Il titolo si ispira alla canzone di Kendrick Lamar How Much a Dollar Cost.
Ricchissima di risorse naturali e di giacimenti minerari, ma allo stesso tempo al 172° posto dell’Indice di Sviluppo Umano, la Costa d’Avorio rappresenta uno dei tanti volti di quel paradosso, che si può dire essere caratteristico dell’intero continente nero, per cui all’enormità di ricchezze locali non corrisponde un reale benessere economico della popolazione. Questa, al contrario, rimane ancorata a un rapporto economico di dipendenza nei confronti dei Paesi occidentali, principali importatori delle materie prime e dei mercati internazionali, sui quali i prezzi di queste ultime vengono fissati.
Emblematico in questo senso è l’esempio del cacao, di cui il Paese è il principale produttore ed esportatore mondiale (si pensi che circa il 40% della fornitura mondiale proviene dalla sola Costa d’Avorio). Nonostante la disponibilità di materia prima, infatti, i salari che provengono da questa attività restano molto bassi: la Banca Mondiale stima che ad oggi il 54,9% dei produttori di cacao e le loro famiglie vivano sotto la soglia di povertà. Non solo, anche i profitti provenienti dalla trasformazione e distribuzione del cacao sono ridicoli se comparati alle quantità prodotte.
Questo lavoro vuole dimostrare come il paradosso appena descritto si fondi sul rapporto asimmetrico esistente tra gli agricoltori e le multinazionali del settore agroalimentare e sulla collaborazione tra il potere pubblico e quello del settore privato nella definizione di un’idea di sviluppo rurale basata principalmente sullo sfruttamento intensivo del territorio e sull’accumulazione di capitale da parte di un ristretto gruppo di persone.
Infatti, da una parte il ruolo centrale dello Stato si manifesta nell’imposizione del DUS (Droit Unique de Sortie), ovvero di una tassa unica applicata a chiunque voglia esportare i prodotti coltivati in Costa d’Avorio. Dall’altra, il grande potere economico e la concorrenza esercitata dalle multinazionali straniere hanno portato alla diminuzione dei margini commerciali dei produttori locali, che risultano meno competitivi, determinando la loro progressiva marginalizzazione dal mercato e quindi il peggioramento delle loro condizioni di vita. Non avendo la disponibilità economica sufficiente per accedere ai mercati internazionali, gli agricoltori sono obbligati a rivolgersi alle grandi società di esportazione, che basano il loro profitto sulla differenza tra il prezzo di acquisto presso le piantagioni (825 FCFA/kg, circa 1,25 euro) e quello di vendita (fissato in borsa a 2,5 dollari/kg).
Alla luce di questo processo è difficile negare che le problematiche legate alle condizioni di vita in cui versa la maggior parte della popolazione rurale impegnata nella coltivazione del cacao siano dovute a un sistema di scambi che predilige il guadagno delle società straniere, che monopolizzano le capacità di esportazione e delle compagnie di importazione, il cui beneficio è legato alla distribuzione del prodotto trasformato.
A fronte di questo quadro, come e cosa bisogna cambiare? Traoré Dohia Mamadou, segretario generale della Fédération des syndacats autonomes de Cote d’Ivoire, ricorda che è necessario concepire delle politiche agricole realmente orientate al miglioramento delle condizioni di vita dei coltivatori locali. A tal fine, il primo passo è sviluppare una rete di imprese di trasformazione e distribuzione locali, che permettano di godere del valore aggiunto rappresentato dal prodotto finito. In quest’ottica, la cioccolateria artigianale Choco+, che abbiamo conosciuto a Grand Bassam, nel sud del Paese, rappresenta un’esperienza molto significativa, in quanto si definisce come un’esperienza alternativa di trasformazione del cacao, in netto contrasto con la logica agroindustriale dominante.
Il laboratorio nasce nel 2018 come esito del progetto della Communauté Abel “Trasformare cacao, produrre diritti”. In realtà, l’iniziativa ha origine già nel 2013, in seguito alla partecipazione ad un altro progetto, che prevedeva lo scambio interculturale tra ragazzi/e del Nord e del Sud del mondo sui temi dell’Economia Sociale e Solidale (ESS). Grazie a questa proposta, sei giovani ivoriani sono stati ospitati a Modica, presso la cooperativa Quetzal e hanno partecipato ad un workshop sulla fabbricazione del cioccolato, a seguito del quale sono tornati in Costa d’Avorio e hanno avviato il laboratorio di cioccolateria artigianale Choco+, il quale si è successivamente costituito in associazione.
L’obiettivo di questa esperienza non è solo quello di mettere in piedi un’attività generatrice di reddito per le persone coinvolte nel progetto, ma di consentire la creazione di una filiera del cacao che rispetti i criteri dell’ESS e del commercio equo e solidale, rappresentando in questo senso uno dei primi esperimenti di economia alternativa di questo paese.
Questa cioccolateria artigianale, infatti, acquista il cacao direttamente presso alcuni produttori della regione, con i quali mantiene solidi rapporti di fiducia che si mantengono nel tempo, trasformandolo e distribuendolo sul mercato locale. Dai discorsi e dalle pratiche dei/lle lavoratori/trici del laboratorio emerge che questo non è solo una mera conseguenza della scala ridotta, bensì rappresenta uno degli obiettivi sociali principali su cui l’associazione ha costruito la sua azione. Infatti, i coltivatori locali presso cui vengono acquistate le fave vengono pagati 100 FCFA/kg in più rispetto al prezzo bord champ fissato dallo Stato ivoriano, nell’ottica che la valorizzazione del lavoro, anche in termini economici, costituisca la base per un maggiore rispetto dell’ambiente e della qualità del prodotto coltivato. Allo stesso tempo, però, questo non comporta un aumento del prezzo del prodotto finito. Infatti, una barretta di cioccolato di 45 g viene venduta presso il laboratorio di Grand Bassam ad un prezzo di 500 FCFA, a fronte di un prezzo enormemente maggiore delle barrette importate dai Paesi occidentali, che si possono trovare in un qualsiasi supermercato della zona (in media, una barretta di cioccolato di 40 g costa 1900 FCFA= 2,90 EUR).
In tal senso, l’esperienza di Choco+ ha avviato all’interno della regione del Sud Comoé un primo tentativo di valorizzare il territorio e le risorse locali, attraverso la trasformazione in loco delle fave di cacao, senza dipendere dall’intervento delle potenti industrie agroalimentari mondiali. Per questo motivo, la riduzione dei passaggi intermedi tra i produttori e i consumatori proposta dalla cioccolateria rappresenta una vera e propria scelta politica, che se da una parte si oppone al commercio di lunga distanza, dall’altra mira al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità. Chiaramente questo non rappresenta che un piccolo atto e non si può negare che la maggior parte della popolazione di questo Paese sia ancora molto lontana dal raggiungimento di un livello alto di sovranità alimentare. Tuttavia, l’impegno che i/le lavoratori/trici investono in questo progetto apre un primo spazio di riflessione e di azione politica, in linea con i percorsi di liberazione economica auspicati dalle realtà dell’Economia Sociale e Solidale.
In conclusione, questo progetto ha permesso ai numerosi attori coinvolti in questo settore di creare una consapevolezza maggiore rispetto alle modalità di estrazione delle risorse, alle disuguaglianze sociali ed economiche da esse derivanti e alla possibilità di avviare percorsi alternativi attraverso la valorizzazione del lavoro e dei prodotti locali. Come ricorda H., direttore dell’associazione Choco+, il fine non è solo quello di un guadagno individuale, bensì anche quello di “spiegare ai nostri fratelli africani che è possibile fare noi stessi questo cioccolato e anche di poterlo consumare”.
Prova che un’alternativa è possibile, Choco + diventa così l’esempio di una nuova concezione di economia e di società, basate sulla valorizzazione dei prodotti locali, sulla sostenibilità ambientale e sulla consapevolezza che un mondo più giusto ed equo può e deve essere costruito.
Questo articolo fa parte di un progetto più grande, volto a raccontare le fasi di produzione e commercializzazione del cacao.
Foto di Marcello Giampaoletti e Fabio Meinardi.
Contatti:
Fabio Meinardi
@feb.viz
Fabio Meinardi nasce a Torino nel maggio del ’96 e cresce nelle campagne piemontesi tra l’astigiano e l’albese. Dopo aver frequentato il Liceo Linguistico di Alba (CN) si trasferisce a Torino per studiare Scienze della Comunicazione. Durante questi tre anni scopre la fotografia. Nel 2019 compie un viaggio in Costa d’Avorio e qui sviluppa, insieme ad un suo amico fotografo, il suo primo progetto documentario. Dopo l’Università frequenta il corso di Fotografia presso la Cfp Bauer di Milano. Predilige lavori di natura artistico/documentaria a lungo termine e i lavori seriali di chi ha sempre una macchina fotografica con sé.
Marcello Giampaoletti
@marcellogiampaoletti
Laureato in Scienze internazionali, matura diverse esperienze, sia in Italia che all’estero. Nel 2016 ha svolto un EVS (servizio volontario europeo)in Romania. Nel 2019 è partito per la Costa d’Avorio, dove ha collaborato con il Gruppo Abele nell’ambito del reinserimento socioprofessionale di ragazzi/e provenienti da situazioni di particolare precarietà sociale. In Italia ha lavorato nell’ambito dell’accoglienza migranti e in unità di strada con persone che necessitano di risposte abitative.