Il prossimo 31 gennaio Papa Francesco si recherà in Repubblica Democratica del Congo. Un viaggio che il Pontefice avrebbe dovuto intraprendere lo scorso settembre ma che per ragioni di salute è stato posticipato.
Il programma originariamente prevedeva di visitare i luoghi in cui l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo persero la vita due anni fa in un agguato di predoni armati, mentre viaggiavano con un convoglio del World Food Programme inspiegabilmente non blindato.
A fine mese però il Santo Padre visiterà solamente la capitale Kinshasa. Goma e la zona del Nord Kivu sono stati ritenuti luoghi troppo pericolosi. La capitale congolese viene tirata a lucido, le strade vengono ripulite e le case ripitturate per l’arrivo di Papa Francesco, mentre in Nord Kivu si consuma il vero inferno.
“La visita del Papa è fondamentale, è importantissima per portare l’attenzione e per far parlare i media di cosa sta accadendo da trent’anni. Il Santo Padre potrebbe essere la vera scorta mediatica della Repubblica Democratica del Congo”. Questo è l’auspicio di 107 associazioni e attivisti congolesi. Insieme con la diaspora in Italia, hanno fatto rete e hanno fortemente voluto la Conferenza Stampa che si è tenuta mercoledi 25 scorso a Roma presso la sede della FNSI. In due ore intense i relatori hanno raccontato il Congo ai giornalisti per poi lanciare un appello: che si parli di Congo anche dopo il viaggio papale. Erano presenti John Mpaliza, ingegnere informatico e attivista per i diritti umani; Pierre Kabeza, insegnante in Congo e sindacalista che si è occupato dei diritti dei bambini in età scolare e per questo rifugiato in Italia; Micheline Mwendike, scrittrice e attivista del movimento non violento “La Lucha”; Padre Giovanni Piumatti, missionario in Nord Kivu per 50 anni; Don Antonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, già coordinatore di Pax Christi.
La guerra in Congo è stata definita “La grande guerra africana”. Si combatte da troppo tempo e in questi 30 anni la comunità internazionale ha fatto molto poco per fermarla. Il Rapporto Mapping risale oramai a 10 anni fa e non ha avuto seguito. Si tratta del rapporto delle Nazioni Unite che ha documentato con nomi e cognomi 617 crimini violenti commessi dal 1993 al 2003. In quell’arco di tempo sono stati contati 6 milioni di morti ma il documento è rimasto chiuso in un cassetto e giustizia non è stata ancora fatta. Quante altre persone sono morte in questi altri 10 anni trascorsi? Altrettanti 6 milioni? Quanti sfollati? Si stima che almeno 600 Mila persone abbiano dovuto scappare lasciando tutto quel che avevano. Dati difficili da raccogliere in ogni caso, visto che in RD Congo non esiste un’anagrafe.
La terra congolese del Nord Kivu è insanguinata da una guerra di tutti contro tutti, in cui si fa fatica a capire chiaramente chi siano i responsabili. Non è facile trovare il bandolo della matassa per risolvere i conflitti. La pace sembra un sogno impossibile in luoghi dilaniati ogni giorno dagli eccidi più crudeli e brutali che si possano immaginare. Chi ne paga le spese sono i civili. Se già il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, gli abitanti del Nord Kivu, sterminati, oramai sono abituati ad avere davanti agli occhi le peggiori atrocità e vivono nell’incertezza e nell’insicurezza croniche. Le nuove generazioni congolesi sono nate e cresciute con la guerra. “Mi porto la guerra dietro, fa parte di me”, ha detto Micheline Mwendike, che è rifugiata in Italia dopo aver vissuto anche il trauma del viaggio attraverso il Mediterraneo su un barcone passando per la Libia.
Chi sono gli attori della guerra in RD Congo?
La situazione è molto complicata. Per molto tempo, soprattutto a livello internazionale, questa guerra è stata liquidata come conflitto etnico tra Hutu e Tutsi. Di fatto, oltre all’esercito regolare della RD Congo, sul campo combattono più di 120 milizie irregolari di diversa natura, tra cui spicca il corpo paramilitare ruandese M23 (March 23). Per questo motivo molti sostengono che il conflitto venga fomentato in primis dal governo di Rwanda di Paul Kagame, con la corresponsabilità anche dei governi degli altri paesi confinanti. L’odio anti Rwanda è montato moltissimo negli ultimi tempi e la conferma che Kinshasa e Kigali siano sull’orlo di una guerra aperta è arrivata martedi 24 gennaio scorso, quando le forze ruandesi hanno colpito un aereo congolese ritenendo che avesse oltrepassato la linea di confine tra i due paesi. Le fila delle milizie irregolari vengono ingrossate arruolando ragazzini per strada mentre vanno a scuola o giocano. Quello dei ragazzi-soldato è un grosso problema. Il fatto che non siano censiti rende i bambini ancora più vulnerabili, soprattutto quelli nati in seguito a una violenza. La violenza carnale sulle donne è dilagante, è una vera e propria arma di guerra. E viene commessa, sembra assurdo, anche dai Caschi Blu della Monusco, la missione ONU nel Nord Kivu. I frutti delle violenze vengono rifiutati dall’intera società, quei bambini vengono abbandonati, vivono per strada. Paradossalmente vengono reclutati dai propri padri che li usano, li fanno combattere e morire. La corruzione a tutti i livelli è enorme e il governo di Tshisekedi dimostra di non avere la capacità e la forza, o di non volerle avere, per gestire il paese.
In tutti i casi, la guerra in RD Congo ha evidenti interferenze internazionali. Chi arma queste milizie? I ribelli nasconderebbero la mano di paesi occidentali, primi fra tutti quelli europei, seguiti da Stati Uniti, Israele, Canada. Contemporaneamente, sembrerebbe che carichi di armi vengano inviati anche da paesi come Cina, Russia, Turchia, tutti interessati al ricco sottosuolo congolese. Questo avviene nell’assordante silenzio dei media internazionali che parlano di Congo troppo poco e non sempre in maniera corretta, hanno detto i relatori della conferenza. Un silenzio definito “complice e connivente” da Tonino Dell’Olio.
Il Congo è la terra più ricca del pianeta. Nel suo sottosuolo giacciono in abbondanza moltissimi minerali, soprattutto quelli che in questo momento sono diventati indispensabili: coltan e cobalto. La tecnologia digitale e le batterie delle auto elettriche non potrebbero esistere senza. Ma in Congo si trovano anche diamanti, oro, rame, manganese, piombo, zinco, uranio. La prima bomba atomica venne fatta con l’uranio congolese. Non da ultimo, il paese è anche ricco di petrolio. Alcuni giacimenti sono stati individuati in aree del Parco del Virunga, protetto dall’UNESCO perché ospita gli ultimi esemplari di gorilla della montagna a rischio estinzione. Nonostante questo, le multinazionali petrolifere non vedono l’ora di azionare le loro trivelle.
“Il Congo è condannato non dalla sua miseria ma dalla sua ricchezza” ha detto Tonino Dell’Olio. Questo il motivo per cui, sin dal primo incontro con l’uomo bianco, il paese viene depredato, dilaniato e abbandonato in un caos perfetto per coprire traffici e orrori di ogni tipo. Traffici e orrori documentati e denunciati con tanto di video e foto dalle ONG presenti sul luogo, dai missionari, dai parroci e dalle suore che ad oggi sono i veri e propri reporter di una guerra senza inviati da parte dei media internazionali.
Quali potrebbero essere le soluzioni per portare la pace in RD Congo?
In primis bisogna continuare a parlare di Congo e della guerra, questo è il primo passo per sensibilizzare la comunità internazionale e coinvolgerla. Per Pierre Kabeza è necessario istituire un tribunale internazionale per il Congo, una commissione di verità e riconciliazione. Bisogna dare seguito al Rapporto Mapping per fare giustizia. I nomi dei criminali, secretati nel Rapporto, sono di personaggi che ad oggi ricoprono incarichi importanti e che continuano a fare il male del paese. Bisogna processarli e estrometterli.
Allo stesso tempo bisogna demilitarizzare il paese e impedire che arrivino armi. “Il Congo è troppo armato, più armi arrivano più si fa la guerra” ha detto John Mpaliza. “La guerra ha fallito – ha aggiunto Micheline Mwendike – non è una soluzione. La soluzione deve essere non violenta, bisogna dare sanzioni. Le sanzioni che sono state date fino a oggi hanno funzionato”. La popolazione del Nord Kivu è stremata, non vuole più convivere con militari di ogni tipo e ha dimostrato più volte di non volere nemmeno la Monusco, che sembrerebbe macchiarsi degli stessi crimini degli altri.
Parallelamente, un’azione importantissima per evitare le intrusioni internazionali e disincentivare l’estrattivismo è tracciare quest’ultimo. John Mpaliza negli scorsi anni ha contribuito ad un percorso di legge in questa direzione insieme all’ex Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, mancato di recente. Il precedente è stata una legge di Obama nel 2010 che obbliga le multinazionali a specificare l’origine dell’estrazione di minerali. La legge per la tracciabilità dunque aveva preso forma anche in Parlamento europeo, dapprima su base esclusivamente volontaria, in seguito resa obbligatoria ma poi inesorabilmente “azzoppata” con l’eliminazione della obbligatorietà nel 2017 (2017/821). Andrebbe resa di nuovo obbligatoria per tracciare la provenienza di tutti i minerali e ostacolarne i traffici illeciti.
Per quanto riguarda l’aiuto da parte della società civile del nord del mondo, per Padre Piumatti gli sforzi devono essere convogliati nel togliere i bambini dalle mani delle milizie attraverso la realizzazione di più centri di accoglienza, case famiglia, scuole. L’atteggiamento pietistico dell’uomo bianco che pensa di fare beneficenza a mendicanti incapaci non è più accettabile.
“Il Congo è il motore dell’Africa”, ha detto John Mpaliza. “In futuro i riflettori non saranno puntati sull’Europa ma sull’Africa. L’Europa ha una crescita demografica sotto zero e non ha le risorse che ha l’Africa. Bisogna cominciare a ragionare in questi termini e parlarne insieme adesso perché il futuro è questo”.
Il viaggio di Papa Francesco getterà una luce su tutto questo, è dovere di noi giornalisti darne seguito. La speranza è tutta nelle nuove generazioni congolesi che grazie a internet sono sempre più informate e consapevoli. Rigettano i meccanismi coloniali fac-simile e conoscono l’enorme potenziale del loro paese. Ma soprattutto, avendo davanti agli occhi il fallimento delle politiche “occidentali”, potranno costruire una nuova Repubblica Democratica del Congo evitando molti errori. Questo ci auguriamo di puro cuore.