Episodio 1: Il comandante delle forze di terra dell’esercito regolare iraniano, Kiumars Heydari, minaccia così i manifestanti: “Se queste mosche non vengono affrontate oggi come si aspetta in una società rivoluzionaria, è soltanto la volontà del Leader Supremo. Ma il giorno in cui emetterà l’ordine per occuparsene, sicuramente non avranno più posto nel paese.”
Episodio 2: Le forze di sicurezza iraniane aprono il fuoco su una piattaforma affollata della metropolitana di Teheran e picchiano donne che non indossano adeguatamente il velo. I filmati condivisi sui social mostrano i passeggeri correre verso le uscite, con molti che cadono e vengono calpestati dopo che la polizia apre il fuoco.
Gli ultimi aggiornamenti
Nelle ultime settimane la situazione in Iran è peggiorata di continuo e la repressione cieca e violenta delle autorità sembra ormai un disco rotto. Ci sono circa cinquecento morti (circa sessanta sono minorenni), il numero degli arresti supera i 18.000 e si parla addirittura di centinaia di manifestanti accecati a causa dell’uso dei proiettili di gomma da parte delle forze dell’ordine. Nelle settimane scorse, alcune città curde sono state sotto assedio con morti che sfiorano i cinquanta in soli tre giorni. Ci sono anche notizie sull’uso di munizioni da guerra contro i manifestanti.
Le vicende si evolvono in maniera molto rapida e ogni mattina porta con sé una nuova tragedia e una nuova speranza obbligandoci a dimenticare quelle di ieri, ma sarà impossibile scordarsi della morte di Kian Pirfalak, ragazzino di 10 anni, ucciso a colpi di arma da fuoco nella città sud-occidentale di Izeh. La famiglia ha tenuto la sua salma a casa poiché temeva che le autorità l’avrebbero rubata dall’obitorio per seppellirlo in un luogo sconosciuto (una prassi del regime per evitare che i funerali diventino delle vere e proprie manifestazioni).
I richiami alla responsabilità sono diventati più diffusi rispetto alle prime settimane, coinvolgendo molte celebrità e diversi atleti, ma ovunque la parola d’ordine è una sola: la disobbedienza civile. Gli scioperi continuano a interessare vari settori fondamentali come il trasporto merci, molti negozi in molte città continuano a rimanere chiusi per vari giorni. In molte università gli studenti e molti professori non frequentano le lezioni e alcuni estremisti, schiacciati e censurati per decenni, trovano significativo deridere i simboli ormai pallidi del regime togliendo e lanciando il turbante agli ayatollah.
Il cambio di rotta?
Negli ultimi giorni sono arrivate notizie sull’abolizione di “Gasht-e Ershad” ovvero la polizia morale. In realtà non si tratta ancora di un avviso ufficiale, ma semplicemente di un episodio in cui Mohammad Ja’far Montazeri, il procuratore generale del paese, in risposta a una domanda, ha dichiarato: “La polizia morale non ha nulla a che fare con la magistratura, ed è stata chiusa dallo stesso luogo in cui era stabilito in passato”.
A parte di questo episodio però le autorità della Repubblica islamica continuano a descrivere le proteste come “rivolte” e accusano i nemici tradizionali del Paese di fomentarle. L’ottusità politica del regime si scontra con la richiesta popolare sempre più crescente di un cambiamento profondo del sistema. C’è sempre meno paura per le repressioni tra i manifestanti sempre più estremizzati dalla brutalità delle forze di sicurezza e dalla cecità del sistema giudiziario, in particolare nelle città più piccole e nelle aree in cui si trovano le minoranze. Finora nessuna delle due parti ha mostrato segni di cedimento, sebbene all’interno del sistema stanno comparendo alcune crepe: alcuni ex alti funzionari insieme ad alcuni ecclesiastici sciiti e sunniti hanno criticato la testardaggine delle autorità e hanno chiesto l’apertura di un dialogo nazionale. Inoltre in alcuni video, gran numero di Imam delle città curde hanno pubblicamente chiesto al regime di fermare lo spargimento di sangue e di fare un referendum sotto la supervisione delle istituzioni internazionali delle quali si affida la popolazione iraniana.
Cosa vogliono davvero gli iraniani?
Gli iraniani non lottano solo per la libertà di costume. Le cause sono innumerevoli e le condizioni del paese sono preoccupanti in ogni aspetto. Gli iraniani, d’altra parte, non sono un gruppo omogeneo nella loro percezione della realtà. Le differenze e i disaccordi ci sono persino tra i membri della stessa famiglia e si sono fatti vedere, soprattutto, durante i mondiali di Qatar. Alcuni continuavano a tifare la nazionale di calcio senza se e senza ma, alcuni consideravano tale squadra lo strumento della propaganda del regime, alcuni cercavano di concentrarsi sulle questioni più importanti secondo i loro criteri, e alcuni “osservatori” cercavano di riassumere tutto in una frase affermativa. L’unica da pronunciare potrebbe essere “queste mosche sono davvero testarde”.