Privatizzare i profitti e socializzare gli oneri è sempre stata la regola base del modello capitalistico, che nelle fasi di prosperità decanta il merito dell’iniziativa privata dei pochi e nelle fasi di crisi distribuisce colpe e sacrifici sulla vita dei molti.
Lo abbiamo ampiamente visto – e presto lo rivedremo – in merito alla crisi finanziaria e del debito: dopo aver esaltato per decenni il ‘self made man’, l’imprenditore di sé stesso, l’artefice del proprio destino, allo scoppio della bolla la responsabilità è diventata improvvisamente collettiva e il debito è stato narrato come conseguenza dell’aver vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità e dell’aver sperperato senza alcuna considerazione per le future generazioni.
É la stessa ideologia con cui viene oggi raccontata la crisi climatica: colpa di tutte e di tutti, responsabilità dell’umanità in quanto tale, al punto che si è mutuato il linguaggio dalla geologia per definire quest’epoca come ‘Antropocene’, esplicitando una visione che rimanda ad una generica e astratta relazione uomo-natura come causa dell’attuale crisi eco-climatica, in cui sono l’esistenza stessa e l’attività di una umanità del tutto indifferenziata a generare impatti negativi sull’ambiente naturale.
Sappiamo che non è così. Come ha da tempo dimostrato lo studio “Climate change & the global inequality of carbon emissions, 1990-2020” , realizzato dal “Laboratoire sur les Inégalités Mondiales dell’École d’économie de Paris”, anche sulle emissioni di gas serra regna la stessa diseguaglianza che attraversa la società.
Secondo questo studio, a livello globale, il 10% più ricco della popolazione mondiale (771 milioni di individui) emette in media 31 tonnellate di CO2 per persona all’anno ed è responsabile di circa il 48% delle emissioni globali. Dentro questa fascia, l’1% dei ricchissimi emette in media 110 tonnellate ed è responsabile del 17% delle emissioni. Per contro, il 50% più povero (3,8 miliardi di individui) emette 1,6 tonnellate per persona all’anno, raggiungendo solo il 12% delle emissioni globali.
É una polarizzazione dovuta a diseguaglianze geopolitiche e storiche, ma che diviene ancora più marcata se si guarda alle condizioni sociali interne a ciascun Paese. Nelle nazioni più ricche, le emissioni pro capite della metà più povera della popolazione sono addirittura diminuite dal 1990 ad oggi, mentre si sono moltiplicate esponenzialmente quelle della popolazione abbiente e soprattutto quelle dei super-ricchi.
I ricchi inquinano e lo fanno con il loro stile di vita, basato su un iper-consumo insostenibile. Ma il recentissimo rapporto “Carbon billionaires” presentato da Oxfam in occasione della Cop27 attualmente in corso in Egitto, dimostra come i super-ricchi inquinano anche con i propri investimenti finanziari.
Secondo il rapporto, le emissioni di CO2 in un anno associate agli investimenti in imprese inquinanti da parte dei 125 miliardari del pianeta “equivalgono a quelle prodotte nello stesso arco temporale da un paese come la Francia”.
Dallo studio emerge che la scala delle emissioni degli investimenti di questi super-ricchi equivale a 393 milioni di tonnellate di CO2 complessive. “In media, in un anno gli investimenti finanziari di ciascuno di questi super-ricchi in settori economici inquinanti “producono” una quantità di emissioni 1 milione di volte superiore a quella di una qualunque persona collocata nel 90% più povero della popolazione mondiale”. Facendo un ulteriore paragone “Ci vorrebbero 1,8 milioni di mucche per emettere gli stessi livelli di CO2 di ciascuno dei 125 miliardari”
Come si vede, siamo ben lungi dall’essere tutti ‘sulla stessa barca’, come la narrazione dominante vorrebbe farci credere. Siamo invece dentro un modello nel quale la ricchezza di pochi è direttamente responsabile tanto dell’ingiustizia sociale, quanto della crisi climatica in cui siamo drammaticamente immersi.
E, per uscirne, basti l’indicazione data, nel novembre 2021, ai delegati della COP26 riuniti a Glasgow dal direttore dell’Istituto di Potsdam (PIK), Johan Rockström: per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5°C e nel rispetto della giustizia climatica, l’1% più ricco della popolazione mondiale dovrà dividere per trenta le sue emissioni entro il 2030; il 50% più povero, invece, potrà moltiplicarle per tre.
Quale governo applicherà un principio tanto drastico quanto elementare? Quale governo sarò capace, oltre che di chiudere gli allevamenti intensivi di bovini e suini, di chiudere con politiche economiche, sociali ed ecologiche anche l’allevamento intensivo dei super-ricchi?