Ecco di seguito la seconda parte dell’intervista sull’ecologia induista con Gloria Germani, ecofilosofa impegnata da sempre nel dialogo tra Occidente e Oriente, allieva del filosofo Serge Latouche, dell’ecologista svedese Helena Norberg Hodge e di Tiziano Terzani, del cui pensiero è tra le massime esperte. È attiva nei movimenti deep ecology, nella Rete per l’Ecologia Profonda, in Navdanya International e nell’Associazione per la Decrescita. Dagli anni 2000 si interessa vivamente al campo dell’educazione, frequentando come genitore e attivista le scuole steineriane e dal 2017 è funzionario coordinatore del Progetto Alice Universal Education School per un’educazione non-dualistica, eco-centrica ed olistica. È praticante dell’Avdaita Vedanta (Via della Non-dualità), la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta dell’induismo.
La prima parte dell’intervista si può leggere qui.
Nei riti induisti piante e animali (vacche e topi) sono molto presenti e l’India, grazie all’induismo, è la culla del vegetarianesimo. Alberi, boschi, laghi, fiumi e montagne sono considerati sacri. Quale ruolo rivestono?
L’Occidente è abituato a pensare Dio in forma antropomorfa, un dio Creatore che crea un mondo separato. Anzi, ancora riecheggiano nel nostro subconscio le parole della Genesi: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». In India invece le rappresentazioni del divino, di Shiva, di Vishnu, sono sempre accompagnate dalla paredra o Shakti (l’energia o potenza femminile), tanto che un dio senza shakti è considerato un cadavere.
In più il dio ha sempre accanto un veicolo animale: un toro, un cavallo, un topo e tantissime altre forme. Anche questo caratteristica iconografica non fa che sottolineare l’unità e l’interdipendenza di tutto ciò che vive, insieme alla sua profonda bellezza e magica fecondità. Non solo, secondo la tradizione induista l’essenza divina può discendere sulla terra in qualsiasi tempo e in molteplici forme. Gli avatar, appunto, non hanno solo fattezze umane come Krishna, e anche Buddha o Cristo, ma persino forma di cavallo, di cinghiale, di tartaruga, di pesce, etc. (sono i famosi dieci avatar di Vishnu).
In questo contesto culturale, il vegetarianesimo è una necessità semplice e naturale. Le leggi di Manu, il testo di etica più importante che risale almeno al III secolo a.C dichiara:” Si diventa degni della salvezza quando non si uccide alcun essere vivente” [1] , e la tradizione non condanna soltanto coloro che mangiano la carne, ma chi uccide l’animale, chi vi partecipa, chi compra la carne, chi la prepara e chi la serve. Infatti viene violato il principio dell’ahimsa, della nonviolenza che, come tutti i precetti indù, non riguarda solo le azioni, ma anche i pensieri, le parole e le intenzioni. Da tempi immemorabili, il vegetarianesimo in India è praticato da gran parte della popolazione, perché uccidere esseri senzienti significa macchiarsi di impurità e condannarsi ad un karma negativo nel continuo divenire e interagire del cosmo.
La filosofia Advaita Vedanta per cui tutto è Uno, trova attuazione concretamente persino nella relazione con montagne, fiumi e laghi. Per fare qualche esempio tra i più famosi, il fiume Gange è sacro, è la dea Ganga, principio femminile, portatore di vita; Il monte Kailash è sacro, è l’emanazione di Shiva, come l’Arunachala nel sud dell’India. Il lago Monasarovar fu creato nella mente del Signore Brahma ed è venerato come fonte di purezza e di saggezza. Questo approccio non è affatto “primitivo”, ma piuttosto fondamentale per mantenere una vera visione ecologica. Oggi noi abbiamo materializzato e sfruttato tutto e anche Serge Latouche parla della necessità di Reincantare il mondo.[2]
Nell’induismo non vi è il concetto di male, i lati negativi dell’esistenza sono visti come prodotti dall’ignoranza (avidya). Se per l’Occidente la società industriale è l’esempio/il frutto dello sviluppo economico, di prosperità e della capacità tecnica umana, per l’ecologia induista la crisi ecologica è frutto dell’ignoranza?
Grazie per questa domanda cruciale, perché tocca un tratto peculiare del pensiero indù (condiviso anche dal buddhismo) molto diverso dalle idee occidentali. Noi pensiamo che l’uomo sia indipendente e abbia la libertà di scegliere, talvolta anche il male, oppure che ci sia un principio negativo – Satana – che attrae l’uomo verso il male. In India invece tutto si gioca solo sul piano della conoscenza: non la conoscenza dell’utile, del mondo esterno, la conoscenza scientifica – che per l’Advaita rappresenta solo “il piano grossolano dell’esistenza” – ma la conoscenza ultima per cui Tutto è Uno e che coincide con la realizzazione del vero Sé (atman).
La crisi dell’ecosistema che si aggrava ogni anno di più non è quindi il frutto delle azioni di uomini cattivi (neoliberisti, capitalisti, turbocapitalisti, massoni etc.), ma la conseguenza di una conoscenza sbagliata: aver preso il livello fenomenico, della percezione, come l’unica Realtà. In India, è soltanto attraverso la conoscenza che si diventa davvero liberati e si raggiunge quello stato di somma felicità che è il fine ultimo di tutta la civiltà indiana. Il mondo fenomenico è considerato sempre un effetto dell’ignoranza (avidya) e altrettanto lo è quell’ego interiore (ahankara) che ovunque viene scambiato per il vero Sé. Maya, l’illusione, inganna le facoltà percettive e razionali. Il Sé, l’Atman, è nascosto molto in fondo. Ma non appena viene riconosciuto, l’ignoranza e l’illusione scompaiono. Allora (come ci insegna la fisica quantistica) il cosmo si manifesta come un tutt’uno di energia vibrazionale in perenne movimento. Quindi la tua impostazione è perfettamente corretta: la crisi ecologica è il frutto della completa ignoranza.
La società industriale si è persa per via di una conoscenza dualistica, ha erroneamente creduto che il mondo esterno fosse l’unico reale, ha creduto nel progresso economico e nella tecnica che agisce solo a livello dello stato grossolano dell’esistenza. Come sostengo da tempo, la crisi ecologica del mondo moderno è il risultato di un errore conoscitivo.
O forse, andando ancora più a fondo a livello psicologico, alla base della ricerca di dominio del mondo esterno e della concezione ciecamente ego-centrica del pensiero economico, ci sarebbe un trauma collettivo che ha posto in dubbio la possibilità di fidarsi degli altri e di instaurare una relazione empatica e affettiva con gli altri e con il tutto. Invece del Sé, in Occidente abbiamo sviluppato un ego sostanzialmente narcisista e carente di principio di realtà.
Secondo alcuni esperti, in India le pratiche tradizionali indù dell’avere cura della Natura stanno per essere dimenticate e di conseguenza la sopravvivenza degli uomini sta diventando più difficile. Credi che sia così? Le origini della perdita stanno nella Green Revolution?
Sicuramente le pratiche indù si stanno perdendo e l’ho potuto vedere con i miei occhi, nel giro di trent’anni, viaggiando in India. Certe usanze semplici, la presenza degli animali, mucche, capre, galline, le case fatte con i sistemi antichi e materiali biologici e funzionali, la sapienza delle erbe, molto di questo sta sparendo, rimpiazzato da costruzioni di palazzoni, igiene, individualismo e vestiti all’occidentale. Non accade ovunque, ma l’India legata alla Natura che ho visto trent’anni fa è molto cambiata.
Tuttavia non credo che la responsabile sia la Green Revolution, che pure è stata imposta ai contadini in molti Stati indiani attraverso metodi di produzione industriale. È un processo ben più potente e insidioso. È la scienza moderna che avanza e che fa apparire le sapienze tradizionali come arretrate e retrograde. Fino al 1994 l’India ha mantenuto una certa autonomia, una sua maniera di vivere, per via della lezione di Gandhi, per via dei legami forti con la Russia, ma poi ha dovuto aprire le porte alla globalizzazione. Ovunque vi sono grandi cartelloni che pubblicizzano le scuole di “Science and Technology” e i media hanno fatto il resto. Anche Terzani che viveva in Asia dal 1971 non aveva dubbi. “Uno dopo l’altro, i vari Paesi dell’Asia hanno finito per liberarsi del giogo coloniale e mettere l’Occidente alla porta. Ma ora? L’Occidente rientra dalla finestra e conquista finalmente l’Asia non più impossessandosi dei suoi territori, bensì della sua anima. Lo fa ormai senza un piano, ma grazie ad un processo di avvelenamento contro cui nessuno ha trovato per ora un antidoto: l’idea di modernità. Abbiamo convinto gli asiatici che si sopravvive solo essendo moderni e che l’unico modo di essere moderni è il nostro: il modo occidentale.[3]
E così una civiltà millenaria che si inchinava davanti ai sadhu, i rinuncianti, i liberati in vita, si ritrova oggi a correre dietro ai conigli di plastica del falso benessere dei consumi… inondata dalla spazzatura e dai rifiuti del sistema industriale. La cura della Natura, la sua sacralità, sembrano oggi cose antiquate e sorpassate.
Tra i maggiori esponente dell’ecologia induista vi è l’ambientalista e scienziata indiana Vandana Shiva, da sempre attiva per la sovversione del paradigma riduzionista dell’agricoltura. Come si può riassumere il suo pensiero tra ecofemminismo, ecologia femminista, ecologia sociale, ecologia profonda e fisica quantistica?
Ho iniziato a seguire Vandana dagli anni ’90, quando si unì al movimento delle donne Chipko, che abbracciavano gli alberi per impedire che fossero abbattuti per creare grandi appezzamenti per l’agricoltura industriale. Aveva scritto un libro Sopravvivere allo sviluppo. Oggi sono sua amica e sono felice di far parte della sua organizzazione, Navdanya International.
Vandana è nata alle pendici dell’Himalaya e suo padre era responsabile delle foreste per un dipartimento statale. Alla sua formazione indù – di cui fa sempre mostra, sfoggiando il rosso bindu sulla fronte – ha aggiunto la specializzazione in fisica quantistica. Questa combinazione tra fisica quantistica e Tutto è Uno del Sanathana Dharma è stata veramente esplosiva e ha dato forma a uno degli oratori più importanti dell’Asia e del mondo. Giustamente a suo proposito hai parlato di ecofemminismo ed ecologia femminista. Il vero senso del femminile, della Shakti, della potenza creatrice è, insisto, nell’idea di Natura che ci connette tutti (prakriti in sanscrito) e quindi direi che l’ecologia tiene vive le istanze del femminile più autentico. Lo stesso dicasi per l’ecologia profonda e la fisica quantistica.
Laddove ci stacchiamo dall’idea di un Io separato che studia un Ambiente esterno, allora troviamo l’Ecologia Profonda e capiamo che siamo parte di un tutt’Uno, che siamo completamente parte dell’Ecosfera. Vandana ha spesso ripetuto che “la visione del mondo materialistica, specialistica e meccanicistica – che sta alla base della scienza moderna e dell’industrializzazione –è responsabile delle numerosi crisi che il mondo attuale sta vivendo”.[4] Soprattutto nell’ultimo, bellissimo libro: Dall’avidità alla cura[5] Vandana sostiene con forza che il pensiero baconiano-cartesiano o cartesiano-newtoniano sta alla base del colonialismo, dell’agricoltura industriale, ma anche della rivoluzione digitale e del machine learning con le loro disastrose conseguenze. Questo pensiero separativo, che vede la natura come materia da sfruttare, che toglie la vita per estrarre profitto, ha prodotto 500 anni di colonizzazione, 300 di industrializzazione e 30 di globalizzazione. Il Big Tech è completamente figlio dello stesso tipo di pensiero e quindi non dobbiamo sperare in soluzioni tecnologiche: occorre cambiare il pensiero. Come ci insegna l’Advaita, dobbiamo lasciare l’ignoranza che crede nel nostro piccolo Io, fatto di attaccamento e avidità, per scoprire al di sotto il nostro vero Sé – l’atman – che è apertura, che è cura, e che è una cosa sola con l’immensa e pulsante vita del cosmo. Aprirsi a questo è il vero fine e la vera felicità.
[1] Manusmriti, 6,60
[2] S.Latouche, Come reincantare il mondo, La Decrescita e il sacro, Bollati Boringhieri, 2020
[3] T. Terzani, Un indovino mi disse, Longanesi, 1995, p. 69.
[4] AAVV, Manifesto sul futuro dei sistemi di conoscenza, 2009.
[5] V.Shiva, Dall’avidità alla cura. La rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile, EMI, 2022