Il tuo corpo adesso è la tua casa.
Socchiudo cauta persiane come palpebre.
Accosto scuri
che scirocco insolente spalanca
e accarezzo le lastre di marmo
dell’antica cucina,
carni gelide ormai di tua passione
trascorsa.
Custodisco gli ultimi vasi in fiore
che per poco non hai visto sbocciare.
Rassetto sedie disposte negli angoli
come raccomandavi tu.
Lavo e ripiego il tuo sudario,
odoroso arcobaleno di lamenti
e docili sorrisi.
Tolgo ogni traccia
dei veleni innocenti della cura
che t’hanno affaticato le ore.
Non cancello le sbalordite carezze
con cui infine ti accompagnavamo.
Quando tutto mi appare in ordine,
rigiro incerta la chiave nella toppa:
mi sembra di rinserrarti offesa.
Tornerò,
tornerò domani …
non so a che fare …
a controllare che non s’incenerisca
l’aura di nostra
tardiva gratitudine.