È stata eseguita la prima condanna a morte di un giovane manifestante: è un cittadino baluci di 23 anni, di nome Mohammad Eisa Zehi, era rinchiuso nella prigione di Zahedan, capoluogo del Balucistan, sudest dell’Iran.
Reza Kushki Nejad maresciallo dell’aeronautica iraniana della base Abdanan, è stato arrestato perché aveva condannato la brutale repressione delle proteste.
Secondo i parenti, i guardiani gli hanno sparato durante la detenzione.
Anche il rapper Toomaj Salehi, detenuto da fine ottobre nella prigione Dastgerd a Isfahan, per il suo sostegno alle proteste, rischia la condanna a morte.
La procura ha pubblicato le accuse: “diffusione di corruzione sulla Terra”, ovvero di aver violato le leggi della Sharia.
In particolare, il rapper sarà imputato per “cooperazione con Stati ostili contro la Repubblica islamica, propaganda contro il sistema, formazione di gruppi illegali per minare la sicurezza, diffusione di menzogne per minare l’opinione pubblica attraverso i social network e incoraggiamento verso altre persone a mettere in atto azioni violente”.
Secondo un ufficiale della sicurezza, il Qatar ha consegnato all’Iran la lista dei tifosi iraniani presenti ai mondiali.
Al loro ritorno subiranno arresti e condanne per i coraggiosi gesti di solidarietà con la rivolta.
Sono altrettanto forti i gesti di resistenza e di denuncia pacifici e determinati della società civile iraniana.
Un gruppo di artisti di teatro hanno pubblicato sui social un video dove le donne si sono tolte il copricapo, in gesto di sfida alle norme repressive.
La nipote della guida dell’Iran, Farideh Mouradkhani ha postato un video-appello nel quale chiede all’opinione pubblica mondiale di rompere il silenzio e chiedere ai loro governi di rompere i rapporti con il regime. Ha paragonato gli ayatollah ai gerarchi fascisti.
Un’inchiesta del Manifesto, pubblicata sul numero di ieri, 27 novembre, ha dimostrato che la polizia iraniana usa pallottole e bombe lacrimogeni di fabbricazione italo-francese.
A parole i governi europei sono per la democrazia e nei fatti sostengono la repressione del regime nel nome del profitto.