Nei prossimi tre anni l’esecutivo vuole ampliare la rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Lo ha previsto nella manovra finanziaria presentata in Parlamento. Un investimento senza precedenti che ignora volutamente le condizioni di vita e il rispetto dei diritti fondamentali di chi è costretto al “trattenimento”.
Più di 42,5 milioni di euro nei prossimi tre anni assegnati al Ministero dell’Interno per “l’ampliamento della rete dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr)”. È scritto nella manovra finanziaria 2023 varata il 21 novembre dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e sottoposta al dibattito parlamentare con tempistiche contingentate. L’obiettivo annunciato è quello di assicurare “la più efficace esecuzione dei decreti di espulsioni dello straniero”. “È l’antica tecnica della diversione dell’attenzione perché l’imbuto sta sempre negli accordi con i Paesi di origine -spiega l’avvocato Maurizio Veglio, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Se il rapporto tra numero di persone trattenute e rimpatriate è sempre lo stesso, cioè il 50%, è il pericolo di episodi di violenza o gesti anticonservativi a rischiare un aumento esponenziale: nuovi Cpr significano nuovi rischi per la salute di chi è trattenuto”.
L’aumento della capienza dei Cpr sembra essere l’obiettivo primario. Sono due le voci di spesa imputate al ministero. Da un lato oltre 36,5 milioni di euro destinati alla “costruzione, acquisizione, completamento, adeguamento e ristrutturazione di immobili” destinati a centri di trattenimento di accoglienza; dall’altro circa sette milioni per le spese relative “all’attivazione, locazione e gestione dei Cpr”. La progressione dei finanziamenti è scalare e l’aumento più consistente avverrà nel 2025 con 16 milioni destinati alla costruzione e più di quattro per la seconda voce. “In questo momento non è agevole comprendere come verranno utilizzati questi fondi – riflette Veglio. “La qualità dei servizi essenziali all’interno dei centri (sanità, assistenza psicologica, mediazione linguistica, informazione legale) è del tutto inadeguata, ma dubito che il denaro verrà impiegato per potenziare queste voci”.
Manovra alla mano, la “gestione” dei Cpr è già inserita nella seconda voce con un portafoglio cinque volte più magro rispetto al finanziamento per la costruzione dei centri. Già nel febbraio 2017, con il via libera del Consiglio dei Ministri al cosiddetto decreto Minniti, l’allora Ministro dell’Interno aveva dichiarato che i “nuovi” Cpr (ex Cie) sarebbero stati costruiti uno per Regione per un totale di 1.600 posti. “La decisione di stanziare nuovi fondi per il sistema della detenzione, allo scopo presumibile di ampliare la capienza, in assenza di qualunque intervento di contenimento dei danni rischia di innescare ennesime situazioni estreme, come l’epidemia di tentati suicidi registrata a Torino nello scorso autunno”, aggiunge Veglio. Finanziamenti quindi che non tengono conto del fallimento del “modello” Cpr.
I dati su quelli attualmente in funzione sono eclatanti. Nel 2021 sono transitati all’interno dei dieci centri attivi in Italia poco più di 5mila persone, ma ne sono state espulse meno del 50% (2.519). Un dato che secondo la relazione del Garante nazionale delle persone private della libertà personale è rimasto costante nel corso degli anni: nel 2019 il 48,3%, nel 2020 il 50,9%. Il tema resta quello degli accordi con i Paesi di origine e i costi effettivi di rimpatrio, Ma non solo. Il caso della Tunisia, come raccontato su Altreconomia, sembra “funzionare” in termini di voli charter che partono alla volta di Tunisi, ma non garantisce il rispetto dei diritti delle persone trattenute.
I Cpr sono dei “buchi neri”, come titola la Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) in un report dedicato al tema, o dei luoghi in cui “le persone camminano sull’orlo di un burrone” secondo il “terribile” documento pubblicato dall’Asgi dove vengono raccontate sette storie di ordinaria ferocia al Cpr di Torino. E le morti di chi vive l’esperienza del trattenimento sono numerose: il suicidio di Moussa Balde, giovane originario della Guinea morto nel maggio 2021, ha spinto la Procura di Torino ad aprire un’indagine, che è ancora in corso, sul funzionamento del Centro per il rimpatrio del capoluogo piemontese (a cui è “dedicata” una puntata del podcast Limbo).
Commentando la proposta del governo, la Cild sottolinea come i Cpr non siano un “male necessario”. “Esistono alternative possibili, come il case management –spiegano – con la presa in carico individuale delle singole persone che, oltre a essere infinitamente più economiche, offrono risultati maggiormente apprezzabili nel garantire percorsi di integrazione nelle comunità”, anche perché il trattenimento nei Centri avviene “in assenza di ordinamento o un regolamento, a differenza di quanto avviene ad esempio per il carcere, e l’esercizio dei diritti delle persone trattenute è difficoltoso e incerto”. Dal diritto alla salute all’assistenza legale, passando per la possibilità di avere contatti con l’esterno. Temi strettamente connessi anche ai capitolati d’appalto per la gestione di questi Centri a cui accennava anche l’avvocato Veglio. I centri, infatti, sono gestiti da enti privati e i trattenuti diventano oggetti di un business milionario. Almeno 43 milioni per la gestione di dieci centri sono stati spesi nel 2021.
“In nome della massimizzazione del profitto, questi enti comprimono ancora di più i servizi che dovrebbero essere offerti alle persone recluse che non hanno commesso alcun reato”, sottolinea la Cild. “Spesso quando si parla di Cpr – sottolinea Emilio Caja, uno dei curatori del libro ‘Corpi reclusi in attesa di espulsione’ pubblicato per Edizioni SEB27 all’inizio del 2022 – si dipinge questi luoghi come qualcosa di ‘eccezionale’ in cui quando qualcuno muore sembra un evento eccezionale. Non è così, la gestione dei Centri si inserisce perfettamente nelle dinamiche economiche dell’economia contemporanea”. Caja fa riferimento agli enti gestori che vincono i bandi pubblicati dalle prefetture. “L’Ors Italia, ad esempio, presente a Macomer prima e oggi ente a cui è appaltata la gestione del Brunelleschi di Torino, è una multinazionale con sede nel Regno Unito e varie articolazioni in tutta Europa. Sono dinamiche economiche classiche del nostro tempo: finanziarizzazione, diversificazione del portfolio, esternalizzazione dei servizi”. Con gravi conseguenze sulla salute e l’esercizio dei diritti delle persone che il governo sembra volutamente ignorare.