Si spara sui migranti alla frontiera europea tra Bulgaria e Turchia. Il fallimento umanitario dell’Europa su un confine di antiche migrazioni.
C’era una volta Adrianopoli
Si può parlare di persistenza fisica di alcuni processi in determinati luoghi? Luoghi la cui memoria sia stata segnata da un evento particolare che sembra ripetersi sempre uguale nei secoli. Nel 378 la città di Adrianopoli fu teatro di uno scontro piuttosto cruento tra varie popolazioni Gote, provenienti da nord, e le truppe dell’Impero Romano d’Oriente, comandate dall’imperatore Valente. La storiografia successiva non ebbe problemi a scegliere quell’evento particolare come simbolo delle “invasioni barbariche”: la vittoria dell’esercito barbaro e selvaggio sull’imperatore Valente, morto nello scontro, il punto d’inizio di un processo di “invasione” – di migrazione e integrazione, diremmo noi – da cui non si tornerà più indietro.
Oggi, con un capovolgimento di fronte, si gioca un’altra partita, ma sullo stesso campo. Adrianopoli non esiste più e a raccontare l’antica città romana rimane un modesto museo. È cambiato il nome – che ora è Edirne – ed è cambiata “amministrazione”, essendo la città all’interno dei confini turchi. Non è cambiato, però, ciò che accade. Adrianopoli/Edirne non smette di essere frontiera di un mondo desiderabile e irraggiungibile, schermo, spesso illusorio, per molte persone che vorrebbero accedervi e non possono.
Il confronto con la storica battaglia di Adrianopoli non reggerebbe se si volesse prendere in esame la forza bellica dello scontro. Ma la violenza rimane.
Intensificazione dei flussi migratori
Già ad agosto si incominciava a parlare di un’intensificazione dei flussi migratori diretti dalla Turchia alla Bulgaria. Particolare risonanza mediatica aveva avuto la notizia della morte di due ufficiali di polizia bulgari, a seguito di uno scontro con un bus contenente 48 persone che provavano ad entrare nel paese europeo. E se il caso non era stato ripreso dalla stampa italiana (che da sempre si occupa di più, per evidenti ragioni, della tratta che porta all’Europa attraverso il Mediterraneo), certamente aveva acceso diversi umori a Sofia. Oltre alla prevedibilissima reazione di esponenti dell’estrema destra, come i membri del partito Revival, peculiare era stata la reazione – non dissimile – del ministro degli interni Ivan Dermendzhiev, che aveva citato una “guerra dei trafficanti contro la Bulgaria, alla quale risponderemo con tutto il nostro potere”.
Sembra pacifico constatare che su tanti livelli – politico, mediatico, espressivo – la narrazione dei processi migratori diretti in Europa assuma spesso le forme della narrazione bellicista, di guerra. E chissà che questo tipo di narrazione non abbia avuto un certo impatto nell’amministrazione “ordinaria” di questo tipo di fenomeni, all’interno dei quali, come evidenziato da “Black Book of Pushbacks”, trovano sempre più spazio violenze gratuite, detenzioni prolungate e trattamenti non conformi al diritto internazionale né tantomeno al diritto europeo. I confini bulgari possono essere presi ancora una volta come esempio.
Respingimenti e violenze al confine
Ad inizio mese alcuni media turchi hanno riportato e documentato la morte per ipotermia di un migrante, respinto dagli agenti di frontiera bulgari proprio ad Edirne. La pratica del respingimento (pushback), spesso accompagnata dalla requisizione di telefoni, denaro, documenti e scarpe, oltre essere “inumana e non compatibile con il diritto internazionale” – come riportato dall’associazione turca Multeci-Der – è anche stata precedentemente condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani, che aveva preso in esame un caso simile, avvenuto in Grecia nel 2014.
Il trattenimento di 12.000 persone, come aveva dichiarato a inizio novembre il ministero dell’Interno bulgaro, e i conseguenti arresti, non sono serviti evidentemente a fermare l’aumento esponenziale delle violenze sul confine. L’impressione è quella che non si possa parlare di “mele marce, ma di un intero frutteto andato a male”, come riportato in Black Book Of Pushbacks: un problema che si vorrebbe circoscritto, sporadico, e che invece è strutturale.
Il 3 dicembre Sky News ha riportato la testimonianza video (risalente al 3 ottobre) di alcuni ragazzi provenienti dalla Siria. Il video, analizzato dall’associazione non-profit Lighthouse, mostra Abdullah El Rustum Mohammed, 19 anni, venire colpito da un colpo di arma da fuoco. È stato possibile ricostruire, dalle parole del ragazzo e dal lavoro svolto sul video stesso, lo scenario e le dinamiche con cui si sono svolti i fatti. Meno di una decina di ragazzi si trovano al confine con la Bulgaria. Dietro la barriera di filo spinato si possono notare un Land Rover Discovery e alcune persone evidentemente appartenenti alle forze di polizia bulgare – sebbene la ricostruzione degli eventi sia stata contestata dal Ministero dell’Interno, la presenza degli agenti è stata riconosciuta e confermata dagli stessi. In un clima di tensione evidente nasce un diverbio: il gruppo di ragazzi accusa gli agenti di star cercando alcune ragazze con l’intento di usare violenza sessuale su di loro. Gli agenti accusano il gruppo di essere violento, di aver ferito un uomo con il lancio di una pietra e di aver bruciato alcuni oggetti. Si sente un primo sparo in aria, mentre un secondo sparo ferisce Abdullah El Rustum, ferendolo alla mano e al petto. Il gruppo soccorre il migrante, i cui organi vitali sono rimasti fortunatamente illesi.
Sparare sui migranti
Si tratta del primo video che mostra gli agenti di frontiera di un paese europeo sparare proiettili veri su migranti che tentano di entrare in un paese, con l’intento di ferire, se non di uccidere. Molte cose si potrebbero dire e molte riflessioni andrebbero fatte. Si tratta del primo video di pubblico dominio che mostri dinamiche così violente nel respingimento di migranti, ma la sua stessa esistenza documentaria lascia pensare che non sia l’unico, o che comunque questo tipo di interventi non siano nuovi alla polizia dei confini europei; l’aumento esponenziale della violenza nei confronti di persone che tentano di passare il confine europeo non può essere causato dalla cattiveria, dal trasporto emotivo o dalla negligenza di alcune persone, ed è evidente che il problema non sia né accessorio né marginale – si noti poi che le stesse dinamiche coinvolgono gli organi di controllo di più stati europei. Infine, è importante sottolineare il sostanziale fallimento, per lo meno dal punto di vista etico ed umanitario, di una politica che tende a creare “hub” di contenimento dei flussi migratori, come in Turchia e in Libia.
Insomma, gli scontri ad Adrianopoli non si sono mai fermati, ma proseguono, imperterriti e silenziosi. Intanto la Bulgaria, alle prese con l’esclusione dall’area Schengen e la nomina di un nuovo candidato a presidente del consiglio, il neurochirurgo Nickolay Gabrovski, cerca un periodo di stabilità dopo una lunghissima, e forse non ancora esaurita crisi politica.