Come Redazione Sebino Franciacorta ci sentiamo di indirizzare anche noi alcune lettere aperte al Sindaco Del Bono per raccontare pubblicamente ciò che succede in Lituania da molti anni.
Egregio Signor Sindaco Emilio Del Bono,
In questi giorni è giunta la notizia che Brescia, la città che insieme a Bergamo dovrebbe essere la capitale della cultura 2023, potrebbe pensare ad un gemellaggio con la città lituana di Kaunas. Essendo una presa di posizione grave, cogliamo l’occasione con questa lettera per spiegarle cosa è successo in questi anni in Lituania tra leggi ingiusti, repressione e violazione dei diritti umani.
La persecuzione politica di massa è iniziata dopo l’11 marzo 1990 con i segni di una rinascita del fascismo. Il famoso scrittore Ludas Dambrauskas l’ha definita profeticamente la “La tragedia dell’11 marzo”. Dal 1990 in Lituania vengono esaltati i criminali fascisti, che nel 1941-1944 parteciparono attivamente al genocidio degli ebrei, alle uccisioni dei comunisti, dei membri del Komsomol e dei prigionieri di guerra sovietici. Alcuni di loro hanno partecipato anche allo sterminio degli ebrei, di partigiani e della popolazione civile in Bielorussia. Alcuni di loro erano agenti della Gestapo o dell’Abwehr già dal 1935-1936, o dal 1940-1941 che nel dopoguerra divennero leader del movimento antisovietico. Manifestazioni di nazismo, xenofobia e feroce repressione politica erano iniziate molto prima, dopo il colpo di Stato autoritario del 1926 quando fu avviata una dura repressione contro i comunisti locali, con l’uccisione di 4 dirigenti del Partito Comunista della Lituania, e l’arresto di centinaia di suoi militanti.
Nell’agosto 1991, il Partito Comunista Lituano fu bandito e iniziarono le repressioni contro i suoi leader. Nel gennaio 1994, i leader del PCL, Juozas Jermalavičius e Mykolas Burokevičius, furono rapiti a Minsk, portati in Lituania e condannati a lunghe pene. In Lituania vi fu quella che alcuni considerano la prima “rivoluzione colorata” con tanto di presenza in loco del filosofo statunitense Gene Sharp, teorico di queste rivolte tutt’altro che nonviolente.
Nel 2004, la Lituania diventa membro dell’Unione Europea e si instaura un regime nazionalista violentemente anticomunista e russofobo, per la durissima repressione che aveva colpito in particolare centinaia di militanti comunisti dopo la messa fuorilegge, tuttora in vigore, del loro partito. Una fase caratterizzata da violenze inaudite, imprigionamenti, torture e pesantissime pene detentive. Si tratta di quella parte del Paese che non aveva obbedito alla demagogia nazionalista che oggi governa il Paese con argomenti anticomunisti, anti-russi e nostalgici del collaborazionismo hitleriano, a sostegno sul fronte interno di politiche neoliberiste, che ha fatto arretrare sensibilmente il livello delle condizioni sociali di larga parte della popolazione rispetto all’era sovietica, e, sul piano estero, di allineamento all’imperialismo USA e alla NATO.
Tra le pesantissime condanne, ricordiamo quella a 12 anni di carcere duro inflitta al Segretario del Partito Comunista della Lituania, Mikolas Burakiavitsious1, senza alcuna considerazione dell’anziana età e delle sue precarie condizioni di salute. La durissima repressione che ne è seguita è raccontata nel volume scritto dalla giornalista russa Galina Zapoznikova2, ricco di testimonianze e dettagliate ricostruzioni degli avvenimenti che hanno preceduto il colpo di Stato nazionalista, della russofobia e della repressione durissima che ne è seguita contro chiunque abbia avuto anche solo il coraggio di mettere in discussione la versione ufficiale degli eventi storici. Una repressione che si è protratta per decenni e che continua ancora oggi quando, con il Partito Comunista sempre nell’illegalità, nel mirino sembrano essere finiti soprattutto gli attivisti dei diritti civili e dei lavoratori, della lotta contro la guerra e contro la corruzione.
Dal 2009, a Vilnius e a Kaunas, i neofascisti compiono azioni di massa e marce in cui si innalzano bandiere con la svastica, striscioni con slogan che incitano alla russofobia e all’antisemitismo come “La Lituania ai lituani. Fuori dalla Lituania i russi”. A tali azioni partecipano dalle 200 alle 3.000 persone senza che il governo si esponga. Nel giugno 2010, i membri del parlamento lituano hanno approvato il nuovo articolo 170 del Codice Penale della Repubblica di Lituania che afferma che chi “ha pubblicamente approvato i crimini di genocidio, o altri crimini contro l’Umanità o crimini di guerra che sono stati riconosciuti dalla legislazione della Repubblica di Lituania e dell’Unione Europea o da verdetti emessi da tribunali Lituani o internazionali (…) è passibile di un’ammenda o della privazione della libertà, mediante gli arresti domiciliari e l’incarcerazione fino a due anni di prigione”.Una legge a doppio taglio totalmente contraria alla libertà di opinione e di espressione, che è stata adottata senza che i cittadini lituani venissero interpellati – come del resto è accaduto con tutte le altre leggi antipopolari in questo paese – e senza dare loro la possibilità di cambiarla per vie legali.
Il 12 aprile 2011, è iniziato un processo antidemocratico contro il leader del Fronte Popolare Socialista, il politologo Algirdas Paleckis, giudicato proprio sulle base dell’articolo 170 del Codice Penale lituano. Paleckis è noto per il suo noto per il suo impegno antifascista, oltre ad essere membro dell’organizzazione per i diritti umani “World Without Nazism”.
La ragione invocata per l’apertura del processo contro Algirdas Paleckis è stata quella di aver messo in dubbio, durante un programma radiofonico, la versione “ufficiale” diffusa dalla propaganda di destra concernente gli avvenimenti del 13 gennaio 1991. Inoltre, le medesime accuse sono rivolte anche contro il Fronte Popolare Socialista in quanto “persona morale”. Algirdas Paleckis aveva dichiarato semplicemente che, durante gli avvenimenti del 13 gennaio 1991, vi erano degli agenti provocatori che avevano ricevuto l’ordine di sparare anche su lituani e ciò non ha niente a che vedere con l’articolo del Codice che si era invocato contro di lui. La propaganda mediatica che ne è seguita ha fatto di tutto per dipingere il Fronte Popolare Socialista come un “nemico della Lituania e dei suoi cittadini”. L’obiettivo di queste persecuzioni era quello di tarpare le ali alla resistenza contro le politiche sociali ed economiche dirette contro il mondo del lavoro e attuate da vent’anni dai governi nazionalisti lituani. Tuttavia, la legge in questione – l’articolo 170, introdotto in maniera antidemocratica nel Codice penale Lituano – ha avuto delle implicazioni ben più profonde. L’articolo del Codice Penale lituano proibisce in realtà a chiunque di negare “l’occupazione sovietica della Lituania”, gettando nel dimenticatoio come la “nuova, libera e indipendente Lituania” abbia perseguitato non solo molti dei russi rimasti nel suo territorio ma anche gli oppositori politici tra cui i marxismi, i socialisti e i comunisti.
La propaganda lituana ha vietato la “negazione dell’occupazione sovietica della Lituania” come pretesto storico per esaltare miti nazionalisti, negando il periodo sovietico che ha portato i lituani ad una economia molto fiorente rispetto alla situazione economica attuale. In tal senso, la classe politica lituana ha avviato negli anni una forte campagna anticomunista in cui i termini come “crimini socialisti e comunisti”, “dittatura comunista”, “occupazione socialista o comunista” o “la minaccia del comunismo” sono entrati nei discorsi pubblici allo scopo di indurre al “disgusto” (parafrasando Bismarck) verso socialisti e comunisti. Bisogna ricordare infatti che in Lituania è proibito dal 1991 a tutte le forze politiche di chiamarsi ufficialmente “comuniste”, il che spiega la scelta del nome di “Fronte Popolare Socialista della Lituania”. Il problema è che la persecuzione non è mai finita: in Lituania esiste un regime autoritario che ha perseguitato e continua a perseguitare duramente gli oppositori politici, nel silenzio totale dell’opinione pubblica europea, nonostante questa repubblica ex-sovietica faccia parte dell’UE.
Sicuri della sua sensibilità,
Redazione Sebino Franciacorta – Pressenza
2 Galina Sapožnikova è giornalista russa. Laureata alla Facoltà di giornalismo di San Pietroburgo ha iniziato la sua carriera nella redazione di Molodëž’ Estonij. È diventata corrispondente della Komsomol’skaja Pravda per l’Estonia, la Finlandia e la Svezia. È autrice di una serie di volumi sulla xenofobia e la diaspora russa. Ha vinto numerosi premi giornalistici, tra cui nel 2009 il premio dalla Federazione della stampa russa per la migliore opera giornalistica con il suo libro Arnold Meri: poslednij estonskij geroj (Arnold Meri, l’ultimo eroe estone).