Il Sole 24 ore di martedì 8 novembre informa che banche del livello della Deutsche Bank e Lazard hanno nominato come “advisory board”, in sostanza dei consulenti, nomi noti dell’establishment americano nel campo militare e delle politiche estere, come il novantanovenne Henry Kissinge, Jami Mishik, già ai vetrici della Cia, John Abizaind, ex generale del comando generale della difesa Usa, William Mcraven, ex capo delle “operazioni speciali” americane quando le Navy Seals eliminarono Osama Bin Laden e altre figure “autorevoli”. Il più famoso è il vecchio Kissinger, che a partire dagli anni Settanta fu l’eminenza non occulta delle politiche estere durante le presidenze Nixon e Ford, in particolare “l’ispiratore” del colpo di Stato in Cile dell’11 settembre del 1973 e nello stesso tempo della politica di “disgelo” nei confronti della Cina maoista, in funziona antisovietica. Fu persino insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1973, forse per i bombardamenti sul Vietnam…
Cosa c’entrano simili figure con le politiche finanziarie di banche di tale importanza? Ovviamente poco o nulla, ma, informa l’articolo, “la comprensione dei fenomeni geopolitici preoccupa ben più delle pur gravi incertezze macroeconomiche”. In particolare le varie turbolenze dei mercati sono dinamiche molto preoccupanti, ma che si sono già dovute affrontare. “Quello che davvero preoccupa è l’ignoto; nessuno di noi ha mai vissuto una crisi geopolitica mondiale così grave e dagli esiti imprevedibili” sottolinea l’articolo, che prosegue evidenziando come dietro il conflitto in corso tra Russia e Ucraina, si staglia “la parte più visibile dello scontro di lungo periodo tra Usa e Cina”.
Già, in questi anni in diversi hanno sottolineato che in realtà la partita più grande si gioca tra la grande potenza da tempo declinante e il gigante asiatico in irresistibile ascesa. Una dinamica che l’attuale guerra russo-ucraina ha falsamente nascosto, ma che tutti gli analisti di vario orientamento hanno ben presente.
Il fatto che due banche di quel livello chiamino personaggi di questo tipo dà la dimensione delle dinamiche in corso. Immaginiamo che i nuovi “advisory board” abbiano letto uno dei saggi più interessanti usciti sull’argomento Usa versus Cina degli ultimi anni, a fronte di una produzione editoriale sulla tematica ormai imponente. Ci riferiamo al saggio di Graham Allison “Destinati alla guerra”, dal significativo sottotitolo “Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”. Allison, direttore dell’Harvard Kennedy School, è stato consigliere e assistente alla Segreteria della Difesa sotto ogni presidenza da Reagan a Obama.
Il testo è uscito in America nel 2017, in Italia con Fazi nel 2018. La pandemia e il conflitto in corso dopo l’invasione di Putin non ne hanno certamente sminuito l’attualità. Anzi. La trappola di Tucidide consiste nell’affermazione di quello che può essere considerato, insieme a Erodoto il fondatore della storia: quando una potenza dominante fa i conti con un’altra in grande ascesa lo scontro diventa quasi inevitabile. Il saggio elenca sedici casi verificatesi nel corso della storia e il “quasi” è giustificato perché, se dodici tensioni portarono alla guerra, a partire dal conflitto tra Atene e Sparta, quattro si evitarono grazie a fattori umani come il buonsenso, l’equilibrio e la lucidità mentale. Tutte prerogative che per esempio, al di là delle dinamiche macropolitiche, mancarono in occasione della macelleria provocata dalla Prima Guerra Mondiale, lungamente trattata da Allison nella disamina dei casi più eclatanti.
Il primo capitolo del volume analizza la dirompente ascesa del colosso cinese, “ una civiltà di cinquemila anni”, fornendo le cifre del boom economico che ha portato il Paese a diventare la prima economia mondiale. Tale dinamica è stata parzialmente frenata dalla pandemia e ora dal conflitto in atto nell’Est europeo, anche se proprio la guerra in corso ha evidenziato come in realtà a essere isolato sia l’Occidente, ormai in minoranza rispetto agli assetti e alle alleanze internazionali.
Un altro testo, questo abbastanza datato ma diventato punto di riferimento per gli studi di politica sociale ed economica, e non solo, pubblicato quindici anni fa aveva lucidamente pronosticato l’affermazione della Cina. Ci riferiamo ad “Adam Smith a Pechino” del compianto Giovanni Arrighi, purtroppo scomparso due anni dopo l’uscita del saggio.
Arrighi analizza la teoria economica e sociale di Smith, spesso superficialmente etichettata come “ortodossa”, tesi confutata lucidamente, evidenziando come il modello tradizionale economico cinese basato sulla famiglia e comunque su assetti produttivi di piccole dimensioni era in sintonia con la visione dell’economista scozzese, il quale prevedeva anche un ruolo dello Stato per riequilibrare le storture del mercato, un anticipo della dottrina ordoliberale della Scuola di Friburgo. Si sofferma poi a lungo sull’evoluzione delle politiche imperialistiche dell’Occidente, in particolare su quelle degli Usa, sottolineando come il declino politico affonda le radici nella sconfitta in Vietnam, a cui si sono aggiunte, in tempi recenti, le avventure belliche disastrose ( e criminali) prima in Afganistan e poi in Iraq, con la seconda parte della guerra contro Saddam.
Mentre gli Usa perdevano sostanzialmente la cosiddetta “guerra contro il terrorismo”, la Cina, soprattutto dopo l’entrata nel Wto, scalava posizioni nell’economia mondiale, anche grazie al mercato statunitense. Uno dei tanti paradossi della storia che ha portato i cinesi a possedere un quantitativo enorme di titoli americani (che da alcuni mesi ha iniziato a vendere, aumentando le tensioni con Washington…).
Tornando alla “trappola di Tucidide” Allison analizza i casus belli che potrebbero facilitare una resa dei conti, dalla questione Taiwan, alla contesa per il Mare Cinese Meridionale, fino alle turbolenze tra le due Coree e ora potremmo aggiungere lo scontro in atto causato dall’invasione del 24 febbraio.
Di contro sono anche evidenziate le ragioni che potrebbero evitare uno scontro fatale per il modo, in primis proprio la consapevolezza di cosa comporterebbe un conflitto nucleare, una riflessione di estrema e drammatica attualità (che fu alla base dell’”’equilibrio del terrore” durante la Guerra Fredda, vicenda su cui l’autore si sofferma a lungo, esaminandone i momenti chiave, in particolare la crisi del 1962).
Il problema centrale è se l’Occidente e soprattutto gli Usa prenderanno atto che lo scenario mondiale si è radicalmente trasformato e l’assetto nato dopo il secondo conflitto mondiale è definitivamente morto e sepolto, volenti o nolenti.
Parak Khanna, studioso e analista internazionale, tre anni fa uscì, sempre con Fazi, con un testo, “Il secolo asiatico?” (l’interrogativo è sostanzialmente di “contorno”), in cui evidenziava lo scenario multipolare affermatosi gradualmente dopo l’89: “Un tempo l’Asia dominava il Vecchio Mondo, mentre l’Occidente era alla testa del Nuovo Mondo. Oggi, invece, sta emergendo per la prima volta un mondo veramente globale. L’attuale ordine mondiale multipolare e multi civilizzato è una realtà con cui bisogna fare i conti. Non è possibile far tornare indietro le lancette della storia”.
Dubitiamo che gli “advisory” siano sensibili a questo discorso, anche se ultimamente di fronte alla situazione in Ucraina Kissinger ha dispensato parole di saggezza e realismo politico. Alla fine della disamina resta un interrogativo: questo è lo scenario del “Trono di spade” del terzo millennio. Poi ci siamo noi comuni mortali, sulla cui pelle si gioca il Risiko mondiale. Vogliamo stare a guardare?
Le piazze di Bologna, Roma e Napoli di questi giorni hanno dato un segnale incoraggiante…