Il gelo che ha ricoperto la costa occidentale degli Stati Uniti lasciando decine di morti e distruzione non è diverso, nei suoi effetti devastanti, dal calore che ha avvolto la costa orientale poche settimane prima.
E così è ovunque nel mondo.
Siccità lunghe mesi e piogge torrenziali, neve in quantità abnorme e scioglimenti dei ghiacciai.
Il contrasto sembra essere il tema di inizio secolo, una sorta di contesa tra gli estremi.
L’immobilità relazionale ed esistenziale per le pandemie nei paesi più ricchi e le fughe smisurate e snaturate dai paesi più poveri a causa di guerre e carestie.
I record di accumulo di denaro di pochi ultramiliardiari e la crescente povertà di sempre più vaste fasce della popolazione che ormai ha raggiunto persino coloro che hanno un lavoro stabile.
La facilità di accesso alle informazioni da parte del grande pubblico mediante le nuove tecnologie ed il carcere o la morte per chi diffonde notizie scomode ai governi.
L’evidenza delle conseguenze mortifere delle guerre ed una corsa alle armi che non si ferma ed ha raggiunto quote della spesa pubblica mai viste prima.
L’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia fossile ed il soffocamento delle energie rinnovabili.
Tutto è manifesto contrasto.
Troppo manifesto.
Troppo contrasto.
Ma in realtà sembra che molta parte della popolazione, colpita da uno o da più di uno degli elementi prima descritti, non reagisca nel modo adeguato, che non è quello della semplice sopravvivenza, piuttosto quell’istinto che ti permette di comprendere la forza del tuo nemico, il valore delle tue qualità, gli elementi circostanti, e di predisporre risposte efficaci.
Come efficaci sono la Resistenza, la Ribellione, la Rivoluzione.
Come invece non lo è la rassegnazione.
Rassegnazione, un atteggiamento letale, tanto nelle nostre singole vite quanto nei momenti storici come quello che stiamo attraversando: la più grande crisi nella storia dell’umanità.
Rassegnazione che deriva certamente da una sorta di assuefazione: siamo testimoni delle peggiori ingiustizie, siamo vittime dei più impietosi traumi, ed in alcuni casi siamo costretti ad essere complici dei più crudeli crimini. Ogni giorno, per ogni singolo atto sociale della nostra esistenza. E a ciò ci abituiamo, ne diventiamo persino dipendenti.
Mentre la Coscienza, ovvero ciò che ancora ci appartiene davvero, la teniamo al sicuro, nascosta, in catene, e pensando di proteggerla la affamiamo e la assetiamo, fino a non poter più udire la sua ormai fievole voce.
Poi finiamo per lamentare l’assenza di quella voce a livello collettivo e coinvolgiamo gli altri nell’annichilimento, ovvero la perdita di ogni volontà e capacità di reazione, che per essere più efficace non deve essere solo nostra, ma condivisa, diffusa, fino a diventare un tratto distintivo, ed essere persino orgogliosi di mostrare agli altri la nostra apparentemente ragionata consapevolezza che le cose non cambieranno mai e che opporsi ad esse è addirittura inutile e stupido.
Perfezioniamo le tecniche per addormentarla: la commiserazione, la colpa, l’impotenza, la negazione e la migliore di tutte, il senso di invincibilità.
Tutti comportamenti che possono essere tradotti nel linguaggio ordinario e quotidiano…
“Sono affranto e disperato”.
“È colpa mia”.
“Non posso farci niente”.
“Non è vero”.
“A me non succederà”.
Tutte armi che utilizziamo per ferire la nostra unica alleata, la Coscienza, chiusa nella gabbia dei preordinati e convenzionali ritmi collettivi, nascere, crescere, procreare e morire, ai quali da tempo abbiamo sottratto il piacere per sostituirlo con il produrre.
Le logiche neoliberiste e capitaliste che hanno creato questo annientamento del pensiero ne traggono ulteriore forza e si diffondono: prova ne è la crescita in molte parti del mondo dei partiti di destra e conservatori, funzionali al sistema del profitto ad ogni costo.
Ma per comprendere fino in fondo la fallacità di questo atteggiamento individuale e collettivo, possiamo provare a pensare cosa sarebbe accaduto se fosse stato adottato dalla Palestina, dal Tigray, dallo Yemen, dai paesi dei Caraibi e del Sud America, dall’Africa.
Proviamo a pensare cosa sarebbe accaduto se si fosse comportato così Julian Assange.
Proviamo a pensare cosa sarebbe accaduto ai movimenti ambientalisti.
Proviamo a pensare, proviamo ad immaginare.
Ecco, immaginiamo.
È lì che liberiamo di nuovo la coscienza, quando la immaginiamo libera.
È lì che la rinvigoriamo, quando la immaginiamo insieme ad altre coscienze.
La prima conseguenza con cui dovremo fare i conti è il dolore.
Per non aver agito prima, per le vite perse, per quelle che potremmo perdere, per le perdute occasioni…
Il dolore è il segno della nostra capacità di vincere quelle sfide perché è il sintomo del fatto che le stiamo affrontando.
Accettiamo quel dolore, comprendiamone l’importanza, condividiamone l’insegnamento.
E gioiamo.
Gioiamo dell’opportunità che abbiamo di cambiare le cose.
Proviamo infatti dolore perché proviamo gioia. Gioia per la vita. Esaltazione per la sua bellezza.
È dolore, ma anche gioia.
Ecco perché il nostro proposito per il 2023 è quello di accettare il dolore, immaginare e gioire.
Ogni persona scelga in quale ordine.
Accettare il dolore del mondo e di ogni essere vivente.
Immaginare un mondo diverso, crearlo nella nostra mente e nel nostro cuore.
E gioire nel cambiare tutto ciò che possiamo.
Scopriremo così di poter cambiare molto più di quanto ci inducono a pensare.
Accettare il dolore, immaginare e gioire.
Scopriremo così che possiamo vincere.
E sì, vinceremo.
Vinceremo.