“Fulvio. Ti ho ritrovato con sgomento, forma indistinta sotto un telo, nella notte gelata di Venaus”. Così scriveva Nicoletta Dosio il 21 gennaio. “Investito da un’auto davanti al presidio. Intorno i lampeggianti blu dei carabinieri, un gruppetto di sorelle e fratelli No Tav increduli che di quel tuo esserci sempre con la tua ingegnosa manualità, la dolcezza che riservavi ai più inermi e la caparbietà di chi non vuole padroni, restasse solo una forma indistinta, immobile sul selciato”.
La notizia della morte di Fulvio Tapparo è arrivata come una lama a bloccare un sabato sera che doveva essere normale. Poi c’è voluta una settimana per rimettere insieme i pezzi. Fulvio da qualche anno aveva deciso di vivere al presidio di Venaus insieme a Biagio, la sua residenza risultava “in via della Casa Comunale”, un riferimento fittizio a chi non ha casa, ma Fulvio ce l’aveva eccome, anche se il presidio non poteva risultare abitazione. Storica struttura del movimento per quel permesso rilasciato nel 2005 dal sindaco di allora Durbiano come chiosco di “vendita cocomeri”.
Fulvio accoglieva amici da tutta Italia, un piatto di pasta, un posto letto. Un riferimento anche per la locanda “Credenza” a Bussoleno, per il presidio di San Didero, per l’organizzazione del Critical Wine, per il Festival Alta Felicità, per ogni iniziativa che ci si inventava. Generoso sempre, non si risparmiava così come non si sottraeva al confronto duro (incazzato nero sempre). Detestava la retorica e detestava i funerali.
Il movimento se l’è ricordato e in un sabato pomeriggio con un cielo regalato azzurro che sbatteva contro le montagne, ha atteso il feretro, davanti al presidio. Per musica una “battitura” che ricordava le presenze ai cantieri. La cassa di legno è stata messa su una poco cerimoniosa Apecar. Mezzo glorioso, amico di tante incursioni, capace di transitare su sentieri montani in aree militarizzate. Della sua avversione per i complimenti, le cerimonie, per i discorsi troppo lunghi, il movimento se l’è ricordato e il saluto di tanti che si sono succeduti al microfono è stata la cosa più lontana dalla retorica che si possa immaginare.
Un lungo elenco di risse, litigi, discussioni, parole che denunciavano ancora di più un affetto enorme, un riconoscimento vero alla persona e tante risate. Come quella volta che il Nucleo Pintoni Attivi (età media dei suoi componenti, dai settanta agli ottantacinque anni), si erano mascherati da black bloc con passamontagna e giacche a vento rigorosamente nere. Una presenza organizzata al cantiere di notte per rispondere al fermo di ragazzi avvenuto pochi giorni prima. Ovviamente il gruppetto era stato bloccato dai poliziotti, fatti stendere a terra in attesa di rinforzi. Ricordava oggi Mimmo: “Ad un certo punto Fulvio mi dice: Toni si è addormentato, sta russando. Siamo scoppiati a ridere, i poliziotti erano increduli, cos’hanno da ridere questi? Hanno capito il perché quando ci hanno tolto i passamontagna e hanno visto la nostra età… non potevano crederci”.
Nicoletta, Franco, Alberto, Avernino sindaco di Venaus e poi da Bologna, da Modena, da Roma, il microfono passa da uno all’altro per ricordare Fulvio. Fra questi anche un ragazzo che racconta la sua esperienza di eroinomane ventenne e di come ne sia uscito riprendendosi la vita grazie a Fulvio, allora dirimpettaio di casa, compagno di ciucche e di vita lontana dall’eroina. Gli fa eco una ragazza: “In questo presidio ho trovato più casa di casa mia più famiglia che a casa mia”. Riparte la battitura, ma prima Emilio ricorda a tutta quella marea di persone commosse, stranite, che non sanno se ridere o piangere e fanno corona ai ricordi e a Fulvio chiuso nella cassa che “dobbiamo volerci bene da vivi”. Perché abbiamo la fortuna di vivere in una comunità bella e forte. Mariano decide di fare l’ultimo dispetto al morto e intona Se Chanto, inno Occitano che Fulvio non sopportava più perché “due palle”… “Abbassatevi montagne. Alzatevi pianure. Affinché io possa vedere dove sono i miei amori…”
Il figlio di Fulvio, Daniele, ha ringraziato il movimento dedicando a suo padre una frase dal film Big Fish: “C’è un tempo in cui un uomo deve lottare e un tempo in cui accettare la sconfitta quando la nave è salpata solo un matto può continuare a insistere. Ma la verità è che io sono sempre stato matto…”.
Intanto in questi giorni a Torino continua uno dei processi contro il Movimento Notav e gli attivisti di Askatasuna, accusati di aver rallentato i lavori dei cantieri del Tav con azioni dimostrative e soprattutto, di conseguenza, aver costretto i poteri dello Stato a una militarizzazione del territorio. La deposizione di un funzionario Digos rende pubblici i dati: le forze dell’ordine avrebbero impegnato, a turno e a rotazione, fino a 266mila operatori in un solo anno. I costi sono stati poi utilizzati per quantificare la spesa del ministero che arriva ad una cifra enorme: 8 milioni di euro, comprensivi di personale, vettovagliamento, indennità, reparti e funzionari in trasferta, ecc. ecc. Il progetto del Tav, buco nero di soldi pubblici, è parte di quello che viene sottratto alla sanità, alla spesa sociale… Ma niente paura, il conto da pagare verrà richiesto al Movimento No Tav che già si prepara a svuotare i salvadanai.
Ciao Fulvio.