L’associazione nazionale di volontariato “Beati i costruttori di pace” ci ha inviato, a 30 anni esatti dall’esperienza dei 500 di “Anch’io a Sarajevo” (vedi foto sopra, per chi non conoscesse l’iniziativa ecco il link https://www.balcanicaucaso.org/Media/Gallerie/Sarajevo-la-marcia-dei-500-vent-anni-dopo#&gid=1&pid=5 un resoconto dei progetti e dei gruppi incontrati nel viaggio del 15-17 novembre a Sarajevo di Lisa e don Albino, con la collaborazione di Daniele Bombardi, coordinatore per il sud-est Europa di Caritas italiana.
Molti sono gli italiani che, singolarmente o in gruppo, dal 1992 a oggi hanno frequentato e realizzato progetti nel territorio bosniaco, in particolare a Sarajevo a partire da quella esperienza dei 500.
Sono stati presentati negli incontri del 15-17 novembre:
-i progetti di formazione per giovani
a) “Camminiamo insieme ” per animatori e promotori di dialogo interreligioso
b) “Giovani e democrazia” con giovani delle superiori e dell’Università
c) animazione per i bambini sia locali che migranti
d) supporto e protezione per bambini a rischio, sia in orfanotrofi (ancora di vecchio stampo) e con bambini migranti.
Tutte iniziative portate avanti da persone formate e in grado di offrire opportunità di formazione anche per quanti lavorino con i giovani;
-il progetto “Camminiamo insieme”. Dialogo tra i giovani appartenenti a comunità religiose diverse: dal 2013 tra cattolici e ortodossi e dal 2016 anche con musulmani. Le finalità sono di creare scambi e relazioni tra persone di diverse comunità di fede, visitando le comunità diverse dalla propria. Ogni anno si tengono due tipi di campi estivi di 7-9 giorni
a) per conoscenza e incontro tra ragazzi cattolici e ortodossi, il Campo ecumenico, che coinvolge centinaia di ragazzi ogni anno
b) il Campo della Pace, che coinvolge anche giovani musulmani, e si incentra sullo sport, il ‘fair play’, per promuovere rapporti di solidarietà e amicizia, per una diversità vista come ricchezza e non come problema.
Si dedica una attenzione speciale alle comunità più piccole dove la memoria della guerra dà luogo solo a sentimenti negativi, offrendo l’aspetto positivo della conoscenza di persone fuori del proprio gruppo.
– il progetto ‘Pro Futuro’ rivolto a vittime della guerra e figli di vittime della guerra, tra cui prigionieri di guerra, internati nei campi, persone che hanno subito pulizia etnica, soldati che hanno combattuto da minorenni.
L’obiettivo è offrire un luogo per essere ascoltati, per capire quali sono i propri diritti, e per progettare insieme un futuro più giusto.
Il progetto offre assistenza psicosociale per promuovere il reinserimento nella società per molti che si sentono abbandonati.
Un’attività di questo progetto è stata la mostra e la pubblicazione di una serie di ritratti fotografici (opera di un fotografo anche lui vittima di guerra) di vittime che, raccontando le proprie sofferenze, si impegnano per il superamento di ogni guerra.
– progetto ‘Youth for peace’, il cui obiettivo è mettere insieme la memoria del passato di ciascuno dei giovani coinvolti.
Per molti si tratta di condividere il racconto tra persone i cui padri si sono combattuti e a volte anche uccisi, per superare i traumi e poter dire ad altri che questo percorso è possibile. Il progetto (curato da Caritah BiH) è attivo da 9 anni. Per questi giovani che arrivano a raccontarsi le proprie ferite e a costruire un rapporto di fiducia reciproca, la difficoltà più grande è superare quell’odio ‘silenzioso’ insito nella società attuale, piuttosto che rispetto alla guerra di 30 anni fa.
– Infine la Caritas italiana gestisce anche il ‘Social Corner’ (una sorta di socializzazione e ricreazione) in due campi per i migranti della ‘rotta balcanica’.
I campi sono allestiti dalla Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e accolgono, in uno i gruppi familiari e i minori non accompagnati (400 nei gruppi familiari e 120 minori), nell’altro gli uomini soli (qui c’è un rapido turn-over, in una settimana sono arrivati in 1235 e sono partiti in 1131).
Da qualche mese chi parte non ritorna, mentre in passato molti erano coloro che, respinti anche con violenze, tornavano.
Ci sono persone di 29 nazionalità, molti afgani, pachistani, iraniani .
In generale non c’è ostilità delle comunità locali verso i migranti.
Nei prossimi giorni l’associazione deciderà i prossimi passi da realizzare.