Cos’è un museo? Sembrerebbe una domanda a tutti gli effetti oziosa: l’occasione per un gioco puramente intellettuale, se non per un vero e proprio esercizio di retorica, tanto più ridondante proprio perché tutti, con maggiore o minore compiutezza, con maggiore o minore completezza, saprebbero rispondere alla domanda. Una questione che, del resto, fa presa su una quantità di esperienze personali e sulla basilare consapevolezza della solidità della cosiddetta «competenza esperienziale»: è probabile che nelle nostre cerchie, più o meno tutti siano entrati, almeno una volta, in un museo; che siano in grado di ricordare una visita scolastica; che vi siano stati mossi da un impegno o, semplicemente, da curiosità; che vi abbiano assistito a una conferenza; che associno, più o meno precisamente, il museo a una raccolta (o “collezione”) di oggetti d’arte e di cultura, di pregio artistico o di valore archeologico, o a una mostra, con il suo tema, i suoi artisti, il suo catalogo.
Ma siamo sicuri che sia propriamente – e, soprattutto, esclusivamente – così? O, per meglio porre la domanda: già solo questo insieme di immagini e di esperienze non suggerisce piuttosto che il museo sia qualcosa di più di un semplice “contenitore di oggetti”? Tanto meno allora risulta oziosa la domanda, quanto più ci si interroga e si approfondisce il tema del museo, del suo carattere, del suo ruolo, delle sue finalità. Tanto che al tema è stata dedicata parte significativa dei lavori dell’ultima Assemblea Generale Straordinaria di ICOM, il Consiglio Internazionale dei Musei, vale a dire l’istituzione non-governativa deputata a stabilire i requisiti professionali e gli standard etici per le attività museali, quell’insieme di attività e di iniziative che riguardano la vita, la conservazione, la promozione, lo sviluppo e il ruolo sociale e culturale dei musei nel mondo. In particolare, agendo come un vero e proprio forum di esperti, è, allo stesso tempo, l’istituzione che avanza raccomandazioni e formula proposte riguardanti il patrimonio culturale, il rafforzamento delle capacità e delle competenze nel settore, l’avanzamento della conoscenza e dei saperi: è, come si legge sul sito dell’organizzazione, «la voce dei professionisti museali sulla scena internazionale, e si propone di incrementare la consapevolezza culturale presso le opinioni pubbliche attraverso reti globali e programmi di iniziativa e di cooperazione».
Dunque, nell’Assemblea, tenuta a Praga il 24 agosto, l’ampio e articolato processo partecipativo che ha studiato e approfondito la tematica si è concluso con l’adozione di una nuova «definizione di museo», con una maggioranza di poco superiore al 92%. Il processo retro-agente di approfondimento, peraltro, è stato a dir poco partecipativo, tanto è vero che ha coinvolto, per mesi, centoventisei comitati in giro per il mondo, attraverso un lungo itinerario che si è snodato attraverso quattro consultazioni, chiamate ad esprimersi su cinque proposte elaborate dal Comitato, tenendo conto, come si legge sul sito nazionale, «delle parole e dei concetti chiave maggiormente condivisi dalla comunità internazionale. Una volta raccolte le preferenze e alcune proposte puntuali di modifiche e integrazioni di parole chiave tra una definizione e l’altra, si è arrivati ai due testi finali presentati all’Advisory Council dello scorso 20 maggio, la cui votazione ha sciolto l’ultima riserva».
Si è così arrivati al varo della nuova definizione di museo, che suona, alla fine, così: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze». Possiamo allora sciogliere l’arcano e, tornando al punto di partenza, abbandonare una volta per tutte la presunzione per cui, intorno al museo, non vi sia più nulla da dire, o che sia una eredità del passato, ormai superato nell’epoca della tecnologia e della digitalizzazione, delle esperienze virtuali e delle realtà aumentate, o, peggio ancora, che sia come una “cattedrale nel deserto”, gloriosa, senza dubbio, magnifica, certo, ma staccata dalla società. In effetti, è proprio l’opposto, e la definizione lo mette in evidenza.
I musei sono istituzioni senza scopo di lucro: la loro destinazione non è il lucro o il profitto, bensì il sapere e la conoscenza, per un verso, la partecipazione e l’inclusione, per l’altro. I musei svolgono una eminente, attuale e insostituibile funzione culturale nella società a 360 gradi: ricerca, collezione, conservazione, interpretazione ed esposizione del patrimonio culturale complessivamente inteso, tanto in quanto patrimonio materiale, quanto sotto forma di patrimonio immateriale. I musei svolgono una altrettanto importante funzione sociale, sia in senso precettivo (devono essere accessibili, inclusivi e, per definizione, aperti al pubblico), sia in senso programmatico (devono promuovere accessibilità, diversità e sostenibilità). I musei hanno un compito, delicato e impegnativo, da svolgere nel mondo di oggi: offrire «esperienze diversificate» volte a favorire, promuovere e sviluppare l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione del sapere. Infine, non meno importante, i musei sono uno strumento della modalità contemporanea di promozione e diffusione del sapere, tanto è vero che, in linea in questo con la Convenzione di Faro (2005), devono essere (uno degli) agenti, attraverso la «partecipazione delle comunità», della costruzione di “comunità di patrimonio”, vale a dire, «un insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che desiderano, nel quadro dell’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle future generazioni». Non potremo fare a meno di tenerlo a mente la prossima volta che entreremo in un museo: un ponte tra il passato e il futuro, mediato dal presente; ma anche un ponte tra il “dentro” e il “fuori”, in costante contatto con la città e la dinamica sociale.