Ci sono ancora troppi veleni nel piatto degli italiani. A certificarlo è l’indagine 2022 di Legambiente sull’uso dei pesticidi in agricoltura, fatta in collaborazione con Alce Nero. Un’indagine che ha interessato 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera, analizzati nel 2021.
L’indagine ha evidenziato che soltanto il 54,8% del totale dei campioni risulta senza residui di pesticidi, evidenziando come l’impiego di sostanze chimiche nocive, utilizzate per combattere piante infestanti, insetti, funghi e prevenire il possibile sviluppo di malattie biotiche, sia ancora estremamente diffuso. La possibilità –ormai consolidata– di ridurre l’utilizzo dei pesticidi sia attraverso le strategie di lotta integrata che ricorrendo a tecniche di intervento o prevenzione alternative (tra cui: l’applicazione di corrette pratiche di gestione agronomica, l’agricoltura biologica, l’utilizzo di specie antagoniste e fitofarmaci di origine naturale) non sembra attecchire più di tanto se ancora nel 44,1% dei casi, dato in crescita, si riscontrano tracce di uno o più fitofarmaci.
La frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3%), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%). Tra gli alimenti trasformati, il vino e i cereali integrali sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 61,8% e il 77,7%. Per quanto attiene alla verdura, invece, il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui, solo il 33,3% dei campioni risulta invece contenente uno o più pesticidi. Più colpiti i peperoni con circa 38 categorie di fitofarmaci diverse, tra cui Acetamiprid (11%), Fluopyram e Imidacloprid (entrambi 8,8%), di cui il secondo revocato dal mercato nel 2020, Cypermethrina (5,1%), e con una quantità di multiresiduo superiore al monoresiduo, contando fino ad un massimo di 10 residui nello stesso campione.
Ai peperoni seguono i pomodori con 55% di campioni con almeno un pesticida. Il 57,9% dei campioni di prodotti trasformati risulta, inoltre, regolare e senza residuo. Il 41,4%, invece, contiene uno o più residui. Per quanto riguarda il miele, nella maggior parte dei campioni non sono stati riscontrati residui (67,5%). 2 campioni sono, invece, risultati irregolari a causa del superamento del limite. I più frequenti pesticidi risultano l’erbicida Glifosato (27,9%), N (2,4 Dimethylphenyl) Formamide (17,6%) e Amitraz (14,7%), raggiungendo in alcuni casi 8 residui presenti contemporaneamente. Si segnala, inoltre, la presenza di due neonicotinoidi: Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e Acetamiprid ancora permesso ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api.
Il rapporto considera anche la presenza dei pesticidi nelle acque e sottolinea che “nell’ultimo rapporto nazionale riguardante i pesticidi nelle acque redatto da ISPRA e riferito al biennio 2019-2020, sono stati analizzati 31.275 campioni per un totale di 426 sostanze attive ricercate. Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 55,1% dei 1.837 punti. Nelle acque superficiali si è verificato il superamento dei limiti ambientali nel 30,5% dei casi”. Specificando che “la sostanza maggiormente ritrovata è costituita dall’erbicida Glifosato e dal suo metabolita AMPA, seguiti da Metalaclor e il metabolita Metalaclor-esa. Tra i fungicidi, invece, sono stati ritrovati Azossistrobina, Dimetomorph, Carbendazim e Metalaxil”.
Tra i pesticidi più presenti troviamo (in ordine decrescente): Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram. Da segnalare sono altresì i residui di Thiacloprid rinvenuti in 2 campioni di miele, in 1 pesca e in 1 mela; tracce di residui di Imidacloprid sono stati rinvenuti in 34 campioni tra albicocche, arance, banane, carciofi, mandarini, peperoni, uva e pomodori. In entrambi i casi, si tratta di fitofarmaci revocati dal mercato dal 2020. A destare preoccupazione anche i residui di DDT in 2 campioni di derivazione animale (tessuto adiposo di cavallo e di bovino). In riferimento al biologico, il 91,1% dei campioni risulta regolare e senza residui. Non risultano inoltre presenti campioni con tracce multiresiduali. Per quanto riguarda i campioni con un solo residuo, la percentuale si attesta intorno al 5,4%, dato probabilmente legato al cosiddetto effetto deriva dovuto a coltivazioni convenzionali limitrofe.
Qui il Rapporto completo di Legambiente: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2022/12/Stop-pesticidi-2022.pdf.