Il 21 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha “adottato all’unanimità la risoluzione 2667, decidendo che l’obbligo ai sensi della risoluzione 1807 (2008) del Consiglio per tutti gli Stati di dare preavviso al Comitato per le sanzioni 1533 di qualsiasi spedizione di armi e il relativo materiale — o qualsiasi prestazione di assistenza, consulenza o addestramento relativa alle attività militari nel Paese — non sarà più applicabile per il Congo”. La procedura di embargo era stata imposta nel 2008 nell’ambito della cosiddetta seconda guerra del Congo. In sintesi potrà comprare armi e ricevere assistenza militare senza che né il Congo né il Paese inviante debba darne comunicazione o ricevere autorizzazioni.
Musica per i venditori di armi che si apprestano ad accaparrarsi il recente incremento delle spese militari decise dal governo che dovrebbero raggiungere 1,4 miliardi di dollari. Come ha spiegato il presidente Félix Tshisekedi, “il governo ha destinato al settore della difesa e della sicurezza il 10,4% del budget complessivo, che rappresenta un aumento di oltre il 300% rispetto al budget precedente”. Ha poi sottolineato che si potrà così “determinare la tempistica degli acquisti da effettuare per il raggiungimento di precisi obiettivi delle Forze Armate». Nel dettaglio, il bilancio prevede l’acquisizione di armi e munizioni da guerra, mezzi logistici, il ripristino delle infrastrutture militari, l’addestramento e il reclutamento. Il Congo ha inoltre un vantaggio competitivo rispetto ad altri Paesi: non deve necessariamente avere la disponibilità economica per pagare le armi, perché può costruire accordi commerciali attraverso lo scambio delle ingenti risorse minerarie del suo sottosuolo. Le strade, gli ospedali, le scuole possono attendere.
Il Consiglio di Sicurezza ha deciso anche di prorogare di un anno il mandato della Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO). La forza militare della Monusco comprenderà 13.500 militari, 660 osservatori militari e ufficiali, 591 poliziotti e 1.410 membri delle unità di polizia. La rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Congo Bintou Keita ha dichiarato soddisfatta che la Monusco agisce seguendo tre priorità: la protezione dei civili, il programma di disarmo dei gruppi ribelli e la riforma del settore della sicurezza in Congo. Ha poi sostenuto che “il Movimento 23 marzo deve cessare immediatamente le ostilità, ritirarsi dalle località occupate e aderire al processo di disarmo”. Ma la replica del Movimento è stata: “Ritirarsi per lasciare le nostre famiglie nelle mani di FARDC (esercito congolese), FDLR (fronte di liberazione del Ruanda), MAI-MAI (ribelli antigovernativi), Nyatura (ribelli hutu) che le massacrano sotto lo sguardo impotente della vostra Monusco?”
Il governo congolese denuncia da anni il sostegno del Ruanda all’M23, ma da Kigali rispondono: “Come ogni altra nazione abbiamo il diritto all’integrità territoriale e ci riserviamo di difendere i nostri confini e i nostri cittadini dagli attacchi transfrontalieri. L’integrità territoriale del Ruanda è stata costantemente violata nel corso degli anni sia dall’esercito congolese che dalle FDLR […]. Il tentativo di gestire situazioni complesse semplicemente ripetendo e amplificando false accuse del governo del Congo non può portare a soluzioni”. Per il governo ruandese, inoltre, la Monusco, in atto da più di 22 anni, al costo di oltre 1 miliardo di dollari all’anno, ha ottenuto scarsi risultati tangibili.