Le cosiddette “soluzioni” alle crisi della biodiversità e del clima sono in fase di sviluppo non per la protezione della diversità biologica, ma per assicurare la continuazione insostenibile dello status quo.
Il Quadro globale per la Biodiversità che è stato negoziato alla COP15 include proposte relative al “business per la natura”, altrimenti dette “politiche imprenditoriali nature positive”; poi altre relative al programma “30×30” (proteggere il 30 % delle superfici terrestri e marine entro il 2030, ndr) e alla biotecnologia per la protezione della biodiversità. Vengono avanzate come “soluzioni” centrali alla crisi della biodiversità, anche se sono state progettate per protrarre lo status quo tramite la promozione di compensazioni, accaparramento di terreno e nuove tecnologie pericolose e non sperimentate. Esse costituiscono una minaccia alle popolazioni indigene, alle comunità locali, alla biodiversità e al clima, secondo quanto sostenuto dagli esperti provenienti da quattro continenti.
«L’espansione delle cosiddette “aree protette” e delle compensazioni, contenute nei concetti di soluzioni “nature positive” o “basate sulla natura”, non hanno nulla a che fare col frenare la perdita di biodiversità. Stanno solo aprendo la strada al business e stanno rendendo possibile la continua distruzione della biodiversità e le emissioni che causano il cambiamento climatico, attraverso la promozione di aree protette come compensazioni della biodiversità». Questa la dichiarazione di Souparna Lahiri della Global Forest Coalition. «Se si vuol davvero proteggere e conservare la biodiversità, dobbiamo effettivamente frenarne la perdita».
Il rapido avanzamento di nuove tecnologie estreme e non sperimentate sta provocando appelli per l’applicazione del principio di precauzione, tra cui esaminare le prospettive all’orizzonte al fine di identificare e tenere a freno le nuove tecnologie emergenti prima che vengano messe in pratica.
«Le nazioni che stanno negoziando la protezione della biodiversità globale devono aderire al Principio di precauzione su cui è stata fondata la CBD (Convenzione sulla Diversità Biologica). La formulazione del testo qui concordata deve assicurare che la società costruisca meccanismi di partecipazione per individuare le tecnologie rischiose all’orizzonte; monitorare quelle in sviluppo, come gli organismi con unità genetiche ingegnerizzate, e monitorare eventuali impatti dannosi in quelle esistenti. Le conseguenze disastrose sulla salute e l’ecologia negli ultimi vent’anni delle coltivazioni OGM sono una lezione su ciò che succede quando nessuno di questi tre processi viene svolto efficacemente; un esempio è stato quanto accaduto in Kenya in novembre» (con mais OGM, n.d.r). Questo è quanto detto da Tom Wakeford dell’ETC Group.
Preoccupazioni specifiche riguardano gli impatti delle nuove tecnologie di ingegneria genetica sugli agenti impollinatori.
«La proposta di introdurre in foreste naturali dei castagni americani geneticamente modificati, progettati per diffondere e contaminare i loro corrispettivi naturali, è un esempio reale della necessità di applicazione del principio di precauzione. Sarebbe la primissima introduzione di una pianta OGM allo scopo di riproduzione in natura e non ci sono state valutazioni sui rischi relativi agli impatti a lungo termine sugli ecosistemi della foresta, sulla biodiversità, sulle comunità locali o sugli impollinatori che mangerebbero il polline degli alberi geneticamente modificati». Questo il contributo di Anne Petermann del Global Justice Ecology Project.
Di seguito un riepilogo dei punti toccati dall’appello degli scienziati e degli esperti di politiche, che chiedono ai leader mondiali alla COP15 di applicare il principio di precauzione sulle biotecnologie che potrebbero danneggiare gli insetti impollinatori:
«L’introduzione di organismi, prodotti o componenti ottenuti attraverso biotecnologie genetiche potrebbe amplificare gli attuali fattori stressanti affrontati dagli impollinatori. Non è possibile fornire valutazioni di rischio robuste e affidabili per assicurare che il declino degli impollinatori non sia ulteriormente accelerato dall’introduzione di queste biotecnologie. Perciò ci dev’essere un’applicazione rigida del principio di precauzione dell’ONU».
«Nell’agricoltura le biotecnologie genetiche sono orientate al mantenimento dello status quo: enormi monocolture che stanno distruggendo la biodiversità. Alla COP15 dovremmo concentrarci su come riprogettare paesaggi funzionali per conservare e restaurare la biodiversità e allo stesso tempo produrre abbastanza cibo nutriente. Ci sono molti esempi di aziende agroecologiche in giro per il mondo, le quali dimostrano che ciò è fattibile», ha aggiunto Lucas A. Garibaldi, co-presidente dell’IPBES e co-autore dell’appello.
La Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica (CBD) dell’ONU, tenutasi a Bonn in Germania nel 2008, aveva preso una decisione riguardo gli alberi geneticamente modificati, in cui sollecitava le nazioni ad adottare un approccio cauto a causa della scarsità di informazioni relative agli impatti degli alberi geneticamente modificati sulla diversità biologica delle foreste o sulle popolazioni indigene e sulle comunità locali. Nonostante ciò, le società e i ricercatori negli Stati Uniti e in Brasile stanno portando avanti progetti per l’introduzione su grande scala di alberi geneticamente modificati.
Traduzione dall’inglese di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.