Da oltre un anno e mezzo Brescia è teatro della protesta permanente contro i megadepuratori del Garda. Un presidio nel cuore della città, iniziato sotto la Prefettura il 9 agosto 2021 e considerato un record assoluto nella storia del nostro Paese per durata di una manifestazione in una pubblica piazza. L’antefatto dietro a questa azione eclatante è legato al bacino gardesano, primo lago d’Italia, che si trova ad avere una rete idrica insufficiente, a causa di decenni di sviluppo urbano selvaggio portato avanti senza alcuna pianificazione. Il risultato è lo sversamento continuo di reflui nelle acque in prossimità di abitazioni e spiagge, un tema che viene annualmente denunciato dalla Goletta dei Laghi di Legambiente e dai comitati ambientalisti locali.
Invece di potenziare e adeguare il sistema attuale, che vede la sponda bresciana e veronese dotate da quarant’anni di un unico depuratore a Peschiera, la politica ha deciso di dividere la rete di collettazione. In tal modo l’attuale impianto in funzione rimarrebbe alla parte veneta, mentre il lato lombardo dovrebbe costruire nuovi costosissimi impianti per un maxi investimento preventivato di 230 milioni di euro. A capitanare l’operazione è Mariastella Gelmini, presidente della Comunità del Garda, che ha deciso di spostare la depurazione gardesana sul fiume Chiese nei Comuni di Gavardo e Montichiari, due territori che nulla hanno a che vedere con il bacino del lago.
Questa decisione ha sollevato una clamorosa alzata di scudi da parte di sindaci e comitati: cortei, presidi, manifestazioni hanno aperto un dibattito politico che ha spaccato letteralmente la provincia bresciana, con un fronte di opposizione istituzionale che nell’anno 2020 raggiunse la contrarietà di 60 Comuni dell’Ambito Territoriale di Brescia. Al centro delle critiche c’erano le problematiche ambientali del fiume Chiese e lo spreco di denaro pubblico. La mobilitazione permise di strappare un importante risultato, quando il 30 settembre 2020 il Consiglio Provinciale di Brescia votò una mozione che impose a ciascun territorio di farsi carico della propria depurazione.
L’apertura di uno spiraglio di mediazione, tuttavia, non poteva essere tollerata dai piani alti, così Mariastella Gelmini, allora Ministra degli Affari Regionali e delle Autonomie, nel giugno 2021 ottenne dal governo Draghi il commissariamento attraverso la figura del Prefetto di Brescia. La forzatura trovò la reazione decisa del movimento contro i depuratori, che avviò un presidio permanente sotto la sede prefettizia. La protesta vide saldarsi attorno a essa il frastagliato universo ambientalista bresciano e intorno alla presenza in piazza si iniziò a formare una vera e propria comunità resistente. Il presidio si trasformò fin da subito in un’agorà permanente, capace di proseguire fino a oggi senza interruzioni, grazie all’impegno di centinaia di persone, organizzando decine e decine di iniziative pubbliche di dibattito, approfondimento e di aggregazione.
Tanti i risultati ottenuti: la trasferta a Roma alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, l’audizione in Commissione Agricoltura in Regione Lombardia, il finanziamento lombardo per uno studio ecologico del fiume Chiese, con il fine di capire il livello di impatto ambientale dei megadepuratori, fino alla formazione di un ampio fronte parlamentare per l’eliminazione del commissariamento. Di fronte a questa straordinaria esperienza di partecipazione attiva, pacifica e culturale, l’Amministrazione cittadina a guida centrosinistra, invece di riconoscere il valore sociale del presidio, ha deciso di “sfrattarlo”, dando un ultimatum con la data del 26 febbraio. Nel diniego formale degli uffici comunali le ragioni riportate sono deboli, legate a situazioni ipotetiche come “lo spazio attualmente occupato potrebbe essere utilizzato da iniziative di valore culturale”. Non è emersa una difficoltà tecnica precisa, ma una volontà politica di normalizzare lo spazio pubblico in occasione dell’anno di Brescia Capitale italiana della Cultura, dentro al progetto palese di trasformare il capoluogo in una città-vetrina, attraverso un’azione di marketing politico atta a rimuovere qualsiasi problematica ambientale e sociale del territorio.
Proprio la cornice della Capitale italiana della Cultura dovrebbe riconoscere e valorizzare un’esperienza come quella della protesta contro i megadepuratori, invece di costituire la giustificazione per la sua rimozione forzata. In risposta alla chiusura della Loggia è arrivata la replica formale del comitato di coordinamento del Presidio 9 agosto, che da un lato ha rinnovato “la massima disponibilità al dialogo e al confronto” con la giunta, dall’altro ha ribadito la necessità di proseguire la lotta in piazza Paolo VI, chiudendo con una decisa chiosa finale: “La compagine politica di centrosinistra si assumerà tutte le responsabilità politiche nel cercare di interrompere con la forza un’esperienza politica e culturale pacifica, che mai è stata causa di alcun turbamento all’ordine pubblico”.
Il riferimento è alle elezioni amministrative del prossimo giugno, quando la Loggia rischierà di tornare alla guida del centrodestra. Dal presidio arriva un appello alla solidarietà rivolto a comitati, associazioni, collettivi o forze politiche che vogliano fare sentire la loro vicinanza alla protesta in piazza Paolo VI, esempio straordinario di mobilitazione in una fase storica che vede il nostro Paese arrancare sul piano della lotta politica e della difesa dei territori.
Alessandro Scattolo