È raro leggere un libro e desiderare che sia a conoscenza di tutti/e il prima possibile. ????? ??????? ? ?????? ?? ?????? della giovane giornalista Futura D’Aprile, presentato venerdì 28 ottobre alla ???? ????? ????????????, rientra tra questi.
Indispensabile in questo momento (meglio anche prima) sapere tutto il possibile di “p??????? ? ????????? ???????? ??? ??????? ?????????????? ????? ???? ?? ??????”. Per aprire gli occhi sui perversi meccanismi che hanno contribuito a portarci da un florido business cresciuto sulle guerre degli altri a un conflitto globale in cui siamo pienamente coinvolti/e.
Il libro ha la prefazione di Alex Zanotelli, che già connota lo spirito di questo aggiornatissimo saggio che, nel documentare puntualmente i floridi affari dell’industria bellica italiana – l’unica in crescita anche durante la pandemia – mette in relazione le scelte politico-militari di tutti i governi, nessuno escluso, con interessi privati sostenuti da potentissime lobby.
L’intreccio in realtà è assai più stretto, considerata la partecipazione statale nelle maggiori aziende del settore (Finmeccanica – oggi denominata Leonardo per ammantare di cultura i suoi affari mortali – e Fincantieri) e il passaggio di noti personaggi da ruoli politici a posizioni dirigenziali nelle aziende e viceversa (Minniti, Crosetto, etc.) con evidente conflitto di interessi ai nostri danni.
In Italia il conflitto di interessi sembra non sia mai stato un problema. Lo è, piuttosto, per i paesi i cui conflitti vengono costantemente alimentati – il libro lo dimostra con chiarezza – dall’export di armi in violazione sostanziale, se non formale, della normativa in materia. Principalmente la tanto bistrattata Costituzione (articolo 11), nonché la legge 185/90, che vieta la vendita di armamenti a paesi in guerra o dove sussista il rischio di violazione dei diritti umani (repressione del dissenso).
Tale legge è frutto soprattutto di preziose segnalazioni e denunce operate da lavoratori dell’industria militare in collaborazione con i movimenti per la pace.
Ma le norme sono state spesso aggirate con oscure operazioni di vendita e complesse triangolazioni che hanno consentito di far giungere a destinazione armi (o componenti di esse o addirittura know how) anche in Libia, Iraq, Iran, Somalia, Arabia Saudita, Pakistan, Turkmenistan…, non proprio delle tranquille democrazie. In Turchia, il cui governo bombarda il popolo curdo anche oltre i suoi confini. In Egitto, nonostante quanto accaduto al giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.
Se abbiamo qualche informazione in merito – di cui il libro dà conto – non è per la trasparenza dei rapporti governativi o per l’intrepida azione investigativa dei grandi media italiani, ma grazie a inchieste della stampa estera. Una di queste ha portato nel 2021 il Parlamento a decidere – caso unico – il blocco dell’invio di armi all’Arabia Saudita, quando giornalisti francesi hanno scoperto la ‘firma’ italiana sugli ordigni che massacrano i bambini yemeniti.
E talvolta le norme mancano del tutto a fronte della corsa alla produzione di nuove armi ‘asettiche’, come i droni comandati a distanza con cui sorvegliare le frontiere (Agenzia Frontex) e restituire i migranti ai loro carnefici in Libia. Oppure, aggiungendo esplosivo, eseguire uccisioni mirate (ma non sempre, ahimè, ‘chirurgiche’).
L’incontro di venerdì è stato tanto più prezioso in quanto arricchito dalla conversazione dell’autrice con il giornalista Antonio Mazzeo, che da anni monitora il complesso industriale-militare-politico (e ora anche accademico) italiano. Il dialogo ha messo in luce l’indissolubile legame tra questi ambiti, che si è andato rafforzando negli anni, nella distrazione e indifferenza generale, conducendoci ad una ‘normalizzazione’ e infiltrazione del mondo militare in tutti i campi della nostra vita: dalla gestione della pandemia (il generale Figliuolo in perenne mimetica), alla scuola (dove l’educazione civica è spesso delegata a carabinieri e marines), alla sorveglianza della movida con i blindati, agli interventi sostitutivi della Protezione Civile (che ci sta a fare allora?)…
Nella scuola, in particolare, luogo della formazione e della complessità, il terreno era già preparato dalla logica binaria dei test (giusto/sbagliato), che si traduce, nella lettura della realtà, nella dicotomia amico/nemico, nel coltivare una cultura della competizione e della difesa della propria ragione contro quella dell’altro/a, senza mediazioni possibili.
Che fare noi? Si è posta questa domanda, con molto realismo. La risposta che è stata data è: tenere alta l’attenzione su tutto questo, fare informazione usando i rari strumenti disponibili per l’approfondimento – come il libro in questione – soprattutto per la formazione di docenti e studenti di ogni ordine di scuola (preziosi a questo scopo i convegni che il CESP sta organizzando in questi giorni in tutta Italia).
Promuovere i movimenti di base per la pace, finora frammentati e poco visibili, ma che possono contare su una notevole percentuale di cittadinanza – dicono i sondaggi – contraria alla guerra (speriamo a tutte le guerre), all’invio di armi e alle spese militari, specie in un momento di evidente recessione economica.
Non stancarsi di gridare “Fuori la guerra dalla Storia” come fanno ogni giovedì le donne del presidio di piazza Vittorio Veneto a Palermo (Statua della Libertà).
Finché davvero l’opzione guerra sia stata espulsa dalle relazioni tra i popoli.