Opinione dell’eurodeputato italiano Massimiliano Smeriglio*

L’inchiesta che sta facendo scompiglio a Bruxelles è un colpo alla credibilità del Parlamento europeo, un danno gigantesco all’immagine delle istituzioni comunitarie. C’è un’indagine in corso: speriamo che vengano individuati rapidamente i responsabili di uno scandalo, reso ancora più odioso dall’uso dei diritti umani come merce di scambio in aree sensibili del mondo.

Un’irruzione che punta su due aspetti, entrambi decisivi: la responsabilità dei singoli con i relativi reati; e il contesto in cui si sono verificate tali pratiche illegali.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la politica ha la responsabilità di agire rapidamente, per tutelare l’onore del Parlamento e le dinamiche democratiche. Agire rapidamente significa condannare, indagare e fermare il fenomeno. Sospendere gli interessati dalle loro cariche istituzionali e di partito. Se necessario, comparire al processo come parte civile. Verificare nel dettaglio se vi siano state decisioni opache in materia di indagine e, se del caso, intervenire bruscamente modificando le decisioni adottate. In attesa, ovviamente, dei processi, che sono gli unici luoghi in cui si può scoprire la verità e le possibili condanne.

Il secondo aspetto si riferisce al contesto in cui si svolgono le azioni dei gruppi di pressione delle grandi imprese internazionali e dei Paesi terzi.

A Bruxelles ci sono circa 12.000 gruppi di pressione accreditati. Le grandi aziende sono disposte a spendere somme considerevoli per questa attività: 12 milioni di euro il Council of European Chemical Industries, 6 milioni Google, 5 milioni Microsoft, 4 milioni BusinessEurope, 2,2 milioni Huawei. Per una spesa complessiva di circa millecinquecento milioni di euro l’anno.

Gli avvenimenti degli ultimi due anni hanno reso ancora più visibile l’azione dei gruppi di interesse. Primo, big pharma in cerca di risorse e alleanze, durante la pandemia; ora, con la guerra in corso, i venditori di sistemi di difesa, sicurezza e armi.

Nell’anno della pandemia, la Federazione europea delle industrie farmaceutiche (Efpia) ha aumentato del 20% il proprio budget per le attività di lobbying. Il costo di Efpia (di cui fanno parte Pfizer, Astrazeneca e Johnson & Johnson) per influenzare le decisioni a Bruxelles è passato da 4,6 a 5,5 milioni di euro. L’intera lobby farmaceutica, secondo i dati pubblicati dal Corporate Europe Observatory, varrà 36 milioni di euro nel 2020. A Bruxelles lavorano circa 300 gruppi di pressione ufficiali del settore farmaceutico. Una cifra che molti osservatori considerano sottovalutata.

La lobby delle armi, negli ultimi mesi, ha gettato tutta la carne alla griglia al punto da propugnare che le armi siano incluse nella tassonomia sociale, cioè che siano considerate socialmente sostenibili.

Stiamo parlando di numeri e report molto significativi. Secondo l’Osservatorio Corporate Europe, Leonardo da solo ha recentemente investito a Bruxelles fino a 400.000 euro in un anno, raddoppiando così la cifra investita nel 2017. Un anno in cui, in media, la cifra era raddoppiata rispetto al 2012. Una crescita esponenziale, quindi, per incontri ad alto livello con funzionari della Commissione: 48 incontri per il solo Leonardo nel 2022; 17 per la spagnola Indra, che investe circa un milione l’anno nelle relazioni a Bruxelles; 28 incontri per Thales (Francia); 24 per Fraunhofer (Germania); 16 per la SAAB svedese; e addirittura 222 per Airbus (Francia, Germania).

Va ricordato che i gruppi di pressione sono regolarmente previsti e regolamentati. Non è meno vero che, negli ultimi mesi, il volume di questo tipo di attività ha superato i livelli previsti. E la questione di come espellere i mercanti dal tempio è ancora una volta del tutto attuale.

Il Parlamento è impegnato a promuovere la trasparenza e l’etica nelle attività di lobbying. Insieme al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione, il Parlamento utilizza un registro comune per la trasparenza per monitorare le attività dei rappresentanti di interessi. Il registro è un database online di gruppi e organizzazioni che cercano di influenzare la formulazione del diritto dell’UE. Tuttavia, l’obbligo di pubblicità degli incontri con persone accreditate in anagrafe riguarda solo i relatori di fascicoli individuali ei presidenti di commissioni parlamentari.

Dei circa 12.000 enti accreditati, la metà dichiara di spendere 10.000 euro l’anno, mentre alcuni superano i 10 milioni di euro. Rimane la questione dell’attendibilità delle informazioni spontanee sulle quali non c’è alcun controllo.

La questione è quindi come estendere questo obbligo di tracciamento delle riunioni a tutti i parlamentari e, comunque, come definire e circoscrivere in modo più rigoroso questa prassi. Ad esempio, impedendo a ex ministri, ex parlamentari ed ex membri dell’Ue di svolgere tale attività per almeno cinque anni dalla fine del loro mandato.

Evitare di coltivare dubbi sulla continuità del rapporto al servizio di interessi particolari e non generali, che è compito principale del legislatore. Anche perché il confine tra ciò che è legale e ciò che non lo è è ancora sfumato, soprattutto se paragonato ad alcune legislazioni nazionali come l’Italia dove, ad esempio, lo spaccio di influenze è punito.

Lo stesso problema esiste in relazione all’azione diplomatica svolta in Parlamento dagli Stati nazionali, spesso autoritari. Parliamo di Paesi dove non esiste lo stato di diritto, la tripartizione dei poteri, la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura o dell’opinione pubblica. Funzionari di questi Stati girano per le aule del Parlamento per vendere armi, cibo e, soprattutto, energia: funzionari che non devono sottostare alle già incerte regole della registrazione lobbistica.

La questione, infine, non può riguardare solo il Parlamento, ma il tema della trasparenza deve invertire l’intera catena tecnocratica della Commissione europea per la quale lavorano non meno di 50.000 persone. Per fare un esempio, da febbraio a settembre si sono svolte 113 riunioni della Commissione con la lobby del “petrolio e del gas” e, in particolare, con le società Eni, Repsol, Total e Shell.

Coloro che hanno commesso reati gravi devono pagare un prezzo pesante. La questione però è come affrontare non solo le mele marce, ma anche il paniere, cioè un sistema di pressioni sul legislatore europeo che fa acqua da tutte le parti.

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*Membro del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici. In Público.es, 12.14.22

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