamo farlo anche per loro, dobbiamo farlo per il popolo ucraino che muore sotto le bombe senza vedere la liberazione, dobbiamo farlo per salvare il mondo da una catastrofe immane, dopo la quale non ci sarà liberazione né giustizia ma solo morte e distruzione e odio reciproco per i sopravvissuti.
Siamo ancora in tempo, dunque con questo spirito riempiamo le piazze venerdì e sabato prossimi.
Paolo Candelari