1. Il 2 gennaio scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dopo la firma del Presidente della Repubblica il Decreto legge n.1 del 2023,recante “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”,che mette nelle mani dei prefetti, e dunque al ministero dell’interno, la definizione, caso per caso, delle regole dei soccorsi in acque internazionali operati “in via sistematica”, quindi con evidente valenza discriminatoria, in quanto contiene prescrizioni derogatorie di Convenzoni internazionali e di Regolamenti europei, soltanto nei casi di interventi di ricerca e salvataggio in acque internazionali operati dalle Ong. Allle quali per determinazione di un organo amministrativo interno, non sarebbero sempre applicabili le regole generali sui soccorsi in mare, sancite dalle Convenzioni internazionali ( per le quali si rinvia al Manuale IAMSAR) e dai Regolamenti europei, ai quali ocorre fare diretto richiamo, con una evidente limitazione della sovranità nazionale, in base all’art.117 della Costituzione italiana. Quando il rovesciamento tra vero e falso, tra norme internazionali e provvedimenti amministrativi, con una completa sovversione dell’ordine gerarchico delle fonti arriva a questi livelli, siamo fuori da quello che intendevamo come Stato democratico e democrazia costituzionale. Adesso i prefetti di polizia, su precise direttive del ministro dell’interno, potranno decidere quello che vogliono in materia di soccorsi in mare, non si sa sulla base di quali competenze, e limitare diritti ed obblighi di soccorso previsti da norme di rango costituzionale e da Regolamernti europei, norme che sono tanto vincolanti per il legislatore, ed a maggior ragione per le autorità amministrative, come i principi affermati nella Costituzione. Con il nuovo “codice di condotta” imposto per legge alle ONG si vorrebbero creare i presupposti di violazioni amministrative, ma in ipotesi anche penali,il cui accertamento, affidato ai prefetti, potrebbe portare dopo il primo fermo amministrativo, al sequestro ed alla confisca delle navi, e forse anche a nuove denunce all’autorità giudiziaria. Si registra comunque una netta inversione di rotta, dopo il fallimento dei primi provvedimenti amministrativi sugli sbarchi selettivi, adottati dal nuovo governo a fine ottobre dello scorso anno, con cui il ministro dell’interno Piantedosi voleva limitare le attività di ricerca e salvataggio delle ong impegnate nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale . Il Decreto legge n.1 del 2023 abroga alcune norme contenute nel Decreto immigrazione n.130 del 2020, che già recepiva buona parte del Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, e aggiunge una serie di disposizioni, all’articolo 1 comma 2 del Decreto che sembrano costituire una sorta di Codice di condotta imposto per legge alle Organizzazioni non governative che operano soccorsi in acque internazionali. Si potrebbe dire che, molto rapidamente, dagli sbarchi selettivi si è passati ai soccorsi selettivi, ulteriore manifestazione di politiche disumane in violazione di consolidati principi sugli obblighi di soccorso a salvaguardia della vita umana in mare.

 

2. Del Decreto sicurezza bis di Salvini n.53 del 2019,e quindi del Decreto legge n.130 del 2020,per come convertiti poi in legge, rimane in vigore la previsione fondamentale che, basandosi su una interpretazione fuorviante dell’art. 19 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), riserva al Ministro dell’interno la possibilità di vietare l’ingresso nelle acque territoriale alla nave battente bandiera straniera che abbia operato salvataggi in acque internazionali, a meno che non ricorrano precise condizioni che permettano di (non) considerare (non) inoffensivo il transito e la sosta nelle acque territoriali. In base all’art. 1 del Decreto n.130 del 2020, che rimane in vigore per questa parte, “per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, puo’ limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale”. Appare evidente dunque come si continuino ad associare i soccorsi in mare operati in modo “non occasionale” e dunque quelli operati dalle ONG, come attività in violazione delle leggi in materia di immigrazione, anche se questa prospettazione non ha ancora trovato riscontro in una sola sentenza passata in giudicato, ed anzi sono numerosi i procedimenti penali intentati contro le Organizzazioni non governative per le attività di ricerca e salvataggio operate in acque internazionali, che si sono chiusi con una serie di archiviazioni.

Il Decreto legge n.1 del 2 febbraio 2023 precisa le nuove condizioni che sono richieste perchè il transito della nave non sia considerato “non inoffensivo” e dunque individua i casi nei quali i mezzi delle ONG possono essere autorizzati a sbarcare i naufraghi in territorio italiano, si dovrebbe presumere ” nel tempo ragionevolmente più breve”. Si stabilisce innazitutto che i divieti di ingresso nelle acque territoriali, trasformati nel 2020 in divieti di transito e sosta, dalla legge di conversione del Decreto legge 130/2020, non sono applicabili “nelle ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146″.

Questo richiamo sembrerebbe obbligare il comandante della nave ad una mera comunicazione dei soccorsi all’autorità marittima (MRCC) competente per la zona nella quale si verifica l’evento SAR, adempimento che le navi civili dele ONG soddisfano generalmente, inoltrando notizie immediate sui salvataggi in corso nel Mediterraneo centrale a tutti gli stati costieri, titolari di zone SAR confinanti, come è stato dimostrato in diversi procedimenti penali intentati contro comandanti e capimissione che hanno potuto dimostrare queste circostanze. Nessuna norma internazionale, e dunque neppure il Decreto legge del governo Meloni. impone al comandante della nave soccorritrice di richiedere il coordinamento ad uno Stato costiero prima di procedere ai soccorsi, o peggio, di chiedere all’autorità SAR competente “l’assegnazione del porto di sbarco”, richiesta che, se avesse seguito, nel caso della Libia o della Tunisia, potrebbe configurare una violazione del divieto di respingimenti collettivi. Sul punto si è espresso in modo inequivocabile il Tribunale di Napoli, condannando il comandante del rimorchiatore italiano ASSO 28, che dopo avere effettuato un soccorso in acque internazionali aveva effettuato lo sbarco dei naufraghi in un porto libico, con le note conseguenze che poi queste persone avrebbero subito appena riprese dai miliziani libici. Eppure malgrado la formulazione del decreto, e nelle intenzioni di chi vi darà attuazione, secondo gli indirizzi espressi dal governo, si dà per scontato, anche contro l’evidenza, che le navi delle ONG presenti nel Mediterraneo centrale operino in una situazione di generale illegalità, e che le loro attività vadano inquadrate all’interno delle azioni di contrasto che si propongono gli Stati per sconfiggere i trafficanti di essseri umani, che si assume strumentalizzerebbero la presenza in acque internazionali delle navi inviate dalle ONG, accusate addirittura di “fare la spola con gli scafisti”. Ma poi risulta evidente che sono le autorità di governo italiane che, come in passato, continuano a conclidere accordi con governi che sui loro territori sono sostenuti da bande criminali, come nel caso del governo di Tripoli, tenuto in piedi da miliizie che, da Zawya a Sabratha e Garabouli, sono accusate di traffico di esseri umani e di ogni genere di attività illecite.

Non e’ certo un caso se nello stesso giorno in cui in Consiglio dei ministri si approvava il nuovo Decreto legge, si intensificavano i contatti per rafforzare la collaborazione con le autorità di Tripoli. “Il Ministro designato dell’Interno libico Emad Al-Trabelsi ha esaminato davanti a una delegazione della sicurezza italiana i piani di sicurezza emessi dal Ministero dell’Interno relativi al fascicolo dell’immigrazione clandestina e le ripercussioni che ne derivano. La delegazione italiana, che ha incontrato Al-Trabelsi presso la sede del Dipartimento Relazioni e Cooperazione a Tripoli, comprendeva funzionari del Ministero dell’Interno, il Comandante in Capo della Polizia, il Direttore del Dipartimento Immigrazione e un numero di funzionari.” Appare evidente come il governo Meloni voglia spingere ulteriormente sulla collaborazione con la sedicente “Guardia costiera libica” nelle sue varie articolazioni, e sulle prassi di “respingimenti collettivi su delega”,recentemente oggetto di una denuncia alla Corte penale internazionale.

La ripartizione delle zone SAR nel Mediterraneo centrale non tiene conto che alcuni paesi come la Libia e la Tunisia non garantiscono per i naufraghi di diversa nazionalità porti sicuri di sbarco e procedure eque ed accessibili per il riconoscimento dello status di rifugiato. Malta non ha ratificato l’emendamento alla Convenzione SAR di Amburgo contenuto nella Risoluzione IMO 167-78 del 2004 e dunque non può essere considerata come un paese al quale il comandante della nave che effettua un salvataggio nella vastssima zona SAR attribuita alle autorità di La Valletta, possa essere obbligato a rivolgersi per chiedere coordinamento di soccorsi operati in acque internazionali o l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro.

 

3. Secondo il nuovo decreto, nel caso di navi che effettuano «in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare per autorizzare il transito nelle acque territoriali devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni:

a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità ad autorizzazioni o abilitazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione;

b) sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità;

c) è stata richiesta, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco;

d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso;

e) sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere;

f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

Si tratta apparentemente di obblighi attenuati rispetto a quelli previsti nelle prime bozze del decreto legge pubblicate dai mezzi di informazione, ma in realtà la loro portata, al di fuori di quanto già previsto dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei ,è talmente ampia che rimane sostanzialmente rimessa alla successiva determinazione, caso per caso, delle autorità amministrative, a nocumento della certezza del diritto e della prevedibilità delle decisioni delle autorità competenti, anche in ordine all’adozione di eventuali sanzioni che possono arrivare alla confisca della nave. Dal tenore del nuovo decreto si ricava l’ulteriore conferma che l’autorità nazionale che coordina i soccorsi, anche all’esterno della zona SAR di propria competenza, deve garantire lo sbarco in un porto sicuro, anche se questo porto sicuro verrà definito soltanto come Porto di destinazione (POD). Che poi significa negare la natura di attività SAR (ricerca e salvataggio) alle operazioni di soccorso in acque internazionali realizzate dalle navi delle ONG. Che dovrebbero invece concludersi in un porto di sbarco sicuro, o Place of safety (POS).