1.Un porto sicuro più lontano possibile
Dopo lunghi giorni di attesa nel mare in burrasca, giorni nei quali è stata sistematicamente negata l’indicazione di un porto sicuro di sbarco, mentre sulle scelte del governo italiano restavano accesi i riflettori a livello europeo, due navi delle ONG hanno finalmente ricevuto dal ministro dell’interno, tramite il Centro IMRCC della Guardia costiera di Roma, che coordina le attività di soccorso, l’indicazione di un porto sicuro di sbarco. A Salermo è arrivata la nave di MSF Geo Barents, a Bari lo sbarco più drammatico dalla Humanity 1. Dopo una attesa tanto lunga, questa volta le operazioni di sbarco sono state molto sollecite e secondo quanto comunicato da Sergio Scandura corrispondente da Catania di Radio Radicale, la Humanity1 ha già lasciato l’ormeggio del porto di Bari, sembra sia diretta in Spagna per la manutenzione invernale, come la Louse Michel che era stata autorizzata ad ormeggiare a Lampedusa, mentre sembra vicina anche la partenza della Geo Barents di MSF da Salerno.
Sembrerbbe però che Ministero dell’interno non abbia assegnato davvero un Place of safety(POS), come avrebbe dovuto in base alle Convenzioni internazionali, ma soltanto un porto di destinazione(POD) perche’,in continuità con i precedenti governi, si continua a qualificare le attivita’ di salvataggio in acque internazionali operate dalle Ong come “eventi di immigrazione illegale” e non come attivita’ SAR (Search and Rescue). In questo modo anche in futuro, nei porti di attracco, le Capitanerie di porto potranno procedere a fermi amministrativi e la Guardia di finanza potrà notificare sequestri ed avvisi di reato. Come già successo in passato.
Il Viminale ha spedito a nord le due navi delle Ong, che si trovavano vicine ai porti di Catania e Siracusa, costringendole a risalire il Tirreno e lo Ionio, dentro burrasche con venti oltre i trenta nodi ed onde alte. Sono state 40 ore di inferno per naufraghi ed equipaggi, dopo che si è negato l’ingresso nel “porto sicuro più vicino”, che poteva essere assegnato giorni prima, come prescritto dalle Convenzioni internazionali e dal Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014 che le richiama e le rende vincolanti per tutti gli Stati membri.
Secondo quanto comunicato dal Ministero dell’interno, la tardiva assegnazione di un porto di sbarco sarebbe avvenuta per le avverse condizioni meteo e per non fornire “pretesti” alle ONG di dichiarare lo stato di necessità ed ottenere quindi il porto di sbarco sicuro più vicino, quindi in Sicilia. In realtà il governo italiano ha soltanto adempiuto ad un obbligo che gli deriva dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione Europea, come nelle scorse settimane, a ridosso del caso SoS Mediterraneé/Ocean Viking, avevano ricordato con critiche durissime sia la Commissione europea che diversi governi europei (Norvegia, Francia e Germania).
Si è appreso dall’ANSA che fonti ministeriali sono intervenute per motivare il via libera dato alle tre Ong: queste ultime, infatti,“ne avrebbero tratto un pretesto per dichiarare lo stato di emergenza a bordo e avrebbero così fatto ingresso nei porti della Sicilia, i cui centri di accoglienza sono già congestionati di presenze, rimanendo peraltro in prossimità dei loro scenari operativi”, La replica a queste posizioni del Viminale che contestano alle ONG di utilizzare “pretesti” per portare a compimento, con lo sbarco a terra, operazioni di salvataggio compiute nel pieno rispetto del diritto internazionale non si è fatta attendere.
“Vogliamo ricordare alle autorità che assegnare dei porti sicuri per salvarsi non è un’azione gentile nei nostri confronti, ma un dovere delle autorità e un diritto delle persone perché secondo la legge le operazioni di salvataggio terminano solo quando tutti i passeggeri possono essere sbarcati in un porto sicuro”. Lo ha detto Lukas, il portavoce dell’equipaggio della nave Humanity1. Come si e’ detto, ancora una volta sembra che il Viminale abbia assegnato soltanto un POD ( porto di destinazione) e non un POS ( porto di sbarco sicuro) continuando a negare la natura di evento di soccorso dei salvataggi operati dalle navi delle ONG, che si è rifiutato di coordinare, almeno fino a quando queste sono rimaste in acque internazionali.
2.Sull’immigrazione “tireremo dritto” … verso la violazione delle Convenzioni internazionali
“Nessun dietrofront sull’immigrazione” ha dichiarato il ministro Piantedosi, ma l’intera strategia costruita all’indomani delle elezioni (e già anticipata in campagna elettorale) appare ancora una volta destinata a fallire sotto i colpi degli altri Stati dell’Unione europea che non intendono perdonare all’Italia il mancato rispetto degli obblighi di soccorso e sbarco nel porto sicuro più vicino, sanciti dal Diritto internazionale e richiamati dalle Direttive e dai Regolamenti europei. La distanza maggiore si riscontra sull’atteggiamento politico e diremmo “culturale” verso le ONG, richiamate nei piani europei sui salvataggi in mare come attori complementari delle attività di ricerca e soccorso che gli Stati costieri sono obbligati a coordinare non appena avuta notizia di persone in pericolo in alto mare.
Secondo il governo italiano invece “Le azioni delle Ong, spesso rischiose e provocatorie, favoriscono in molti casi l’ingresso in Italia di migranti economici, che non hanno alcun diritto a entrare e rimanere in Italia. È questo a prescindere dai dichiarati intenti umanitari”. Chi insiste su queste accuse infamanti dimentica che la giurisprudenza italiana, fino alla Corte di Cassazione, ha smentito, dal 2018 ad oggi, queste illazioni che sono state alla base della campagna propagandistica dei partiti di destra negli ultimi anni, ma che non hanno mai trovato una conferma in una sola sentenza di condanna da parte della magistratura.
Secondo il Viminale, le navi, delle ONG “fanno pattugliamento sistematico, portano in acque italiane migranti raccolti in acque di altri Paesi. Raccolgono in mare persone che hanno pagato uno scafista, dunque un criminale, per entrare illegalmente in Italia”. Alcune Ong “finiscono per rappresentare, anche loro malgrado, un elemento chiave della filiera che ingrossa l’immigrazione irregolare in Italia”. Sono queste le considerazioni che si ritrovano nei provvedimenti di fermo amministrativo adottati dalle Capitanerie di Porto, e nelle iniziative di carattere penale che le forze di polizia sollecitano alla magistratura sulla base di notizie di reato precofezionate. Denunce che finora non hanno avuto seguito con sentenze di condanna. Perche’,anche in base all’art.10 ter del Testo Unico all’immigrazione 286/98, l’ingresso “per ragioni di soccorso” non costituisce comunque un ingresso irregolare.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha demolito due dei capisaldi delle motivazioni con cui le Capitanerie di Porto su evidente indirizzo ministeriale, e con l’ausilio di una specifica squadretta di ispettori, avevano ordinato il fermo amministrativo per diversi mesi, a partire dal 2020, delle navi Sea Watch 3 e Sea Watch 4, e poi di tutte le altre umanitarie, arrivando nel 2021 a bloccarne in porto anche sei contemporaneamente. Nel caso della Sea Watch 4 la nave era rimasta bloccata nel porto di Palermo addirittura per sei mesi, e poteva ripartire soltanto nel mese di marzo del 2021. Per la Corte di giustizia di Lussemburgo, dopo l’ingresso della nave soccorritrice in porto e lo sbarco dei naufraghi, lo Stato italiano “può sottoporla a un’ispezione diretta a controllare il rispetto delle norme di sicurezza in mare. A tal fine, occorre però che tale Stato dimostri, in maniera concreta e circostanziata, l’esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente”.
Per i giudici europei, e secondo la logica del diritto, non disgiunta da un minimo di umanità, non possono essere considerati “passeggeri” i naufraghi che vengono soccorsi in mare, e le navi delle ONG non possono essere costrette a dotarsi di ulteriori certificazioni dello Stato che è obbligato a garantire il porto di sbarco (POS), certificazioni che in passato le autorità italiane hanno invece richiesto a loro discrezione, nel tentativo (non riuscito) di giustificare i provvedimenti di fermo amministrativo. Nel caso dell’Italia queste certificazioni non sono peraltro previste neppure dai registri del naviglio civile ed erano frutto di richieste arbitrarie da parte delle autorità amministrative.
3. Dietro la facciata del falso umanitarismo la minaccia di sanzioni e sequestri
Nella maggioranza di governo, in questi giorni le tensioni interne si sono stemperate in dichiarazioni di facciata. Il neo-ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, di fronte al fallimento della sua tesi difensiva nel processo di Palermo, la competenza ad indicare il POS a carico dello Stato di bandiera della nave soccorritrice, la cui violazione si tradurrebbe anche in un comportamento illecito delle ONG, si affida ad una dchiarazione che non dice nulla :”Sono orgoglioso di quello che il governo sta facendo in sede europea, visto che sono ripresi i collocamenti che erano fermi da troppo tempo. Sono orgoglioso di quello che sta facendo il ministro Piantedosi”. Ma Salvini riesce a comprendere che l’Unione Europea ha respinto tutte le più recenti proposte italiane, dalla Direttiva Piantedosi all’ennesimo accordo con i paesi del sud Europa (Malta, Cipro e Grecia) che la Spagna non ha voluto sottoscrivere?
il Viminale ha annunciato di essere “già al lavoro per presentare nuove norme per garantire la sicurezza delle frontiere e stroncare la tratta degli esseri umani che arricchisce gli scafisti e non solo. Dobbiamo arrivare a un sistema di ingressi regolari, nell’interesse degli stessi aventi diritto”.
E’ tuttavia sempre più difficile pensare ad “ingressi regolari”dalla Libia, paese nel quale non si riconosce la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e si praticano torture ed estorsioni sistematiche ai danni dei migranti, con la complicità dei governi locali finanziati, per quanto riguarda il governo di Tripoli, dall’Italia e dall’Unione Europea. I corridoi umanitari, che molti utilizzano come alibi per le politiche di sbarramento, non possono essere l’unica risposta alla domanda di salvezza e di fuga che arriva dal frammentato territorio libico.Vanno bloccati accordi e finanziamenti che avvantaggiano gruppi armati e referenti politici che si contendono il territorio libico utilizzando come bersaglio di sfruttamento e di estorsione le persone migranti prive di un qualsasi titolo di soggiorno valido in Libia, una situazione che implica la detenzione amministrativa nei campi lager ed il rischio di respingimento o di espulsione verso paesi che non rispettano i diritti umani.
Gli accordi bilaterali intercorsi nel 2017,come il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2 febbraio 2017, e la istituzione di una fittizia zona SAR “libica”, e poi il Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, ancora vigente, hanno costituito gli schermi formali dietro i quali si è nascosta la sostanziale delega delle attività di intercettazione in acque internazionali alle autorità libiche. La zona di ricerca e salvataggio SAR attribuita alla Libia nel 2018 si sta rivelando sempre di più come una zona di morte, Spetterebbe alle Nazioni Unite, che pure definiscono con l’UNHCR la Libia come un paese “non sicuro”, verso cui non devono essere effettuati respingimenti, intervenire sull’IMO (Organizzazione internazionale del mare) con sede a Londra, che pure risulta essere organizzazione delle stesse Nazioni Unite, per porre fine alla finzione della cosiddetta zona SAR (di ricerca e salvataggio) libica, di una Libia che non esiste come entità territoriale unica, con organi di governo centrale e con autorità marittime di coordinamento unificati. Non si può consentire che gli interventi della sedicente Guardia Costiera Libica, che altri definiscono di “salvataggio”, si concludano con vittime in mare e con la scomparsa dei naufraghi riportati a terra, non appena sbarcati in porto. Perché di fatto queste persone, ricondotte in Libia con modalità spesso violente, sono di nuovo cedute alle stesse milizie e alle stesse bande di trafficanti da cui sono fuggiti. E questo i governi europei non possono ignorarlo. Nel caso italiano i nostri servizi di informazione sono ben presenti in Libia da anni, avranno pur comunicato qualcosa alle autorità politiche da cui dipendono.
Le prime dichiarazioni rilasciate dall’equipaggio della Humanity 1 dopo lo sbarco dei naufraghi a Bari sono agghiaccianti e non riguardano soltanto i corpi martoriati delle persone che sono riusciti a portare in salvo ma ricordano anche la sorte di quelli che non sono riusciti a salvare perchè una motovedetta libica è arrivata prima ed ha operato l’ennesimo sequestro di persona camuffato da operazione di contrasto dell’immigrazione “illegale”. Secondo quanto dichiarato dal portavoce di Humanity 1, “negli ultimi giorni il nostro equipaggio ha nuovamente constatato nuovamente che persone in cerca di protezione sono state costrette in acqua, brutalmente picchiate a bordo (tra cui una donna incinta) o riportate illegalmente in #Libia. Chiediamo la fine immediata del sostegno dell’Ue alla cosiddetta Guardia costiera libica!”. Ed è questa la ragione principale per la quale le ONG devono essere spazzate via dal Mediterraneo centrale, perchè in troppe occasioni sono state testimoni scomodi delle intercettazioni violente operate dai guardiacoste libici,assistiti e finanziati dall’Italia e dall’Unione Europea.