Due manifestazioni di valenza nazionale nella stessa giornata di sabato 5 novembre: una per la pace e contro le armi, a Roma, l’altra a Napoli a sostegno della lotta del collettivo ex-Gkn, ormai integrata con la mobilitazione per il clima del movimento Fridays for Future e di molti altri movimenti in difesa dell’ambiente e della salute, in un processo di convergenza che ormai ha coinvolto anche la lotta degli studenti della Sapienza di Roma. Più altre manifestazioni per la pace e contro le armi sparse in tutta Italia, (e una per la pace, ma con le armi, cioè per la guerra, a Milano).
Per la prima volta questa moltiplicazione di eventi non è una manifestazione di rivalità tra sigle contrapposte, ma espressione della ricchezza di un movimento che dominerà la scena nei prossimi mesi: troppe poste in gioco, troppe lotte in corso, troppi territori da coprire, troppi attori collettivi in campo per poter unificare tutto in un’unica adunata.
Ma c’è un punto fermo per tutti ed è il ruolo del collettivo dei lavoratori ex-Gkn, che dopo quasi un anno e mezzo di lotta, ha portato alla costruzione di una rete di solidarietà sia locale che nazionale, di una visione – se non ancora di un progetto – di conversione produttiva e di una convergenza, come si è visto chiaramente il 22 ottobre a Bologna, con molti altri movimenti di lotta, di cui sicuramente il più significativo è Fridays for Future: perché è quello che ha messo al centro la questione nodale del clima, premessa di ogni prospettiva di riconversione; perché è un movimento nazionale e internazionale le cui acquisizioni possono diffondersi attraverso le sue mille articolazioni; perché è composto soprattutto da giovani, cioè dalle vittime designate della guerra alla Terra scatenata dalle classi dominanti di tutto il mondo, ma anche protagonisti di una lotta per la salvezza del pianeta tradita da quelle stesse élite.
Ma il contributo della ex-Gkn è altrettanto significativo: sviluppando il modello della Rimaflow, ma con molta più forza (perché la ex-Gkn è molto più grande, ha ancora il controllo di tutto il macchinario, ha costruito una rete di solidarietà molto più estesa e ha “fatto breccia” su tutti i movimenti, quasi quanto i No-Tav della Valdisusa) il collettivo ex-Gkn è approdato al progetto di una fabbrica pubblica socialmente integrata. Che cos’è?
E’ un – forse il – modello alternativo all’impresa capitalistica basata sul perseguimento del profitto, sull’accumulazione del capitale, sul mercato, di cui è al tempo stesso signora e succube (perché “va dove la porta il profitto” e lo si è visto con il tentativo di delocalizzazione); è una struttura gerarchica, autoritaria, cinica e spietata con i “dipendenti”.
La fabbrica pubblica socialmente integrata, come ha spiegato Dario Salvetti, è una realtà aperta a tutti coloro che intendono collaborare alla sua riuscita, che unisce, nei suoi impianti e in una rete di relazioni mutualistiche, produzione, cooperazione, ricerca, formazione, progetti pubblici, finanza etica, attività culturali, mercato di prodotti contadini e alternativi e quant’altro possa renderla ricca di vita e solidarietà. E’ pubblica, sottratta al giogo della proprietà privata, ma non è governata dallo Stato, bensì della collettività riunita e organizzata intorno al progetto e alle lotte che lo sostengono: una governance che in parte attua e in parte prefigura l’alternativa all’impresa capitalistica.
Ed è un modello per tutte gli altri collettivi che intendono perseguire la riconversione ecologica; soprattutto per quelle situazioni di crisi, delocalizzazione o chiusura, dove i lavoratori non hanno altra scelta, se non vogliono imboccare quei percorsi finti proposti dai governi senza mai approdare a nulla.
Ma è un modello anche per qualsiasi comunità in lotta e soprattutto per il movimento degli studenti e di Fridays for Future, che non possono più limitarsi a “fare pressione” sui governi perché adottino le misure necessarie a una vera transizione, o a rivendicarle. Dovranno prendere l’iniziativa per convertire anche loro scuole e dipartimenti in strutture socialmente integrate: cioè farne delle realtà aperte al territorio e alle sue comunità, dove l’istruzione non sia più trasmissione di saperi ingessati, ma verifica delle potenzialità di una collettività che prende in mano l’esistenza di tutti.
Con l’ingresso dei problemi del territorio nell’organizzazione della vita scolastica e della programmazione curricolare, con la ricerca e la sperimentazione di nuove modalità della didattica, con una cultura prodotta anche dal basso, con la riorganizzazione del trasporto e con la sistemazione degli studenti fuorisede, con la conversione degli stabili alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica e delle pertinenze della scuola in modelli di coltivazioni sostenibili. Per farne “casematte” di una resistenza e di un’offensiva contro i poteri che stanno trascinando il mondo alla catastrofe.