Sulla frana di Ischia vi proponiamo alcuni brani della più ampia intervista a Valerio Rossi Albertini, fisico e divulgatore scientifico, realizzata dalla agenzia stampa Interris.

Crede che la tragedia di Ischia – oltre ai fattori antropici – sia riconducibile anche alle conseguenze del cambiamento climatico?

“Certamente sì. C’è una vulnerabilità intrinseca dell’Isola di Ischia.
Già 100 anni fa infatti – precisamente nel 1910 – ci fu un’alluvione con conseguente frana di fango che seppellì Casamicciola. Al tempo, per comprendere le cause della tragedia, venne istituita una commissione d’inchiesta. Negli atti si possono ancora oggi leggere le risposte. La commissione infatti stabilì diverse cause della frana.
La prima fu la predisposizione naturale dell’isola vulcanica composta da ceneri che si depositano su amassi rocciosi e che quindi non sono coesi e si possono distaccare facilmente.
La seconda: l’insufficiente incanalazione delle acque piovane.
La terza: la mancanza di opere di difesa idraulica a tutela dei centri abitati; infine: l’eccessivo disboscamento (già un secolo fa si usò proprio questo termine…). Quindi, 100 anni fa la commissione fotografò la fragilità dell’isola in maniera assolutamente precisa e direi moderna”.

E’ dunque colpa dell’uomo?
“In gran parte sì, perché non si sarebbe dovuto costruire alle pendici di un monte di un’isola vulcanica, da dove è facile che ci siano dei distaccamenti anche importanti.
Ciò nonostante, non possiamo ridurre tutto agli errori dell’uomo. Purtroppo, i cambiamenti climatici sono stati determinanti in questa tragedia. Lo rivelano proprio i dati storici”.

Perché?
“Perché nel 1921, affinché si producesse la frana, dovette piovere per due settimane ininterrottamente. Lo scorso 26 novembre, per produrla sono bastate cinque ore! E’ arrivata una ‘bomba d’acqua’, il costone friabile si è distaccato; poi, a causa del disboscamento, non ha trovato nessun ostacolo e in pochissimo tempo – non giorni, ma ore! – ha spazzato via case e vite umane”.

Cosa insegna la tragedia di Ischia?
“L’Italia è un Paese fragile. Se si continua ad ignorare il pericolo nelle tante zone a rischio che sono presenti in Italia, statisticamente prima o poi qualche altra tragedia avverrà. Sia perché il dissesto idrogeologico in Italia è una piaga generalizzata del nostro Paese (il 94% dei comuni sono a rischio idrogeologico) sia perché i cambiamenti climatici non hanno ancora dispiegato tutti i loro effetti dannosi”.

In che senso?
“Gli eventi degli ultimi anni, quali: Ischia, il nubifragio delle Marche, il distacco del seracco sulla Marmolada, le estati torride con siccità prolungate …non sono gli effetti estremi dei cambiamenti climatici. Questi purtroppo sono solo i primi segni premonitori.

Quali soluzioni contro la crisi climatica?
“Le istituzioni devono far funzionare le conferenze sul clima che invece sistematicamente falliscono. Come avvenuto in Egitto pochi giorni fa senza, in pratica, un ‘niente di fatto’ anche a causa dell’assenza al summit sul clima delle tre grandi Nazioni inquinanti del Pianete: Cina, India e Russia. Non possiamo dunque stupirci che la situazione non migliori e anzi vada peggiorando poiché non c’è una reale collaborazione su scala globale”.

Cosa invece possiamo fare noi in Italia?
“Poiché non si può eliminare la causa, è necessario quanto meno contrastare e mitigarne gli effetti. A Ischia, ad esempio, fare dei canali di scolo e abbattere le costruzioni che sono sulla traiettoria della frana. Anche se sono case condonate. Questo significa metter mano al portafogli: per spostare intere famiglie che vivono nella ‘zona rossa’ ormai legittimamente (perché legalizzate) è necessario dare loro un’alternativa concreta e soddisfacente. Ma questo lavoro, seppur improbo, va fatto assolutamente, senza aspettare oltre”.