Una giornata importante quella di ieri al Comune, organizzata dall’Ufficio della Garante di Torino Monica Gallo
Una giornata che ha visto sei panel di approfondimento, l’ultimo dei quali al Centro Studi Sereno Regis, che ha visto la presentazione del libro “Respinti” di Luca Rondi, firma di Altraeconomia.
I panel hanno visto la partecipazione del Garante Nazionale, nella persona di Elena Adamoli, e di alcuni Garanti territoriali. Un convegno certamente accurato ed esaustivo, coordinato da Carolina Di Luciano.
Occorre una considerazione di fondo solo apparentemente lapalissiana: in un’Italia in cui i diritti venissero rispettati, non ci sarebbe bisogno di un organo di garanzia. Il ruolo del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale è quindi quello di collaborare con lo Stato affinché vengano rispettati i diritti delle persone ristrette, private quindi della libertà personale.
Ma, in un’accezione a nostro modo di vedere più calzante, il ruolo del Garante è quello di educare lo Stato, che appare come un adolescente difficile. Non è un caso che l’Ufficio del Garante Nazionale sia nato su quella che di fatto è stata una pressione da parte dell’Europa e che ci sia un Garante dei diritti solo per le persone ristrette e non più in generale per i diritti dei cittadini. Un esempio lampante riguarda il diritto al dissenso, costituzionalmente garantito, ma costantemente minacciato.
Un quadro di luci e ombre quello che è emerso dall’interessantissima giornata di discussione, che ha affrontato un argomento che, benché centrale, è poco divulgato. Il rimpatrio forzato è, o dovrebbe essere, il motivo per il quale le persone migranti vengono private della libertà senza aver commesso reati. Il fatto che la percentuale di rimpatri si attesti al 50% circa delle effettive detenzioni è indicativo dall’atteggiamento, o meglio, delle politiche adottate dallo Stato in materia di immigrazione.
Sono intervenuti i “Monitor” ovvero quelle figure, facenti parte della rete italiana dei Garanti, che assistono alle operazioni di rimpatrio, non interferendo ma rilevando “eventuali” criticità che poi trasmetteranno al Garante Nazionale. Per la persona migrante, che ha fatto una scelta di vita “definitiva”, il rimpatrio rappresenta il fallimento di un progetto di pura speranza, intrapreso a scapito di radici, affetti, integrità fisica e psicologica, verso l’ignoto.
E’ notevole la responsabilità del migrante, scelto dalla famiglia o da un ambito più allargato perché il migliore, più intelligente e più sano. Sarà un costo continuo per chi da casa sostiene il viaggio, sarà preda della cupidigia e crudeltà dei trafficanti di esseri umani, sarà costretto a continuare a chiedere soldi passaggio dopo passaggio. E’ ormai sempre più difficile trovare lavoro nella tappe forzate del viaggio. Sentirà quindi il debito contratto con i propri cari e la responsabilità di esser estato scelto per migliorare la vita di chi ha investito su di lui, inviando cospicua parte dei guadagni sudati nelle “civili” terre europee. Il rimpatrio è il fallimento di tutto ciò.
Sono diverse le fasi che attengono al rimpatrio forzato: la fase “preliminare”, ovvero la comunicazione, le operazioni di raccolta e consegna degli averi, alcuni dei quali, come il telefono personale, spesso sottratti all’interno del CPR, la perquisizione personale. La comunicazione di rimpatrio forzato avviene di notte o alle primissime luci dell’alba, senza alcun preavviso, nonostante la normativa preveda 24 ore di preavviso. Ma spesso non viene comunicato il rimpatrio, spesso la persona si aspetta, vana speranza, di essere ricollocato in un altro CPR. Le domande specifiche vengono spesso rimandate al prossimo operatore che lo prenderà in carico.
Questa prima operazione che avviene nel CPR, viene affidata a personale di sicurezza non debitamente formato, è quindi soggetta al dirigente di turno, quindi alla “visione” che ha dell’immigrazione e del migrante. Alla persona rimpatrianda non viene consegnata la cartella clinica: una volta arrivata a destinazione non ha modo quindi di produrre documentazione di eventuali patologie e farmaci assunti. Non è peraltro debitamente formato il personale di sorveglianza e sicurezza che opera nel CPR, nel quale in generale gli agenti non vogliono lavorare.
La visita di idoneità al viaggio viene effettuata, in generale, dal medico contrattualizzato dall’ente gestore del CPR e non dall’ASL. Non viene effettuata una valutazione psicologica prima della partenza, la gestione quindi di eventuali problemi comportamentali patologici durante il viaggio viene scaricata sulla scorta: 2/3 agenti per ogni rimpatriando. Il medico presente al viaggio spesso si sente più come medico della scorta che degli “scortati”.
Dopo la fase preliminare i rimpatriandi vengono consegnati alla scorta. Le scorte internazionali, su pressione europea, sono ora debitamente formate, i viaggi avvengono sempre in aereo, spesso su voli di linea alla presenza di altri passeggeri, impensabile quindi che il personale di scorta non sia formato, che soprattutto dimostri eventuali eccessi di uso della forza, o eventuali incapacità, che in presenza di “altri occhi” metterebbero in grave imbarazzo le istituzioni, “ree” del rimpatrio.
Gli elevati costi di rimpatrio forzato e di gestione dei CPR rendono incomprensibile questo tipo di gestione, che di fatto ritiene la persona migrante un pericolo, quando non un nemico. Una criminalizzazione di fatto, demagogica e costosa.
Il compito del Monitor finisce quando la persona migrante scende dalla scaletta dell’aereo, non ha attualmente modo di sapere quindi qual è il destino del migrante deportato nel Paese di destinazione, come verrà trattato, se eventuali patologie saranno curate. E’ in corso l’attuazione di un protocollo con la Georgia, ma è l’unico stato di destinazione di rimpatri forzati con il quale è in atto un accordo di questo genere.
Peraltro non esiste una normativa specifica sui rimpatri forzati, cosa che lascia ampio spazio alla discrezionalità, affidata al “sentire” del dirigente delle operazioni e dell’agente. Lo stesso capita per la gestione dei CPR: è stato analizzato l’ultimo “Regolamento CPR”. In assenza di una normativa di legge puntuale, è stato emesso, ancora una volta, un regolamento, un Decreto del Viminale, che come tale non ha avuto discussione parlamentare. Il legislatore è assente, il tutto è affidato all’Esecutivo, il cui ruolo non è certamente quello di normare.
Il nuovo regolamento continua a lasciare ampio spazio alla discrezionalità, affidata a chi opera a vario titolo nei CPR. Discrezionalità che spesso disattende non solo il regolamento stesso, ma anche e soprattutto l’Ordinamento, che sebbene non specifico sul tema, sancisce dignità e diritti della persona. La detenzione amministrativa, esercitata nei CPR, avviene nella più ostinata opacità, lontana dagli occhi della cittadinanza e della stampa, ecco perché la figura dei Garanti è fondamentale e centrale, tra l’altro nella – salvo rarissimi casi – assenza della politica.