Abbiamo affrontato con Vittorio Agnoletto alcuni temi che attengono alla salute pubblica
La situazione della sanità pubblica è costantemente denunciata dai sindacati dei sanitari: c’è una volontà politica di smantellare la sanità pubblica?
Sì, certo, la volontà è di smantellare totalmente la sanità pubblica, perché in ambito sanitario, dal punto di vista dei privati, è possibile creare un’enorme business e trarne grandissimi profitti. A tal proposito ricordo che WikiLeaks rese pubblico parte del contenuto di un incontro riservato avvenuto nell’ambito del TISA (Trade in Services Agreement – Accordo sugli scambi di servizi, n.d.r.), dove i rappresentanti dei fondi finanziari dicevano che la sanità è l’ambito che può produrre maggiori profitti a vantaggio degli investimenti privati, a patto che gli Stati, gli Enti religiosi e le Fondazioni si ritirino dalla gestione della sanità.
La nostra sanità pubblica viene costantemente smantellata a favore di interessi privati.
Quali sono gli effetti dell’intervento del privato nella sanità?
Nella sanità il privato interviene ovviamente con l’obiettivo di ottenere dei profitti. Il profitto in sanità si ottiene sui malati e sulle malattie. Il privato quindi non è interessato alla prevenzione, che anzi diventa antagonista ai propri scopi. Un’efficace prevenzione diminuisce il numero di malati e quindi i profitti. Per la sanità pubblica invece la prevenzione è una fonte di risparmio di denaro pubblico.
In sanità pubblico e privato hanno quindi obiettivi e interessi completamente diversi.
Durante la pandemia la sanità privata non è stata in grado di far fronte ai bisogni sanitari dettati dalla pandemia, il SSN, seppur con grande fatica, lo ha fatto. Non siamo imparando nulla da questa esperienza?
Purtroppo non stiamo imparando proprio nulla. Faccio l’esempio della Lombardia perché in quella regione il sistema liberista è più avanti nella privatizzazione della sanità rispetto a tutta l’Italia. Il rischio vero, quindi, è che il modello Lombardia diventi il modello italiano. Se la Lombardia fosse una Nazione indipendente (come voleva Bossi) sarebbe al settimo posto a livello mondiale per decessi da Covid, con oltre 440 decessi attribuiti al Covid ogni 100.000 abitanti.
I problemi sono principalmente due:
– la sanità pubblica (è un dato anche su scala nazionale) è fortemente penalizzata a causa dell’accreditamento dei privati, che, oltre a non intervenire nella prevenzione, non sono interessati alla medicina di emergenza-urgenza perché produce profitti limitati rispetto ad altri settori della sanità;
– siamo soggetti ad una concezione della medicina incentrata esclusivamente sulla cura del malato. L’approccio dovrebbe al contrario essere quello di tenere le persone in salute, prevenire le malattie. Inoltre, l’approccio sanitario è sempre più orientato alla cura attraverso l’utilizzo di strumenti altissima tecnologia destinati ad un numero limitato di interventi, mentre l’insieme del servizio sanitario è del tutto trascurato.
Senza dimenticarsi che nessun Paese al mondo può fermare una pandemia puntando esclusivamente sul sistema ospedaliero. La pandemia si ferma mediante la medicina territoriale, che è stata abbandonata. I medici di famiglia sono abbandonati a sé stessi e sono in numero del tutto insufficiente. Solo in Lombardia mancano circa 1.000 medici di famiglia.
Come si affronta una pandemia?
Con i piani pandemici, con i sistemi di allertamento, con l’assistenza domiciliare, con la prevenzione. Tutto ciò non ha funzionato nella pandemia, le persone quindi si sono riversate nei pronto soccorsi, che di conseguenza sono collassati, i posti letto sono venuti a mancare e ci siamo trovati nel disastro. Nel 1981 c’erano 430.000 posti letto nel SSN, nel febbraio del 2020, periodo d’inizio della pandemia, ce n’erano poco meno della metà. Una situazione gravissima.
Si è molto battuto per la sospensione dei brevetti dei vaccini per il Covid. Si sta inoltre battendo per una produzione farmaceutica da parte di enti pubblici. Il vaccino è un valido strumento di prevenzione contro le pandemie?
Negli ultimi 40 anni I tempi di distanza tra una pandemia e l’altra sono diminuiti. Una pandemia, oltre alla prevenzione e alla medicina territoriale, se si riesce ad individuare velocemente l’agente infettivo e a produrre il vaccino, si affronta con i vaccini. Ciò che in medicina chiamiamo vaccino è un farmaco che blocca la trasmissione dell’agente infettivo. Il problema più grande è che oltre sette miliardi di persone hanno la loro salute affidata ad un gruppo ristrettissimo di consigli di amministrazione di grandi multinazionali farmaceutiche. I quali grazie agli accordi TRIPS mantengono il monopolio nella produzione dei vaccini e dei farmaci per 20 anni. Tale situazione ha condizionato questa pandemia, la pandemia da HIV ed è quello che rischia di ripetersi nel futuro.
Cosa si può fare per risolvere questo stato di cose?
Nell’immediato noi abbiamo appoggiato la proposta avanzata da India, Sudafrica e appoggiata da oltre 100 Paesi, di far scattare una moratoria di tre anni per i brevetti sui vaccini, sui kit diagnostici e di socializzare il know how. Proposta che non è stata approvata in particolare a causa dell’opposizione dell’Unione Europea appoggiata soprattutto da tre Governi: Germania, Francia e Italia. Questa situazione non riguarda solo i vaccini, ma anche i farmaci antiretrovirali. Per quanto riguarda il futuro sosteniamo la necessità di un’Agenzia europea pubblica di ricerca e produzione dei farmaci (anche i vaccini quindi, n.d.r.). Il Parlamento Europeo ha finanziato una ricerca coordinata dal Prof. Massimo Florio per valutare la fattibilità economica di tale progetto.
La prima fase della ricerca è stata conclusa a settembre, è stata presentata davanti a Commissione, Consiglio e Parlamento europei. La tesi si basa su un principio molto semplice: se si destinasse la stessa cifra stanziata annualmente per l’ESA, in pochi anni saremmo in grado di avere un’Agenzia pubblica del farmaco europea in grado di produrre ogni anno alcune decine di farmaci nuovi. Un progetto fattibile e prioritario.
Qual è il ruolo delle startup nella ricerca farmacologica?
La ricerca per i nuovi farmaci, quella biologica, quella di prima fase, è ad oggi raramente condotta dalle grandi aziende. E’ in genere condotta dalle startup che lavorano mediante finanziamenti pubblici. Le grandi aziende intervengono poi con l’acquisto del brevetto, lo sviluppano e lo commerciano forti della loro struttura. Il progetto dell’Agenzia pubblica si può collocare in questo scenario in continuità con l’attività di ricerca – già pubblicamente finanziata – delle startup. Il problema nella realizzazione di questo progetto risiede nei Governi europei.
Un Ente pubblico con queste prerogative esiste a Cuba, l’Istituto Finlay ha peraltro sviluppato un vaccino per adulti, un vaccino pediatrico e un booster, per combattere la pandemia.
Cuba è una società diversa dalla nostra, ma è di tutta evidenza che il progetto dell’Agenzia pubblica europea è assolutamente fattibile. Cuba è peraltro l’unico Paese ad aver sviluppato e prodotto un vaccino pediatrico specifico, sviluppato fin dalla fase iniziale come vaccino destinato ai bambini. Non ha utilizzato un vaccino per adulti tentando di adattarlo per ricavarne un vaccino pediatrico. Lo sviluppo di un vaccino pediatrico specifico risponde pienamente alle linee guida dell’EMA. Quindi Cuba da questo punto di vista rappresenta un esempio. Lavorando in questo modo si può risparmiare moltissimo, il prezzo dei vaccini, che gli Stati acquistano, sarebbe notevolmente più basso.
Vaccinare è quindi utile?
Posto che, come affermato poc’anzi, in medicina chiamiamo vaccini i farmaci che bloccano la trasmissione dell’agente infettivo da un soggetto ad un altro, vaccinare significa mettere in sicurezza il servizio sanitario, perché non vengono messi in crisi i reparti di medicina di emergenza-urgenza e i reparti di cura. Vaccinare significa anche ridurre il numero di persone che s’infettano, ridurre il numero di persone che si ammalano, ridurre, tra l’altro, il numero di persone che a causa del contagio non possono andare a lavorare. Il vaccino ha quindi un impatto positivo sull’insieme della società.