La notizia non ci ha sorpreso; tutta la campagna elettorale è stata infatti condizionata dal crescente consenso verso Fratelli d’Italia, il partito fondato dall’onorevole Meloni e dalla possibilità che a ricoprire il ruolo di premier fosse, per la prima volta nella storia d’Italia, una donna; una vera novità per un paese in cui la presenza politica delle donne nei partiti oscilla quasi sempre tra un ruolo di specchietto per le allodole o di gregarie in attesa di un posto al sole.
Una campagna elettorale che ha stravolto la nostra estate come un temporale d’agosto si abbatte a sorpresa su una città ancora calda e soleggiata, lasciando detriti e fango sulle strade e che ha visto spesso al centro della propaganda proprio le donne, ma anche una delle più ingannevoli e reazionarie nei loro confronti. Una campagna elettorale (se il buongiorno si vede dal mattino) che inizia proprio con il video di uno stupro commesso da un immigrato, che l’onorevole Meloni prontamente pubblica su Twitter, con i volti dei protagonisti resi irriconoscibili, i volti, ma non le voci, così come denuncia la vittima, che, oltre a rivivere la violenza, teme di essere riconosciuta. Poco importa, quello che interessa è che l’uomo sia un richiedente asilo, perfettamente in linea con il target di immigrato pericoloso da espellere immediatamente dal nostro paese. Che poi la maggioranza delle violenze e dei femminicidi avvenga ad opera di italianissimi partner, compagni, amanti, fidanzati e mariti, meglio tacerlo.
Ma la deriva è iniziata e niente potrà fermarla, neanche le sacrosante proteste tanto che l’onorevole Meloni grida al complotto nei suoi confronti, come farà in tutte le occasioni in cui la gestione da battitore libero della campagna elettorale le potrebbe procurare dei guai.
Giorgia Meloni ha mostrato un’innegabile bravura nel cucirsi addosso un doppio ruolo: quello di donna che ha costruito con le proprie mani una carriera politica grazie alle sole capacità personali, ed infatti guai a parlare con lei di pari opportunità, quote rosa e percorsi preferenziali: se vali ti fai strada, donna o uomo, nessun privilegio dovuto al sesso, per carità. Ma d’altra parte gioca su una sorta di vittimismo, insinuando un accanimento nei suoi confronti da parte di chi la considera un pericolo per la democrazia, o degli stessi compagni di coalizione che temono la sua leadership. Insomma, una misoginia trasversale avrebbe voluto impedirle di ambire al ruolo di primo ministro. Per tutta l’estate i maggiori quotidiani dedicano pagine intere alla vita, carriera politica, pensieri e parole di Giorgia, come ormai la si apostrofa, dalle prime battaglie politiche adolescenziali nelle organizzazioni giovanili di estrema destra, all’ingresso nella politica che conta da giovane rampolla berlusconiana, al consolidamento di un partito che erode consensi agli alleati di destra grazie ad una intransigente opposizione verso tutti i governi in carica, fino alle più recenti alleanze con la destra sovranista europea, ultra conservatrice, tutto, o quasi tutto, hanno scritto di lei. Il quotidiano La Repubblica le dedica addirittura un intero dossier, “Inchiesta su M” parafrasando, non a caso, “M, il figlio del secolo” di Antonio Scurati.
Di sicuro, la sola idea che una donna, così lontana da un pensiero vagamente femminista, presidente di un partito post fascista che già dal nome trasuda una visione patriarcale e conservatrice, potesse guidare il nostro paese come una novella Margaret Thatcher, non poteva non far venire l’orticaria agli occhi e alla penna di molte nostre giornaliste.
Ed è quello di Natalia Aspesi, “L’illusione delle femministe che votano Meloni solo perché donna”, il primo di una lunga serie di “botte e risposte” sulle pagine del quotidiano La Repubblica, ad un documento firmato da una ventina di associazioni di donne italiane e straniere dal titolo assai eloquente: “Un orizzonte politico comune a donne di tutti i partiti”. Certo non è la prima volta che le donne si illudono, ingenuamente, di costituire un solo popolo, un fronte comune. Ma per la giornalista “le donne non votano secondo il genere ma secondo il loro orientamento politico. Nel 2016 la maggioranza delle elettrici americane votò per Trump anche se la sfidante era una donna. Alle prossime elezioni le donne italiane voteranno secondo il proprio orientamento politico ed è bene che i politici prendano impegni precisi anche nei confronti dei loro diritti.”
La Aspesi sottolinea, fra l’altro, come nei 15 punti del programma del centro-destra non c’è una sola volta la parola ‘donna’, al massimo l’aggettivo ‘femminile’, quasi sempre collegato con i sostantivi ‘infanzia’, ‘famiglia’, e anche ‘giovani’ e ‘disabili’.
Perché dunque le donne dovrebbero votare Giorgia Meloni che non manifesta alcuna intenzione di mettere al centro dell’attenzione i diritti delle donne? Non certo perché donna e tout court portatrice di una visione prioritaria delle ragioni femminili, risponde la storica Mirella Serri sulle stesse pagine, paragonando la visione della donna della Meloni a quella del Ventennio fascista, una visione patriarcale e conservatrice che si riassume nello slogan “Dio, patria e famiglia”, tanto caro alla Meloni. Insomma, un ruolo indissolubilmente legato alla famiglia, una famiglia tradizionale, con ruoli genitoriali ben chiari, senza fraintendimenti e confusioni, una famiglia che non è contemplata per i soggetti lgbtq, insomma una vera famiglia modello Ventennio.
E dunque, si chiede la giornalista Arianna Farinelli (“Per chi votano le donne?”) al di là del fatto che la possibile vittoria del centrodestra possa essere un pericolo per la democrazia, quale potrà essere il risvolto riguardo ai diritti delle donne? La vittoria delle Destre ha già dimostrato i suoi effetti nocivi negli Stati Uniti, dove lo scorso giugno la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana, ha cancellato l’aborto come diritto costituzionalmente garantito rimettendo ogni decisione all’autorità dei singoli Stati. “In altri Paesi governati dalla destra, come Polonia e Ungheria, l’aborto è bandito o fortemente limitato. In Polonia, dopo una sentenza del 2020, i medici rischiano l’arresto se praticano un’interruzione di gravidanza e questo nonostante il 66% dell’opinione pubblica sia favorevole all’aborto.”
Anche in Italia, del resto, il depotenziamento delle strutture ospedaliere e dei consultori, soprattutto a causa delle altissime percentuali di medici obiettori di coscienza, rende assai difficile per le donne il diritto all’interruzione della gravidanza. Tema caro questo alla futura premier che dall’alto della sua capacità di utilizzare furbescamente l’ars oratoria, ribadisce in tutte le sedi la volontà di non toccare la Legge 194 ma di potenziarne, al contrario, alcuni aspetti, come i centri di aiuto alla vita (promossi da associazioni cattoliche e dal Movimento per la vita) che aiutino nella difficile scelta di “rimuovere le cause economiche e sociali che possono spingere le donne a non portare a termine una gravidanza”. Una “questione di sfumature”, come sottolinea la giornalista Vanessa Ricciardi nel suo articolo sul quotidiano Domani “Come Giorgia Meloni combatterà la battaglia contro l’aborto”. Certo che la 194 non verrà toccata, basterà semplicemente puntare a quella parte della legge che prevede di rimuovere le cause che potrebbero indurre la donna ad abortire e lasciare che il resto si depotenzi da solo.” Fratelli d’Italia chiede da sempre la piena applicazione della 194, a partire dalla parte rimasta disattesa sulla prevenzione», si affretta a dichiarare la Meloni in un’intervista al giornale della conferenza episcopale italiana,” Avvenire”. Del resto il programma di Fratelli d’Italia dice chiaramente che l’Italia deve puntare sulla natalità, dando per scontato che siano i problemi economici a scoraggiare le gravidanze. Ma se volessimo, in prospettiva, osservare da vicino un esempio di applicazione del ragionamento sin qui esposto, basterà guardare alle Marche, l’unica regione italiana governata dal partito della Meloni, dove è pressoché impossibile abortire proprio per quella “applicazione di tutti gli aspetti della Legge 194”: pressione sulle donne affinché non abortiscano, quasi totalità di medici obiettori, rifiuto di adottare le linee guida del Ministero della salute sull’uso della pillola abortiva RU486. E sul caso Marche scende addirittura in campo a sorpresa anche la nota influencer Chiara Ferragni che sul suo profilo Instagram denuncia “Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa”, scatenando un putiferio da follower!
Ma si può essere donne e odiare le donne? “Purtroppo, sì. Anzi, accade ben più spesso di quanto si pensi. Soprattutto quando si rivendica la propria femminilità, ma poi si immagina che esista un unico (e giusto) modo di esser donna. Madre, ad esempio, come se mettere al mondo un figlio fosse un’evidenza (e tutte coloro che, madri, non lo diventano mai? Sono meno donne?) Così la filosofa Michela Marzano il 3 settembre, commenta una campagna elettorale che sta dimostrando una visione brutale e stereotipata delle donne. E la filosofa Giorgia Serughetti, “Non basta che sia donna. Le femministe contro la Meloni” scrive: “Il genere non è condizione sufficiente a garantire una trasformazione positiva della politica”. Anzi, il vero paradosso è proprio quello che le donne hanno più chance di affermarsi in politica a destra che a sinistra.
Si potrebbe continuare all’infinito visto il numero di articoli pubblicati dalla stampa nazionale sul “caso Meloni”.
Ma sarà Concita De Gregorio (“La sinistra, le donne e la lezione di Meloni”, La Repubblica) ad affondare il dito nelle pie[a]ghe più profonde della cosiddetta sinistra italiana, sul perché, nonostante la presenza negli anni, di numerose donne in grado di essere presidenti di qualunque cosa (e se vogliamo fermarci a queste ultime elezioni basterebbe citare la candidata del PD Elly Schlein), proprio la destra maschilista e misogina esprima l’unica candidata con un reale potenziale di successo. Perché proprio lei? Perché “giovane, donna, nuova, perfetta: una testimonial formidabile, una frontwoman, quello che serve.” Insomma, furbescamente per mero opportunismo, con lei si vinceva, con un uomo no. Furbizia che il politically correct di sinistra si guarda bene dal mettere in atto o meglio, una “misoginia strutturale” nel PD che negli anni ha fatto sì che generazioni di donne bravissime siano state silenziate, depotenziate, certo, considerate importanti per il partito ma non abbastanza da metterci il volto, dal rappresentarlo. elettoralmente.” “É costellata di salme muliebri la superiorità etica della sinistra. E certo che disturba, adesso, vedere la Prima Donna a destra. Ma lì qualcosa di semplice ha funzionato, e non è meritocrazia né eguaglianza di genere: è convenienza. Di qua, maschi alla decima legislatura non mollano l’osso e giovani donne entrano, ma solo se sono state portavoci, se sono certamente valide ma almeno mogli, se hanno proceduto come da consegne.”
Ed è forse questo il dato ineludibile, un dato che, come una cartina tornasole, è affiorato inesorabilmente con i risultati elettorali: perché il modello di donna proposto dal nostro, ormai, Presidente Meloni (al maschile naturalmente come chiede lei stessa) è stato così attrattivo? E basterà ancora tirare fuori dal cassetto il paradigma dell’omologazione con la quale la società patriarcale include le donne, in uno scenario che rimane comunque maschile e in cui la differenza di sesso non conta, quel che conta è l’individuo (soggetto neutro) che conquista la propria posizione nella società (e nel mondo della politica) grazie alle sue doti e ai suoi meriti? Nessun ritardo dovuto alla differenza sessuale, dunque, ma se di ritardo storico si tratta andrà colmato grazie ad una buona politica che consenta alle donne di conciliare la vita lavorativa con la famiglia e, naturalmente, con la tanto invocata natalità. Il neo Presidente vara un Governo con poche Ministre, non servono certo le quote-rosa, servono donne che, come lei, si son mostrate forti, abili e se son poche, pazienza, la cosa non disturba affatto! Tante piccole Principesse Rhaenyra che si librano nel cielo con i loro draghi e alle quali Re e Cavalieri sono costretti a riconoscere il loro valore, almeno fino a quando la triste realtà non le riporterà alla normalità muliebre.
Proviamo a chiederci quanto potrà essere, sul piano simbolico, accattivante, attrattiva questa figura di donna per altre donne, soprattutto per giovani donne, ragazze, studentesse, e quanto potrà, nello stesso tempo, mettere in crisi quello che, nei lunghi anni di lotte e conquiste, il femminismo ha faticosamente costruito: la partecipazione collettiva, le battaglie contro la discriminazione e le violenze di genere, le disparità salariali, le difficoltà nel raggiungere posizioni economiche apicali.
Ed è forse su questo che dovrebbero iniziare ad interrogarsi le donne che militano nel Partito Democratico, piuttosto che rodersi il fegato sul fatto che la prima donna premier non è di sinistra e che sicuramente tra di loro molte avrebbero potuto esserlo o che, adesso, anche a loro spetta la corsa verso la segreteria del partito. Non è più tempo di foto a fianco del leader-segretario, di apparizioni nei talk show, l’era Meloni ha scompaginato le carte e ci costringe (tutte noi) a ripensare nuove strategie di attacco perché si sa, le vie del patriarcato sono infinite.