Giovanni Giannilivigni (morto a Palermo all’età di 85 anni) fu un protagonista della Lega delle Cooperative, del Pci e delle lotte sociali. Un’avventurosa esistenza narrata nell’avvincente volume “Un comunista piccolo piccolo”, scritto insieme a Filippo La Torre e pubblicato dall’Associazione Informazione Libera.
Nacque a Palermo il 14 novembre del 1937, in pieno ventennio fascista. Entrambi i suoi genitori erano di simpatie monarchiche, ma Giovanni e i suoi fratelli Giuseppe e Lillo intrapresero strade politiche opposte e abbracciarono gli ideali comunisti. Giovanni fu dirigente delle cooperative tra il 1960 e il 1990. Giuseppe fu uno dei fondatori della Filcams Cgil di Palermo (lavoratori del mondo del commercio). Lillo (vittima dell’incidente aereo di Punta Raisi del 1978) fu dirigente della Fillea Cgil e del PCI. Dopo il disastro di Punta Raisi, a Lillo la Cgil intitolò la Camera del Lavoro dello Zen.
Mentre studiava in un istituto tecnico commerciale, Giovanni fu indirizzato in un noto pastificio dal ragioniere dell’azienda familiare di conceria. All’età di 16 anni, organizzò il primo sciopero dei lavoratori del pastificio, scatenando l’ira del proprietario che lo licenziò in tronco.
Giovanni non si perse d’animo e con l’aiuto del padre trovò occupazione in una conceria di proprietà di un amico di famiglia. Ma anche in questo caso la sua esperienza lavorativa si concluse in breve tempo a causa del suo carattere ribelle.
Quel comizio “galeotto”
Alla ricerca di occupazione, Giovanni si avvicinò alla politica, quando, in Piazza Politeama, fu folgorato da un comizio di Giancarlo Pajetta (leader storico del Pci e marito della giornalista Miriam Mafai). Ormai diciottenne frequentò la sezione comunista della Guadagna, una borgata palermitana, scatenando l’ira del padre, contrario per motivi politici, ma anche per i timori di ritorsioni da parte dei boss della zona ai danni di suo figlio.
Per protesta, Giovanni scappò e dormì per 3 giorni nelle panchine della stazione centrale di Palermo, ma fu convinto a rientrare a casa da Nino Agnello, docente di Matematica e dirigente della Federazione Giovanile Comunista Italiana.
Tuttavia, Giovanni Giannilivigni non abbandonò l’impegno politico; anzi, grazie al segretario provinciale della Figc Nando Russo, trovò occupazione proprio nel PCI, prima nel Centro Stampa, poi nella distribuzione del quotidiano l’Unità (la cui redazione locale era guidata da Giuseppe Speciale) e nell’attività di richiesta dell’autorizzazione delle manifestazioni in Questura. Infine, divenne autista del Partito. Tra i dirigenti che accompagnò nei “comizi volanti” in giro per Palermo e Provincia, vi furono anche Nicola Cipolla, Michele Sala, Giuseppina Vittone e Pio La Torre (ucciso nel 1982 insieme a Rosario Di Salvo).
Le attività di Giannilivigni al servizio del PCI furono retribuite fino a quando l’amico Nando Russo lo avvertì che le casse erano vuote e non avrebbero potuto pagare regolarmente lo stipendio. Gli propose allora di diventare dirigente della Fgci aprendo una nuova sezione a Termini Imerese e nelle Madonie.
Dalla rivolta contro Tambroni al terremoto del Belice
Nel 1958, Giovanni Giannilivigni fu uno dei protagonisti dell’occupazione del Cantiere Navale di Palermo. Finì in ospedale per le manganellate della Polizia. Attraverso il Comitato di Solidarietà Democratica (all’epoca guidato da Ela Petrone), denunciò il ministro degli Interni Amintore Fanfani, ma la prescrizione impedì la conclusione del processo. Intanto, la deputata comunista Anna Nicolosi riuscì ad ottenere l’annullamento della sospensione della patente di Giovanni Giannilivigni, in modo tale che potesse tornare nei paesi per le campagne elettorali.
Nel 1960 in tutta Italia vi furono i moti di piazza contro il governo Tambroni e l’alleanza tra Democrazia Cristiana e Movimento Sociale. A Palermo, in via Maqueda, l’8 luglio del 1960 la Celere (fondata dal ministro Mario Scelba) sparò sulla folla. Le vittime furono 4: 3 manifestanti (Andrea Cangitano di 14 anni, Giuseppe Malleo di 16 anni e Francesco Vella operaio di 42 anni) e una donna che assisteva dal balcone (Rosa La Barbera di 53 anni). Tra i feriti vi fu anche Lillo Giannilivigni.
Nel 1962, Giovanni fu rappresentante di lista nelle elezioni di Caccamo, dove un’agguerrita pattuglia comunista – guidata da amati dirigenti come Vera Pegna e Peppino Miceli – diede battaglia contro la Dc in Consiglio Comunale.
Nel 1968, Giannilivigni fu impegnato, assieme all’inseparabile fratello Lillo, nell’assistenza alle popolazioni colpite dal terremoto del Belice. Il sindaco di Gibellina Ludovico Corrao (comunista e cattolico) guidò le proteste dei cittadini della zona che si sentivano abbandonati dallo Stato italiano, mentre ricevevano preziosi aiuti dalle regioni rosse (Toscana in primo luogo) e dall’Unione Sovietica in primo luogo, ma anche da Cina, Cuba, Cecoslovacchia, Jugoslavia…
In seguito, Giovanni Giannilivigni coinvolse, nella Festa dell’Unità di Palermo, i cantanti Gianni Morandi e Little Tony e gli attori Franchi e Ciccio Ingrassia. Conobbe anche il poeta Ignazio Buttitta, simbolo della letteratura dialettale siciliana, nonché un gruppo di poeti russi che lo invitarono in Unione Sovietica, insieme a Svetlana, moglie del deputato comunista Gianni Parisi.
In quegli anni, Giannilivigni divenne protagonista del movimento cooperativo, prima palermitano e poi siciliano. Nel 1973 fu coinvolto anche nella fondazione della Confesercenti di Palermo e nello sciopero dei venditori ambulanti.
Il rapporto con Chinnici, Costa e Falcone
In quel periodo conobbe il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici (precursore del Pool Antimafia di Palermo e vittima della strage del 1983 in Via Pipitone Federico). Le circostanze furono burrascose perché dopo le manifestazioni, le forze dell’ordine denunciarono Giannilivigni per gravi reati e il giudice Chinnici gli consigliò un buon avvocato per difendersi al meglio. Ma poi l’inchiesta fu archiviata.
Cinque anni dopo, nell’incidente aereo di Punta Raisi morì Lillo Giannilivigni e il fratello Giovanni guidò con tenacia il comitato dei familiari delle vittime del disastro aereo. Inizialmente ebbe incomprensioni con il procuratore Gaetano Costa (altro martire dell’antimafia), che temeva una strumentalizzazione politica ed elettoralistica dell’incidente aereo, ma poi i due si chiarirono e Gaetano Costa apprezzò il sincero impegno di Giannilivigni per la verità e la giustizia sul disastro di Punta Raisi.
In seguito Giannilivigni conobbe un altro magistrato vittima della mafia, il giudice Giovanni Falcone (ucciso nella strage di Capaci). Falcone capì subito che Giannilivigni (di cui era noto l’impegno antimafia) non aveva alcuna responsabilità in una vicenda di finanziamenti elettorali da parte di un imprenditore e non vi fu alcuna conseguenza giudiziaria.
Il ricordo della Lega delle Cooperative
Negli anni successivi, Giovanni Giannilivigni proseguì l’impegno nel Pci, nella sinistra e nella Lega delle Cooperative: “Responsabile dell’ A.I.C.A, dirigente della Lega Coop Sicilia dal 1960 al 1990, Giovanni Giannilivigni fu un cooperatore illuminato. Condusse per anni lo sviluppo della cooperazione di consumo e dell’agroalimentare, introducendo grandi innovazioni! – ricorda oggi Filippo Parrino, Presidente della Lega delle cooperative siciliane – Fu un compagno attento che non accettò mai compromessi per il bene della cooperazione siciliana”.