In seguito all’invasione russa dell’Ucraina e agli inevitabili dibattiti e previsioni sugli esiti della crisi energetica le problematiche ambientali, se pur ancora al centro dell’interesse delle associazioni e dei gruppi nati per affrontarle, sembrano avere uno spazio ridimensionato rispetto agli ultimi anni nella stampa e nelle discussioni pubbliche.
Le sofferenze del pianeta e le ripercussioni su chi lo abita non ammettono tuttavia ulteriori ritardi ed esitazioni e giorno per giorno continuano ad ammonire sull’urgenza di un’inversione di tendenza riguardo al nostro rapporto con il pianeta che ci ospita.
Un esempio di inarrestabile impegno a sostegno della causa ambientalista è dato dai Forest Green Rovers, squadra di calcio che attualmente milita nella League 1 (terza serie inglese) nonostante rappresenti una cittadina, Nailsworth, di soli 7.700 abitanti.
Il club ha la sostenibilità al centro dei suoi progetti dal 2010, anno in cui fu salvato dalla bancarotta da Dale Vince, illuminato imprenditore nel settore delle energie rinnovabili con Ecotricity, insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico e nominato “Climate Champion” dalle Nazioni Unite per il suo impegno per l’ambiente.
Dale Vince ha voluto portare nei Forest Green Rovers tutti i principali asset della sostenibilità – energia, trasporti e alimentazione – e lo ha fatto in modo semplice e diretto attraverso pannelli solari sul tetto dello stadio, un prato trattato biologicamente, punti di ricarica per le auto elettriche nel parcheggio, divise realizzate dalle piante e una dieta vegana per tutto lo staff, i giocatori e i tifosi. Ne consegue che i FGR sono la prima squadra vegana al mondo e, su certificazione delle Nazioni Unite, la prima a emissioni zero.
Grazie all’interessamento e all’organizzazione della cooperativa The Human Exploring Society ho avuto la possibilità di intervistare Dale Vince e di comprendere le motivazioni alla base del suo impegno sociale.
Qual è stato il motivo che ti ha spinto a rilevare una squadra di calcio in piena crisi finanziaria e di risultati?
Ho amato il calcio fin dall’infanzia e ho spesso assistito alle partite casalinghe dei Forest Green; inoltre credo fortemente che questo sport, essendo il più popolare al mondo, sia un veicolo formidabile per la sensibilizzazione sulle tematiche ambientali.
I Forest Green Rovers sono dal 2015 la prima squadra vegana al mondo. Come è stato possibile raggiungere questo obiettivo in pochi anni?
All’inizio è stato necessario promuovere la conoscenza dell’argomento e dei danni che il consumo di cibi a base animale arreca a noi e all’ambiente. In realtà non ci sono state grosse resistenze. Di fatto i calciatori devono mangiare vegano solo in ritiro o prima delle partite; a casa possono fare quello che vogliono, non abbiamo certo il diritto di controllarli. Ma un numero sempre maggiore di loro ha iniziato a seguire la nostra alimentazione anche in famiglia, avendo notato gli effetti positivi sul campo.
In che modo i tifosi hanno accolto questa novità?
Inizialmente erano molto scettici, ma gradualmente ha prevalso la curiosità e si sono resi conto che anche il cibo vegano è gustoso e saporito, oltre che salutare per noi e l’ambiente.
Non è certo questo il contesto per parlare degli effetti di un’alimentazione vegana sui consumatori, ma puoi dirci, con esempi pratici, in che modo aiuta a rispettare l’ambiente? Alcuni oppositori del veganismo ritengono che anche la produzione di alimenti senza base animale provochi il consumo di grandi quantità di acqua, energia e terreno.
In primo luogo è una questione di sensibilità nei confronti del mondo animale: mangiare animali significa ucciderli. Inoltre bisogna riferirsi a risultati empirici che calcolino l’impatto effettivo della zootecnia e delle diverse colture sull’ambiente. Il consumo di carne presuppone che si impegnino acqua e cibo indiretti (usati cioè per alimentare coloro che saranno i nostri alimenti), per non parlare della quantità di terra o prati sottratti ad altri scopi o all’habitat selvaggio. In Inghilterra, ad esempio, la sola energia prodotta con l’erba porterebbe nel giro di qualche anno all’indipendenza energetica. Per non parlare della deforestazione e dei suoi effetti sul clima.
Quali sono gli effetti del veganismo sulle prestazioni calcistiche?
I risultati sul campo sono la testimonianza della bontà della nostra scelta; abbiamo vinto l’ultimo campionato di League 2, rinunciando ai cibi a base animale, grazie a una maggiore leggerezza e velocità, a un numero ridotto di infortuni e a un tempo di recupero ugualmente ridotto.
Le vostre magliette sono prodotte in modo biologico; esattamente come?
I materiali di realizzazione sono a base vegetale e abbiamo anche utilizzato gli scarti del caffè; prevediamo inoltre di utilizzare i pixel per produrre divise progettate digitalmente.
La parola al centro del vostro progetto è senza dubbio “sostenibilità”, intesa non solo in senso ambientale. In che modo simboleggia i valori della vostra squadra?
La sostenibilità deve essere intesa in senso ampio, onnicomprensivo, a partire proprio dalle relazioni umane. Il nostro è un progetto sostenibile perché tiene conto delle esigenze delle persone e si sviluppa nel tempo; non guarda solo ai risultati immediati, ma al benessere e al rispetto di staff e giocatori con cui si condivide un piano di crescita con al centro i nostri valori, tra cui quello della solidarietà e della giustizia sociale.
Sembra evidente che i FGR rappresentino anche un esempio di rottura nei confronti della tradizione nel mondo del calcio. Trovi riscontro di una certa opposizione al cambiamento in questo sport?
Certamente e l’Inghilterra è un paese particolarmente attento alla forma e alla consuetudine. In passato mi è stato impedito di essere presente a una partita della mia squadra in quanto, non indossando giacca e cravatta, non potevo accedere alla zona vip riservata al mio posto nello stadio. Non credo che molti addetti ai lavori vedano di buon occhio anche la crescita del ruolo delle donne all’interno del sistema calcio. A capo della nostra Academy c’è invece una giovane donna, Hannah Dingley, ma c’è ancora molto da fare affinché il maschilismo lasci spazio all’abbattimento dei pregiudizi.
Il tuo obiettivo è anche quello di rappresentare un esempio, un catalizzatore?
Certamente. L’esempio si dà con i fatti, nel nostro caso con i risultati sportivi e l’essere catalizzatori significa promuovere la replicabilità e la diffusione di nuove e buone pratiche.