Tutto va bene madama la marchesa. È questo il succo di un comunicato ufficiale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulle condizioni di Alfredo Cospito in sciopero della fame dal 20 ottobre con 42 chili persi. “Risulta a questa direzione che le condizioni del detenuto Alfredo Cospito al momento siano stabili e che lo stesso riferisce benessere psico-fisico” si legge nella nota inviata all’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini. “Il soggetto appare tranquillo” si legge nella presa di posizione assunta formalmente dal Dap ieri mentre il giorno prima, nel cercare di smentire senza peraltro riuscirci la diffida al medico di fiducia per l’intervista rilasciata a Radio Onda d’Urto, il dipartimento si era espresso attraverso le agenzie di stampa come non meglio definite “fonti”.
Insomma una sorta di gioco a nascondino, di dire e non dire ufficialmente che dovrebbe essere estraneo a un apparato dello Stato. “Cospito continua le attività sociali e usufruisce del tempo di permanenza nei passeggi – prosegue il Dap – È regolarmente seguito sia dal cardiologo della ASL sassarese che dal cardiologo di fiducia e le prescrizioni di entrambi vengono scrupolosamente osservate. In caso di necessità la richiesta di trasferimento presso altro istituto penitenziario dotato di assistenza intensivo potrebbe essere avanzata dal competente dirigente sanitario dell’istituto”. In realtà il trasferimento in una prigione dotata di centro clinico è già stato chiesto formalmente dall’avvocato difensore, Flavio Rossi Albertini, che replica brevemente: “I toni rassicuranti del documento del dipartimento destano stupore e sconcerto perché contrastanti con le informazioni in possesso della difesa. La nota ministeriale rappresenta inoltre una ostentata assunzione di responsabilità per ogni conseguenza del caso. Il riportare che Cospito riferisca un benessere psicofisico per giustificare l’inerzia, dimostra la mancanza di conoscenza delle conseguenze di un prolungato digiuno”.
Quella del Dap sembra il quadro di un paziente ricoverato in una casa di cura con qualche problema e non quello di un detenuto che sta mettendo a rischio l’incolumità e la vita per tutelare i suoi diritti e i diritti dei quasi 800 “ospiti” del 41 bis. Comunque oggi pomeriggio come ogni giovedì Cospito sarà visitato dalla cardiologa di fiducia Angelica Milia che relazionerà l’avvocato, sperando che non venga diffidata persino da questa attività. La dottoressa spiega di essere scettica su quanto afferma il Dap secondo cui i parametri sarebbero nei limiti, aggiungendo che i medici del carcere si sono detti favorevoli al trasferimento in una prigione con un centro clinico dopo aver cercato di dissuadere Cospito dal proseguire il digiuno. Intanto la Cassazione ha fissato al 20 aprile prossimo l’udienza in cui sarà discusso il ricorso presentato dalla difesa contro il provvedimento con cui il Tribunale di Sorveglianza aveva confermato l’applicazione del regime di carcere duro previsto dall’articolo 41 bis del regolamento penitenziario. Si tratta di un termine di tempo lunghissimo altamente incompatibile con le condizioni di salute di un recluso in sciopero della fame ora da quasi 100 giorni.
Anche se i tempi della Suprema Corte sono questi per tutti i tipi di ricorsi la questione resta drammatica con il rischio di finire in tragedia. La difesa comunque chiede di anticipare la data a causa delle ragioni di salute del detenuto. A Cospito arriva la solidarietà degli imputati del processo al centro sociale torinese di Askatasuna. “Solidarietà e sostegno alle battaglie di civiltà contro l’ergastolo ostativo e il 41 bis”. E dopo le prese di posizione dei consigli comunali di Torino e Nuoro per la revoca del 41bis a Cospito il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo invita a fare altrettanto il consiglio comunale di Pescara la città natale dell’anarchico. “Non si tratta di simpatizzare con le idee e le azioni di Cospito ma di chiedere l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione che prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”.
Fonte Il Riformista