Il tono della lettera del Ministro Valditara esemplifica il suo neanche troppo velato anticomunismo: “Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia”.
Ma di cosa sta parlando Valditara? Sta esplicitando il suo avallo pubblico all’anti-storica mozione UE che equipara nazismo e comunismo votata anche dal PD? Sta facendo un’operazione di generalizzazione e sta alludendo alla Repubblica Democratica Tedesca (DDR). Forse il ministro, conoscendo la storia in quanto docente universitario, omette dei particolari importanti, veicolando appositamente certi messaggii propagandistici.
Nel 2009, a 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino la maggioranza dei tedeschi dell’est continuava ad essere in preda alla ostalghia, il sentimento nostalgico sviluppatosi nei primi anni 1990 nella Germania orientale a seguito della scomparsa della DDR, rimpiangendone le condizioni di vita. Ciò portò addirittura qualche giornalista italiano ad occuparsene1.
La clamorosa rivelazione emergeva da un sondaggio Emnid commissionato dal governo tedesco, di cui il quotidiano ‘Berliner Zeitung’ rivelava i risultati: il 49% degli intervistati era convinto che «la Ddr aveva più lati positivi che negativi. C’era qualche problema, ma si viveva bene»; un 8% affermava che «la Ddr aveva soprattutto aspetti positivi. Si viveva più felici e meglio di quanto si fa oggi nella Germania riunificata».
Questo 8% è salito al 15% nel 2014. Secondo il sondaggio Emnid, per oltre il 40% dei figli di persone vissute nella Germania Est, quest’ultima non era una “dittatura”. Secondo molti ora ci sono più libertà individuali, ma maggiore disuguaglianza. Un dato interessante, rivela anche che solo il 37% dei cittadini dell’est ritiene che i cittadini possano influire sulla politica, contro il 50% dei cittadini dell’ovest.
Il risultato del sondaggio allarmò l’allora Ministro Federale dei Trasporti, Wolfgang Tiefensee.
I sistemi scolastico e sanitario della DDR erano gratuiti per tutta la popolazione: ciò comportava che tutti i bambini avevano la possibilità di andare all’asilo nido. Le madri avevano diritto a ricevere una sovvenzione economica per la maternità nel periodo compreso tra sei settimane prima del parto e sei settimane dopo. Gli appartamenti avevano affitti alla portata di tutti, ma soprattutto non subivano aumenti per decenni. Un appartamento di quattro stanze costava 94,80 marchi, incluso il costo del riscaldamento.
Secondo una fonte divulgativa italiana nel 1987 il reddito medio pro-capite nella Germania Est sarebbe stato di 7.180 $ contro i 6.390 $ dell’Italia2.
Dopo la riunificazione della Germania non fu tutto rose e fiori, anzi si passò ad una vera e propria macelleria sociale senza precedenti. La Treuhand, organismo incaricato della privatizzazione del «patrimonio del popolo» (nome dato alle imprese pubbliche nella DDR), si trova alla testa di 8.000 società e dei 32.000 stabilimenti dell’impero immobiliare della DDR. In pochi anni, circa 13.000 imprese vennero vendute per la stragrande maggioranza a investitori e imprese della Repubblica Federale Tedesca. Nel luglio 1991 la produzione industriale è diminuita del 43,7% rispetto all’anno precedente, del 51,9% in agosto e di quasi il 70% alla fine dell’anno. Il numero ufficiale di disoccupati salì da appena 7.500 nel gennaio 1990 a 1,4 milioni nel gennaio 1992, e più del doppio contando i lavoratori in disoccupazione tecnica, in riconversione o in prepensionamento. Nei cinque anni successivi alla caduta del Muro di Berlino, la disoccupazione ha colpito l’80% degli attivi. Le donne hanno incontrato ulteriori difficoltà e, per aumentare le loro possibilità di ritrovare un lavoro, molte hanno scelto di farsi sterilizzare. Mentre il centro ospedaliero di Magdeburgo aveva praticato 8 sterilizzazioni nel 1989, queste sono passate a 1200 nel 19913. Dal 1989 al 1992, il numero di dipendenti della ricerca, dell’istruzione superiore, compresa quella industriale, scende da oltre 140.000 a meno di 38.000, mentre molti centri di ricerca e accademie scientifiche verranno chiuse. Circa il 72% degli scienziati dell’ex-DDR è stato destituito in tre anni, mentre il personale rimanente è stato sottoposto a test per valutare le sue convinzioni politiche. Questa epurazione venne giustificata da imperativi ideologici: «Bisogna sradicare l’ideologia marxista procedendo a cambiamenti di strutture e di personale», indica un documento dell’Accademia delle scienze nel luglio 19904.
È noto da tempo che la transizione dall’economia pianificata dei Paesi dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica all’economia di mercato abbia prodotto conseguenze devastanti sulla salute delle sue popolazioni. L’UNICEF attribuì oltre 3 milioni di morti premature alla transizione al capitalismo5; il programma di sviluppo delle Nazioni Unite (United Nations Development Programme – UNDP) stimava in oltre 10 milioni il numero degli uomini scomparsi a causa del cambiamento di regime6; e a distanza di 15 anni dall’inizio della transizione, in solo poco più della metà dei Paesi ex-comunisti si era raggiunta l’aspettativa di vita registrata nel periodo antecedente la transizione7.
Per non parlare della mortalità nei Paesi dell’Est dopo il passaggio all’economia di mercato e capitalista. Uno studio pubblicato su The Lancet8 esplora le cause dell’eccesso di mortalità che ha accompagnato la fase di transizione verso l’economia di mercato dei Paesi dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica dal 1989 al 2002. David Stuckler e Lawrence King del Dipartimento di Sociologia, dell’Università di Cambridge e Martin Mc Knee della London School of Hygiene e Tropical Medicine, hanno analizzato i tassi di mortalità standardizzati per età di uomini in età lavorativa (15-59 anni) dal 1989 al 2002 dei Paesi post-comunisti dell’Europa orientale e dell’ex-Unione Sovietica. Dall’analisi dei dati è risultato che i programmi di privatizzazione di massa sono associati in maniera statisticamente significativa con l’aumento di circa il 13% della mortalità a breve termine. In termini assoluti questo corrisponderebbe, nel periodo considerato, a circa 1 milione di morti tra gli uomini in età lavorativa, dovuti alla “terapia d’urto” della privatizzazione. La privatizzazione di massa è stata definita dagli autori come il trasferimento di almeno il 25% delle aziende statali al settore privato entro 2 anni. I risultati sono interessanti e assumono un significato particolare in questa fase di crisi mondiale del capitalismo.
Erich Honecker, Presidente della Repubblica Democratica Tedesca, scrisse: “Giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la DDR non è stata costituita invano. […] Un numero sempre maggiore di persone dell’est si renderà conto che le condizioni di vita nella DDR li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell’ovest non sia deformata dal capitalismo e che nelle scuole i bambini della DDR crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade dominate dalla violenza della repubblica federale. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della DDR, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing dei medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della DDR non poteva recare all’arte i danni prodotti dalla censura del mercato. […] Gli operai e i contadini si renderanno conto che la repubblica federale tedesca è lo stato degli imprenditori e che non a caso la DDR si chiamava “Stato degli operai e dei contadini”. […] Molti capiranno che anche la libertà di scegliere tra Cdu, Spd, Fdt è solo una libertà apparente”.
Oggi, le stupide caricature propagandistiche fatte dagli anticomunisti di turno (governi neoliberisti e fascisti), proni agli interessi di padroni e poteri forti, hanno lo scopo di instaurare questa “pedagogia di Stato”, volta al revisionismo storico o all’omissione di fatti storici alle nuove generazioni per riproporre “nuove amnesie”. Sono proprio gli stessi che vogliono far dimenticare un mondo senza privatizzazioni, la necessità di uno welfare state solido con prevenzione sociale, ammortizzatori sociali, sanità ed istruzione pubbliche, ovvero le conquiste per cui il comunismo si è sempre battuto.
1 Ostalghia – La nostalgia dell’Est https://youtu.be/x3JsLITuOw0
2 AAVV, Atlante Enciclopedico Touring Volume 2: Europa, Milano, Touring Club Italiano, 1987.
3 A rilevarlo furono i sociologi Fritz Vilmar e Gislaine Guittard
4 Rachel Knaebel & Pierre Rimbert, The economic Anschluss of the GDR, su mondediplo.com, 1º novembre 2019.
5 UNICEF. A decade of transition. Monitoring Central and Eastern Europe Project. Florence, Italy: UNICEF, 2001.
6 UNDP. Transition 1999. Human Development Report for Eastern Europe and the CIS. New York: UNDP REBEC, 1999.
7 World Bank. World Development Indicators (2007 edn).Washington DC: World Bank, 2007.
8 Mass privatisation and the post-communist mortality crisis: a cross-national analysis https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(09)60005-2/fulltext