Il 28 Novembre del 2021 Wissem Ben Abdel Latif muore nel reparto psichiatrico dell’ ospedale San Camillo di Roma, legato in contenzione in un letto sovrannumerario in corridoio
Wissem è stato sottoposto ad una terapia farmacologia estremamente pesante, senza mai incontrare nemmeno un mediatore che lo aiutasse a interloquire col personale medico e infermieristico.
Era arrivato a Lampedusa il 2 Ottobre dello stesso anno e dopo alcuni giorni sopra le navi quarantena era stato trasferito al CPR di ponte Galeria. Wissem documenta quanto sta accadendo attraverso un telefonino fino al 14 ottobre, poi il silenzio fino al 3 Dicembre, giorno in cui si verrà a sapere della sua morte. In quello stesso giorno ne verrà informata la famiglia che nomina come avvocato difensore Francesco Romeo. Inizia il travagliato percorso che ha portato in questi mesi all’apertura delle indagini contro 4 persone per omicidio colposo e falso in atto pubblico, ma siamo ancora lontani da Verità e Giustizia per un giovane che fin dal suo arrivo non ha mai avuto accesso ai suoi diritti: il diritto a chiedere protezione internazionale fin dal suo arrivo, il diritto alla cura ed il diritto ad essere liberato. Il 26 Novembre 2021, un giudice di Siracusa ne ordinò la liberazione in una sentenza: Wissem era pesantemente sedato e contenuto e non ricevette mai questa notizia
Nel marzo del 2022 si costituisce un Comitato di Verità e Giustizia per Wissem.
Chi era Wissem ed il percorso che come lui in tanti giovani tunisini decidono di intraprendere lo racconta Giulia Beatrice Filpi che ha incontrato in Tunisia la madre Henda e Rania in un’intervista in un articolo su Napoli Monitor: le persone giovani che incontro in Tunisia hanno tutte un desiderio bruciante di viaggiare. Di sfidare il regime elefantiaco di visti, burocrazia e restrizioni che li separa dal mondo e limita pesantemente la loro libertà di circolazione. Questo era anche il desiderio di Wissem, «da quando era ragazzino voleva lavorare all’estero, conoscere altri paesi», spiega sua madre.
Wissem amava le belle moto, il rap, Bob Marley. La sua passione era il calcio, il suo cuore batteva per il Club Africain, una delle due principali squadre della Tunisia, quella più popolare. Stava bene, non aveva nessuna traccia di quel “disturbo schizo-affettivo” che invece gli viene diagnosticato con una sola visita l’8 novembre nel Cpr di Ponte Galeria.
Per i familiari l’attesa di risultati tangibili diventa ogni giorno più difficile. Si sentono dimenticati da media e istituzioni italiani, dicono, per non parlare di quelli tunisini. A Henda è stato sconsigliato di continuare a lavorare, in ragione della sua condizione psicologica. Con il padre di Wissem, che incontro di sfuggita, non parlo, ma parlano per lui i suoi occhi stanchi e forse rassegnati.
Rania e Henda si dicono pronte, comunque, a intervenire in dibattiti e incontri, a conoscere attivisti, ad andare in Italia, se necessario a sensibilizzare sulla storia di Wissem. L’importante, dicono, e che la ricerca di verità e giustizia faccia concreti passi in avanti. «Per Wissem, e perché la sua storia non si ripeta.
Wissem aveva un sogno, come ogni giovane del mondo voleva vivere e viaggiare per un futuro migliore. Il nostro Paese e le frontiere che caratterizzano il sistema Europa hanno ucciso l’uomo ed il sogno.
In ricordo di Wissem, combattente di frontiera, e per ribadire l’impegno della famiglia e di noi tutti ancora una volta, il 28 Novembre saremo di fronte al cancelli del San Camillo in flashmob dalle 18 alle 19.
Comitato verità e Giustizia per Wissem.
Wissem Abdel Latif, il film: