Sono corse voci di una possibile “tregua di Natale” nel conflitto russo-ucraino, proposta trasformata da Volodymyr Zelensky in una richiesta di ritiro dell’esercito russo dall’Ucraina e liquidata dal portavoce russo Dmitry Peskov come “argomento non all’ordine del giorno”.
Eppure, durante i sette anni della guerra del Donbas iniziata nel 2014 vi sono stati almeno tre importanti pause dei combattimenti nel periodo natalizio. L’anno scorso, i negoziatori del Gruppo di contatto trilaterale e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) contribuirono alla sigla di una significativa tregua natalizia. C’era persino la speranza che la pausa nei combattimenti potesse portare a una più ampia distensione tra le forze filorusse e le truppe ucraine, e persino a una pace duratura. Come ben sappiamo, non solo la tregua è durata poco, ma ha fatto di preludio all’invasione russa due mesi dopo.
L’andamento della guerra in questi mesi, le minacce nucleari, il coinvolgimento sempre maggiore dei civili e delle infrastrutture necessarie per la loro vita hanno creato una spirale crescente di odio e violenza difficile da superare. Non è stata così recepita la proposta per una tregua “pasquale”, lanciata il 20 aprile scorso da Amin Awad segretario generale aggiunto dell’ONU: “durante questa settimana, che segna un raro allineamento del calendario delle tre festività religiose più sacre: la Pasqua cristiano-ortodossa, la Pasqua ebraica e il mese sacro musulmano del Ramadan, è il momento di concentrarsi su interessi convergenti e di mettere da parte le nostre differenze.”
La nuova proposta di tregua viene da leader religiosi di varie confessioni e ricorda la celebre tregua natalizia del 1914 sul fronte occidentale, che coinvolse un gran numero di soldati francesi, tedeschi e britannici (alcune stime arrivano a 100 mila militari) nella settimana precedente il 25 dicembre. La tregua ebbe origine spontanea e colse di sorpresa i comandi superiori. Dopo cinque mesi di ostilità i combattimenti erano in una fase di stallo a seguito alla fallita Wettlauf zum Meer tedesca e l’esito indeciso della prima battaglia di Ypres.
I combattenti fraternizzarono nella terra di nessuno per diversi giorni – raccogliendo i morti, scambiandosi cibo, sigarette e bevande, giocando a calcio, mostrandosi le foto di famiglia; ci sono state cerimonie di sepoltura congiunte e scambi di prigionieri e molti incontri si conclusero con carole e canti; all’epoca il senso religioso era ancora prevalente e vive le tradizioni natalizie. La somiglianza delle condizioni in cui vivevano entrambi i nemici permise loro di sviluppare un sorprendente grado di affiatamento – forse maggiore che nei confronti dei loro compatrioti a casa e certamente rispetto ai loro generali al sicuro nelle retrovie.
La situazione ricorda la tregua descritta nel libro terzo dell’Iliade: i troiani e gli achei, esausti, accettano con sollievo la proposta di Paride di decidere l’esito della guerra attraverso un combattimento singolo tra lui e Menelao. L’accordo, siglato con l’uccisione sacrificale di una pecora, fa sperare ai soldati di entrambe le parti che “questo porrà fine alle agonie della guerra”. Omero ci offre un resoconto commovente del clima che si instaurò mentre i soldati aspettavano il duello: gli uomini “smontarono, si spogliarono delle armi e le deposero sulla terra, ammassati l’uno all’altro, con appena un piede di terra aratoria tra loro”, i cumuli di armi e veicoli abbandonati nelle vicinanze, l’assenza di odio personale (con grande dispetto degli dei, loro sì assetati di violenza).
La tregua improvvisata nelle Fiandre finì solo quando i comandi ripresero il pieno controllo: i soldati al fronte furono rimescolati e minacciati e gradualmente tornarono a combattere. Ma era così forte il senso di vicinanza creato in quelle strane ore di tregua che alcuni dei sopravvissuti alla guerra affermarono, anni dopo, che se fosse dipeso da loro, i combattimenti non sarebbero mai ripresi.
Anche sul fronte orientale nel Natale 1914 vi furono localmente tregue promosse da comandi austroungarici di vario livello, accolte dalle controparti russe. Nel 1915 alcune unità organizzarono tregue, ma non furono così diffuse come nel 1914, essendo prevenuti precisi divieti dei comandanti; in seguito la guerra divenne sempre più aspra e venne meno la disposizione dei soldati alla tregua.
Tregue natalizie furono frequenti da parte dell’esercito repubblicano irlandese (IRA) durante il trentennale conflitto nell’Irlanda del Nord. Analoghe cessazioni di ostilità si ebbero annualmente in onore della festa del Tết (capodanno lunare fra gennaio e febbraio) durante la ventennale guerra in Vietnam, coinvolgendo tutte le parti combattenti: la Repubblica Democratica del Vietnam, i Viet Cong, gli Stati Uniti e la Repubblica del Vietnam. Nel 1968 la tregua venne bruscamente interrotta il 30 gennaio dalla maggiore campagna della guerra, l'”offensiva del Tết” lanciata dai Viet Cong e dall’esercito popolare del Nord Vietnam.
La “tregua di Dio”
La tregua natalizia si può collegare alla Tregua Dei, importante istituzione del medioevo occidentale, dovuta all’influenza della Chiesa, volta a mitigare le abituali consuetudini di violenza proprie dell’anarchica società feudale. Particolarmente grave era la diffusione delle cosiddette “guerre private”, conflitti del tutto arbitrari e violenti, in cui niente e nessuno veniva risparmiato, né santuari, né clero, né giorni sacri, trasformando l’intera Europa in un campo di battaglia disseminato di castelli e fortificazioni.
L’esigenza iniziale che portò all’istituzione della Tregua Dei fu quella di santificare la domenica e il movimento ebbe origine nella Francia meridionale con i concili di Charroux (989), di Le Puy (990) e di Elne (1027), in uno dei cui canoni per la salvaguardia della domenica si proibivano le ostilità dal sabato sera fino al lunedì mattina. Questa proibizione fu estesa coerentemente anche ai giorni della settimana consacrati ai grandi misteri della fede cristiana: il giovedì di Ascensione, il venerdì della Passione e il sabato santo, vigilia della Risurrezione (concilio di Nizza, 1041). In seguito vennero aggiunti anche i tempi liturgici dell’avvento e della quaresima.
La tregua di Dio trovò la propria codificazione definitiva nei concili di Arles (1037–41) e quello di Clermont voluto da Urbano II nel 1095. Con la Tregua Dei la Chiesa vietava, sotto pena di scomunica, ogni atto di guerra o di ostilità e le stesse contese giudiziarie dalla prima domenica di avvento fino all’ottava dell’Epifania, dal primo giorno della quaresima fino all’ ottava dell’Ascensione, dal mercoledì sera al lunedì mattina per tutto il resto dell’anno. La scomunica era una pena gravissima; comminata a un sovrano o feudatario liberava i sudditi dall’obbligo di obbedienza e ne scioglieva gli editti, per cui minava le basi del loro potere.
La tregua di Dio si diffuse rapidamente dalla Francia all’Italia e poi alla Germania (bandi di Enrico IV, Enrico V, Lotario II, Corrado III). Il concilio ecumenico Lateranense II (1179) estese poi l’istituto all’intera Chiesa con il canone XXI, De treugis servandis.
Il problema dei conflitti privati, che costituiva una delle grandi piaghe del Medioevo, non venne risolto radicalmente, tuttavia vennero poste le basi per il suo superamento. Gradualmente, infatti, l’istituto venne recepito fra le consuetudines feudorum e le autorità civili, le case regnanti e i comuni si ispirarono a tale istituto restringendo sempre più l’uso della forza ai soli conflitti internazionali. La violenza feudale momentaneamente contenuta rischiava di esplodere nuovamente se non avesse trovato un altro modo per sfogarsi. Gli abati di Cluny e il Papato lo compresero tanto bene che sin dalla metà del secolo XI invitarono i cavalieri cristiani ad andare a rafforzare gli eserciti dei piccoli regni del Nord della Spagna minacciati dalla pressione dell’Islam, preludio della partecipazione alle crociate.
Analogamente, la tradizione giuristica islamica, basandosi sul Corano, sosteneva che i combattimenti dovessero essere evitati durante i mesi sacri. Tuttavia, la tradizione non proibiva effettivamente i combattimenti durante questo periodo: “l’astensione è raccomandata ma non imposta”. L’obbligo di diffondere l’Islam ha comunque la precedenza e ciò può comportare una guerra anche durante la stagione sacra; allo stesso modo, se i musulmani vengono attaccati durante questo periodo, possono combattere per difendersi.
Anche l’ekecheiria, la tregua olimpica, personificazione della pace degli dèi, veniva proclamata durante la celebrazione religiosa nel tempio di Zeus a Olimpia, subito dopo l’apertura dei giochi; vigeva in tutta la Grecia per chiunque partecipasse ai giochi; in questo tempo cessavano tutte le inimicizie pubbliche e private, e nessuno poteva essere molestato, specialmente atleti e spettatori in viaggio per recarsi a Olimpia. Di fatto, per quasi 1200 anni l’ekecheiria impose un’attenuazione temporanea dei conflitti fra le polis, quasi permanentemente in guerra fra di loro.
De induciis
L’umanista Grozio (Huig von Groot) nel capitolo XXI del libro III della sua opera principale De iure belli ac pacis (1625) affronta le basi razionali delle tregue e ne esplora significato, portata e condizioni nel contesto di un diritto internazionale basato non su presupposti religiosi o legali, ma su un disegno razionale che ne costituisce l’essenza.
La rilettura del testo mette a fuoco quattro punti: la necessaria intermittenza della guerra, la possibilità di tregue anche con “pirati” (i “terroristi” dell’epoca), l’importanza dell’inderminatezza e ampiezza delle tregue, la solidità della tregua anche fronte di violazioni da parte di singoli.
Per Grozio il regno della guerra non è mai completo, ci sono sempre delle interruzioni nel continuum dei combattimenti ed è quindi possibile ritagliare “isole di accordo” nel mezzo della belligeranza. Questo anche con nemici che sono molto diversi da noi, anche così tanto da rendere impossibile una pace duratura con loro. Differenze radicali e incolmabili nell’organizzazione politica o di nazionalità con i nostri nemici non significano che non possiamo trattare con loro.
Questo perché anche in guerra i nostri nemici mantengono il loro status di interlocutori che meritano di essere informati della verità. Lo stato di guerra non può estinguere questo status, perché nasce dalla capacità di ragionare del nemico e precede la guerra. Coerentemente con l’approccio razionalista della sua visione del diritto, la base di ciò è che esiste un substrato condiviso che precede la questione più contingente dell’appartenenza a un gruppo, per quanto ostile, sia anche di pirati. Anche quando si tratta di questi banditi, la negoziazione in buona fede è possibile e moralmente necessaria.
Le tregue sembrano implicare tre livelli di riconoscimento: un riconoscimento di bisogni umani simili che motiva la negoziazione di una tregua (i nemici vogliono seppellire i loro morti come noi; vogliono dare sollievo alle loro truppe stanche come noi), un riconoscimento implicito suggerito dall’atto stesso di fare la tregua (sono agenti razionali in grado di identificare la necessità di una tregua e di mantenerla), e un riconoscimento conseguente (sono davvero come noi, godono del riposo dalla guerra come noi; sono davvero in grado di mantenere la loro parte dell’accordo proprio come noi).
Grozio insiste nell’interpretare gli accordi di tregua nel modo più ampio possibile, al fine di estendere la tregua che essi forniscono. Un valore delle tregue è che gli effetti delle tregue possono superare gli scopi originari per cui sono state create. Fermare i combattimenti il più a lungo possibile è un bene indipendente. Poiché le tregue hanno come scopo principale quello di risparmiare sul costo più grande della guerra – il “sangue umano” – più durano, meglio è, e si deve aiutare la guerra a dormire il più a lungo possibile.
Grozio ci dice anche che i cessate il fuoco devono prevedere la libertà di movimento per tutte le parti, a condizione che tale movimento non sia di natura marziale. Le tregue, in altre parole, devono consentire ai combattenti di agire come persone piuttosto che come soldati. L’esempio che fornisce da Virgilio è istruttivo: una tregua nel corso di un assedio permette agli ufficiali nemici di partecipare come concorrenti ai giochi organizzati dalla città assediata e anche venir incoronati come vincitori.
Le tregue, infine, vanno considerate con gravità: questi accordi possono essere infranti o violati solo da attori politici. Le attività di un individuo disonesto non possono essere automaticamente attribuite alla più ampia entità politica come violazione di una tregua. “Una tregua non viene infranta dagli atti di singoli individui, a meno che sono sanciti dall’autorità del sovrano, che si suppone generalmente concessa, quando i delinquenti non vengono puniti né consegnati, né viene fatta la restituzione dei beni sottratti”.
In sintesi, Grozio ci presenta una concezione della guerra come regno discontinuo che, pur essendo una caratteristica forse permanente dell’esperienza umana, può essere controllata, la cui intensità e durata sono soggette a un certo grado di regolazione. Le tregue sono viste come un modo per addormentare il conflitto e ridurre il dispendio di sangue, col potenziale per presentare i combattenti l’uno all’altro come esseri umani piuttosto che come nemici.
Mancano ancora alcuni giorni per il Natale (per la chiesa ortodossa il 7 gennaio) e non è detto che i soldati impegnati in Ucraina non decidano per loro conto di sollevarsi per qualche giorno dalla violenza e donare un po’ di serenità in primis a loro ma anche a tutti coloro che soffrono a causa il conflitto; forse i rapporti attuali fra i soldati ucraini e i militari russi della recente coscrizione e da poco inviati al fronte non sono così ostili come verso i volontari e mercenari della prima invasione, e quindi una tregua è più facilmente raggiungibile. Come ricorda Grozio, una tregua può anche avere sviluppi al di là delle stesse prospettive che il realismo della situazione permette oggi di sperare.
In fondo le tregue migliori sono promosse spontaneamente appunto da chi sopporta l’immediato furore della guerra.