Nel suo discorso di fine anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto riferimento alla Costituzione e alle ingiustizie determinate dalle intollerabili differenze tra i diversi territori del nostro Paese. Differenze nella diversa aspettativa di vita dei bambini del Sud rispetto a quelli del Nord (minore di 3,7 anni per un bambino di Caltanissetta rispetto a un coetaneo di Firenze), nelle cure mediche fuori Regione, rispetto al tasso di disoccupazione, all’emigrazione intellettuale, alla dotazione infrastrutturale, all’occupazione femminile, alla qualità del sistema scolastico e universitario e così via.
Alcuni Sindaci (per ora una cinquantina) hanno voluto iniziare questo 2023 proprio da questo discorso, chiedendo al presidente della Repubblica di suggerire alle forze politiche del nostro Paese di prevedere, al primo posto della loro agenda politica, misure che possano ridurre queste gravissime distanze anziché insistere su un progetto di autonomia differenziata che potrà soltanto aggravarle ulteriormente. Si tratta dei Sindaci della rete “Recovery sud” (https://movimento24agosto.it/rete-recovery-sud/), nata all’interno del Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale che punta a promuovere un’azione congiunta per il superamento degli storici divari del nostro Paese, affermando il valore della coesione nazionale e proponendo soluzioni a partire da un confronto fondato su un’ analisi più puntuale dei bisogni dei territori.
Dal canto suo, l’infaticabile ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli nei giorni scorsi si è alquanto risentito rispetto alle critiche che vengono mosse alla proposta di autonomia differenziata su cui si sta tanto spendendo in lungo e in largo per il Paese, rigettando soprattutto l’accusa di “spacca Italia” che è stata ormai affibbiata alla sua proposta. Eppure, al Ministro leghista basterebbe dare uno sguardo ai dati sulla sanità della Fondazione GIMBE per rendersi conto che le tantissime critiche all’attuale proposta di autonomia differenziata sono purtroppo del tutto fondate.
La Fondazione GIMBE ha pubblicato infatti il recente rapporto di ricerca denominato “Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in Sanità”, nel quale ha analizzato i risultati dei monitoraggi annuali del Ministero della Salute relativi all’erogazione delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire a tutte le cittadine e a tutti i cittadini gratuitamente, oppure mediante il pagamento di un ticket.
Il rapporto considera il decennio 2010-2019 ed è stato realizzato attraverso la cosiddetta “Griglia LEA”, uno strumento che consiste nell’attribuire alle Regioni un punteggio e permette di distinguere tra quelle adempienti- e dunque meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale- quelle inadempienti, che verranno sottoposte a Piani di Rientro (non sono sottoposte alla verifica degli adempimenti il Friuli Venezia-Giulia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e di Bolzano).
Dall’analisi dei dati emerge una sorta di graduatoria per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, che vede in testa l’Emilia-Romagna con il 93,4% di adempimenti e in coda la Sardegna con il 56,3% (Regione che però è esclusa dal monitoraggio LEA). Oltre all’Emilia-Romagna, si collocano ai primi posti anche la Toscana (91,3%), il Veneto (89,1%), il Piemonte (87,6%), la Lombardia (87,4%), l’Umbria (85,9%), le Marche (84,1%), la Liguria (82,8%), il Friuli Venezia-Giulia (81,5%) e la Provincia Autonoma di Trento (78,8%). Si collocano invece nella parte bassa l’Abruzzo (76.6%), la Basilicata (76.4%), il Lazio (75.1%), la Sicilia (69.6), il Molise (68%), la Puglia (67,5%), la Valle d’Aosta (63,8%), la Calabria (59,9%), la Campania (58,2%), la Provincia Autonoma di Bolzano (57,6%) e, come già accennato, la Sardegna. Nel decennio 2010-2019 la percentuale cumulativa totale di adempimento delle Regioni è stata del 75,7%, con un intervallo tra Regioni pari a 56,3%-93,4%.
Il Rapporto prende in considerazione le criticità relative all’aggiornamento, all’esigibilità e al monitoraggio dei LEA, sottolineando –innanzitutto– come non si sia mai concretizzato il loro aggiornamento continuo (assolutamente indispensabile per mantenere allineate le prestazioni all’evoluzione delle conoscenze scientifiche), come le nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica non siano di fatto esigibili su tutto il territorio nazionale, perché il cosiddetto “Decreto Tariffe” non è mai stato approvato per carenza di risorse economiche e come, infine, il Nuovo Sistema di Garanzia, ossia la “pagella” con cui lo Stato darà i “voti” alle Regioni, non sia affatto uno specchio fedele per valutare la qualità dell’assistenza.
Insomma, a sei anni dal Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 12 gennaio 2017 che ha istituito i “nuovi LEA”, le disuguaglianze regionali, in termini di esigibilità di prestazioni e servizi a carico del Servizio Sanitario dipendono dalle capacità di erogazione delle Regioni, ma anche dallo stesso impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei LEA, che alla prova dei fatti è risultato inadeguato.
Dai dati di questo Rapporto emerge chiaramente come il nostro sistema sanitario, un pilastro essenziale del nostro sistema democratico, non abbia certamente bisogno di ulteriori interventi di differenziazioni (che puntualmente porterebbero a nuove e più profonde disuguaglianze), quanto piuttosto di “riforme e innovazioni di rottura” in grado di rafforzare il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone in tutti i territori, al Nord come al Sud, evitando che si trasformi –come sta già accadendo– in un privilegio per pochi, lasciando indietro le persone più fragili e svantaggiate. Qui il Rapporto GIMBE: https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2022.02_Adempimenti_LEA_2010-2019.pdf.
Ha scritto Massimo Villone su “Il Manifesto” dello scorso 5 gennaio che nella proposta che il ministro Calderoli ha infilato nella legge di bilancio non ci sono le “materie Lep”, gli ambiti e le risorse e non ci sono i tempi. “C’è solo, ha sottolineato il costituzionalista, una via tecnico-burocratica per la definizione, per di più in una dichiarata assenza di risorse. Un percorso che vede l’adozione con decreti del presidente del consiglio dei ministri e la marginalità del parlamento, nonostante il presidio dell’art. 117.2. I Lep sono sottratti di conseguenza anche al controllo del capo dello Stato in sede di promulgazione della legge e della Corte costituzionale nel giudizio di legittimità. Si aggiunga che mettendo i Lep nella legge di bilancio il ministro sottrae il relativo procedimento anche al referendum abrogativo ex art.75”. Aggiungendo che: “Nel modello Calderoli la vera scommessa è sulla concertazione tra esecutivi, e cioè sulla trattativa con i ceti politici regionali e locali, potenzialmente interessati a frattaglie di potere. Là si cerca il consenso. Rimane invece necessario emarginare il parlamento, popolato di soggetti che nella gran parte nulla guadagnano personalmente dalla cannibalizzazione delle strutture statali”.
Per questo, va rilanciata la raccolta di firme sulla proposta di legge costituzionale popolare per la modifica mirata degli articoli 116.3 e 117 della Costituzione: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.