Il giainismo è una religione dell’India che prende il nome dal Jina (il vittorioso), epiteto dell’asceta Vardhamana o Mahavira (540-468 a.C.), considerato l’ultimo di 24 profeti che rivelarono la dottrina necessaria per superare l’oceano delle esistenze, ovvero: retta fede, retta conoscenza, retta condotta. Quest’ultima consiste in 5 voti: oltre alla castità per i monaci e le monache, si intende di rinunciare al possesso, di non rubare, di non mentire e di non nuocere, includendo il vegetarianesimo e la cura degli animali.

Parlare di giainismo e di ecologia significa parlare in sostanza della stessa cosa in quanto l’ecologia è il pilastro portante del giainismo e non una corrente di pensiero sviluppatasi al suo interno (come il caso dell’ecoteologia in ambito cristiano). L’ecologia giainista è lo stile di vita del giainismo volto ad ottenere la liberazione dal saṃsāra (ciclo delle vite continue) e l’eliminazione del karma attraverso una serie di pratiche di austerità. L’idea centrale del giainismo è la nonviolenza, ahimsa, ovvero che prima di tutto non dobbiamo arrecare alcun male. Tutti noi dovremmo impegnarci a non arrecare alcun danno alla Natura, agli animali, alla Terra, alle foreste e alle persone.

Questo insegnamento centrale del Giainismo è stato reso famoso in tempi recenti dal Mahatma Gandhi che fu profondamente influenzato dalle idee del Giainismo. Ahimsa è il principio guida della sua lotta per la libertà sociale e l’uguaglianza e vuole dire di più di non fare male agli altri: significa non intendere provocare danno fisico, mentale o spirituale a qualsiasi parte di Natura, nelle parole di Mahavira: «tu sei ciò che vuoi danneggiare». La nonviolenza dovrebbe quindi essere lo spirito che ci guida nel nostro rapporto con la Natura, con gli ecosistemi e anche con il cibo.

Secondo il Tattvartha Sutra, tra le opere più importanti del giainismo, ci sono 8.400.000 specie di esseri viventi, ognuna delle quali è parte del ciclo della nascita, della vita, della morte, e della rinascita, e perciò è prezioso. Il giainismo auspica che perdono e amichevolezza possano regnare in tutto il mondo e che tutti gli esseri viventi possano prendersi teneramente cura l’uno dell’altro. Lo Stato del Gujarat, il più ad ovest dell’India, è la culla del giainismo e la capitale di Palitana, in cui ad oggi sono presenti i templi sacri jaina, è tuttora l’unica città dell’India in cui è vietata la presenza di macellerie e il consumo di carne: una città vegetariana e vegana per legge, oltre che per cultura. I monaci e le monache giainiste da sempre vivono con la mascherina sul volto, molto prima della Covid-19, e con una scopetta in mano con il fine di non respirare gli elementi viventi dell’aria, i piccoli insetti e i moscerini e per evitare di calpestare le formiche e i piccoli esseri viventi della Terra.

Sicuramente il più grande esponente mondiale dell’ecologia giainista è Satish Kumar, ex-monaco giainista da oltre cinquant’anni attivista contro la globalizzazione neoliberista, ambientalista attivo nei movimenti deep ecology ed ecopacifista. Definito dal New York Times come “una sorta di catalizzatore internazionale del pensiero non ortodosso”, Satish Kumar oggi dirige «Resurgence & Ecologist», una delle riviste più importanti della Gran Bretagna. Fondatore nel 1991 dello Schumacher College (centro internazionale per gli studi ecologici) ed attivista anti-nuclearista, è diventato famoso per la sua incredibile Marcia per la Pace, che ha toccato le capitali dei quattro principali Paesi dotati di armi nucleari in un viaggio a piedi di 13.000 chilometri. Autore di diversi libri tradotti in tutto il mondo, ha ricevuto moltissimi premi, tra i quali il Jamnalal Bajaj International Award per la diffusione dei valori gandhiani nel mondo.

Secondo Kumar ci sono tre concetti di ecologia: l’ecologia superficiale, profonda e reverenziale.

“Nell’ecologia superficiale la Natura deve essere protetta perché ci è utile, perché abbiamo bisogno di cibo, ossigeno, frutta e verdura. Insomma dobbiamo conservare la natura per il nostro uso e consumo. Questa concezione è superficiale perché la Natura viene ancora considerata come una risorsa per il nostro benessere e per la nostra economia” – sostiene Kumar – “L’ecologia profonda dice che non dobbiamo conservare la Natura solo perché ci è utile ma perché ha un valore in se stessa. Non proteggiamo la Natura perché è importante solo in relazione a noi ma per il suo valore profondo. La nostra relazione con la Natura è di mutualità e di reciprocità. Riceviamo e offriamo. L’ecologia profonda va ancora oltre dicendo che non esiste separazione fra esseri umani e Natura. Noi stessi siamo la Natura. Quindi non ha alcun senso creare una separazione. La cultura occidentale ha artificialmente separato gli esseri umani dalla Natura per dominarla, controllarla e sfruttarla. Per l’ecologia profonda la Natura e gli esseri umani rappresentano un unicum.”1

In aggiunta a questa cosmovisione, Kumar parla di “ecologia reverenziale” sottolineando che la Natura non è “cosa inanimata”, ma possiede un’anima sacra, uno spirito, una coscienza, una memoria e, per questa sua sacralità, va venerata oltre che protetta. 

“È una sorta di animismo che riconosce le sue caratteristiche divine. Da questo punto di vista la Natura non solo non è separata dagli esseri umani ma anche dal divino e diviene essa stessa una religione. La Natura è sacra così come la vita umana è sacra” – afferma Kumar – “Sia l’ecologia profonda che l’ecologia reverenziale rivendicano i diritti della Natura. Non essendo infatti la natura separata dagli esseri umani, essa è portatrice degli stessi diritti. Anch’essa ha quei diritti che noi chiamiamo diritti umani. I fiumi, i laghi, i mari, la terra, le foreste hanno diritti e l’ecocidio è un crimine contro la Natura e l’intera umanità. Purtroppo viviamo in un’epoca in cui l’essere umano ha prodotto impatti sulla quasi totalità dell’ambiente. Esistono oramai pochi luoghi nel mondo che non hanno subito interventi da parte dell’uomo. L’ecologia profonda e reverenziale chiedono non solo di fermare questa pressione ma di ristabilire l’equilibrio naturale restituendo le terre confiscate alla Natura e permettendo che si sviluppi vegetazione spontanea che possa riequilibrare gli ecosistemi alterati. Si tratta di promuovere un processo di rigenerazione delle terre”.

Alla base dell’ecologia giainista vi sono le idee di interdipendenza e di autocontrollo: tutto nella Natura è legato, e chi non si prende cura della Natura, non prende cura di sé stesso; siamo chiamati a ridurre al minimo le necessità e a non sprecare i regali della Natura perché come disse Gandhi «in questo mondo c’è a sufficienza per le necessità umane, ma non per le mancanze dell’uomo». Importante è la visione giainista sul cibo2 inteso come “atto ecologico” di mutualità e di reciprocità e non come merce pensata dalla società industriale: monocolture intensive basate sugli agrochimici, zootecnia intensiva per cibarsi di animali, OGM e produzione industriale di fake food (clean meat e plant-based meat) coltivati in laboratorio e brevettabili. Come afferma Kumar:

«Dobbiamo comprendere la Natura, non manipolarla. Gli Ogm e le nuove tecniche di manipolazione genetica non rispettano l’integrità della Natura che viene piegata a interessi particolari. Queste manipolazioni e questa corsa ai brevetti non nascono da reali bisogni ma, ancora una volta, da un modello di business che pensa solo al profitto. Non c’è alcuna necessità di modificare geneticamente gli organismi vegetali se non per acquisire la proprietà delle stesse varietà modificate e trarne profitto. Non abbiamo alcun bisogno di organismi geneticamente modificati. Pensare il contrario è semplicemente stupido»3.

Kumar spiega che il problema sta nella colonizzazione dell’immaginario e nell’eco-apartheid generata dall’industrializzazione spiegando come il mondo occidentale abbia creato un’uniformità che tende a invalidare le condizioni e le conoscenze locali di altri Paesi distogliendoci dalla consapevolezza del cibo e separando noi da ciò che mangiamo. A causa della mentalità riduzionista stiamo gradualmente perdendo la biodiversità di semi, cibi e piante e ci nutriamo sempre meno di biodiversità, sostituendola con alimenti sempre più malsani (carne), sintetici ed artificiali (junk food dei fast food e fake food). Dobbiamo invece accogliere la biodiversità vegetale che definisce il nostro Pianeta e le sue culture, perché sono inseparabili esattamente come noi siamo inseparabili dalla nostra salute e da ciò di cui ci nutriamo. Nutrirsi di cibo sano e locale è ben diverso dal nutrirsi di cibo industriale; nutrirsi di frutta e verdura è ben diverso dal nutrirsi di carne di allevamento; nutrirsi con diete vegetariane e vegane è ben diverso dal nutrirsi con cibi-chimere che cercano di imitarle.

Questo distacco tra noi e il cibo, spinto dal cibo industriale (d’allevamento o artificiale), risulta forzato in un’ottica di ecologia dell’alimentazione: da atto ecologico diventa un danno ecologico. La finalità del nutrirsi è procurarsi l’energia vitale, necessaria per la propria crescita e realizzazione. Mangiare e bere non possono ridursi a comportamenti meccanici di semplice rifornimento, ma rivestono un significato neurofisiologico legato alle emozioni (cibo emozionale) ed uno culturale, sacrale ed ecologico rispetto a noi stessi e al mondo che abitiamo.

Secondo l’ecologia giainista e Satish Kumar, uscire dall’industrializzazione significa uscire anche dal separatismo che la società industriale ha creato tra noi, il cibo, la salute olistica e la Natura.

 

1 https://www.terranuova.it/Il-Mensile/La-forza-slow-della-comunicazione-ambientale Intervista a Satish Kumar di Manlio Masucci, Navdanya International – Terra Nuova, 29 dicembre 2021

2 Satish Kumar: Food is a communal journey | Il cibo è un viaggio comune

https://www.youtube.com/watch?v=6jxRh2QBpe4