Con deroga al PiTESAI sarà possibile trivellare ovunque, anche su terra ferma. L’emendamento al DL Aiuti-ter approvato dal Consiglio dei ministri premia chi ha alimentato il caro-energia. La transizione energetica può attendere.
Con un emendamento al DL Aiuti-Ter approvato venerdì scorso, il Governo Meloni rompe il muro delle 12 miglia consentendo nuove trivellazioni in Adriatico anche fino alla distanza di 9 miglia marina dalle linee di costa. Viene così meno il divieto di nuove attività di ricerca e coltivazione di gas che, fatte salve alcune eccezioni, era stato introdotto nella Legge di Stabilità 2016 modificando il precedente articolo 6, comma 17, del Decreto legislativo 152/2006, sulla spinta della campagna referendaria No Triv.
L’area marina interessata, posta al largo del Delta del Po e vasta 126 chilometri quadrati, è compresa tra il 45° parallelo, poco più a sud del Golfo di Venezia, e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro nel fiume Po. Qui si potrà quindi trivellare anche a solo 9 miglia dalla costa a condizione che si sfruttino giacimenti con un potenziale minerario di almeno 500 milioni di metri cubi: un vero incubo per i residenti ed i Comuni del Polesine, più volte duramente colpiti dal fenomeno della subsidenza.
Nella relazione illustrativa del provvedimento si citano ben 5 permessi di ricerca che insistono parzialmente o integralmente in quest’area e di questi, uno riguarda la costa veneta, con il 40% dell’area interessata oltre le 9 miglia e, quindi, potenzialmente coltivabile.
Obiettivo dichiarato del Governo è riammettere a produzione le concessioni presenti in Adriatico fino ad esaurimento dei giacimenti senza tuttavia considerare che parte di quelle concessioni è scaduta e che le concessioni hanno comunque una durata ben definita che prescinde dall’esaurimento o meno del giacimento.
L’emendamento approvato nel Consiglio dei Ministri introduce pesanti deroghe al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI): estende la misura prevista per l’area marina al largo del Delta del Po a tutte le aree marine, consentendo quindi il rilascio di concessioni per la coltivazione di gas anche tra le 9 e le 12 miglia marine per giacimenti con un potenziale superiore ai 500 milioni di metri cubi; inoltre prevedendo attività di ricerca e di estrazione di gas in alcune aree interdette, ma non ancora individuate, dal PiTESAI.
Lo sfruttamento ed il consumo del gas naturale, rendono ancor più dipendente famiglie ed imprese da una fonte energetica di cui il nostro Paese è povero.
Le riserve di gas accertate dal MITE al 31/12/2021, tra certe, probabili e possibili, ammontano a 111.075 miliardi di metri cubi ma la concreta possibilità di sfruttamento riguarda soltanto 70/80 di essi. Premesso che, secondo dati ARERA, nel 2021 i consumi di gas naturale hanno toccato quota 74 miliardi di metri cubi, le riserve nazionali di gas concretamente disponibili potrebbero far fronte alla domanda interna per 12 mesi o poco più.
Si tratta di quantità non disponibili tutte e subito e, comunque, non rinnovabili una volta esaurite. I freddi numeri ci dicono quindi che “sovranità energetica” e “nuove estrazioni di gas nazionale” sono un ossimoro e che l’approccio del Governo è dettato da una visione ideologica.
Ma non è tutto. Il nuovo mix energetico voluto da Meloni avrà immediate ricadute in termini di mancato rispetto degli obiettivi climatici ed ambientali che l’Italia si è impegnata a rispettare in sede internazionale. Ne consegue che anche il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) ed il PNRR, che si riconnette al primo, dovranno essere riscritti. C’è da stupirsi, a questo punto, che in sede COP 27 Meloni chieda di rallentare l’uscita dalle fonti fossili?
In un quadro di così lucida coerenza “fossile” non deve parimenti stupire che il Governo non abbia inserito nell’ordine del giorno della seduta del 4 novembre l’approvazione delle norme attuative sulle Comunità Energetiche Rinnovabili e le linee-guida per identificare le aree idonee su cui installare impianti fotovoltaici, misure attese da mesi e che potrebbero consentire la realizzazione di almeno 10 GW/anno di nuova generazione elettrica in un paese, come il nostro, “baciato dal sole” come pochi altri ma in cui metà della produzione di energia elettrica dipende dal gas.
Meloni e la sua maggioranza hanno, evidentemente, ben altre priorità.
Coordinamento nazionale NO TRIV