Penso che per alcuni detenuti non sia così diverso trovarsi sepolti sottoterra, o murati vivi in una cella. Le Procure della Repubblica continuano a non aprire alcun fascicolo su queste morti, sempre più numerose, avanzando l’ipotesi del reato di istigazione al suicidio. Sembra che, per alcune forze politiche della nuova maggioranza di governo, per alcuni personaggi dell’antimafia e anche per buona parte della società, il carcere che funziona è sia solo quello che “fa male”. Non ci si accorge, invece, che questa mentalità favorisce le mafie, perché le prigioni diventano sempre più fabbriche di criminalità, devianza e morte.
Il carcere, in Italia, si ritiene al di sopra di qualsiasi legge. Non solo in esso si viene istigati al suicidio – a volte con violenti pestaggi, oppure con trattamenti degradanti – ma soprattutto si viene umiliati quotidianamente privando chiunque della voglia di vivere.
E non è vero che la colpa dell’illegalità in carcere è causata solo da alcune “mele marce”. Piuttosto è il contrario perché ad essere rare in carcere sono solo le “mele buone”. Il carcere è cancerogeno non solo per chi è detenuto, ma è anche per chi vi lavora perché anche loro sono abbandonati dalle istituzioni.
Come si può pensare di garantire la sicurezza sociale privando i detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis della visione del cielo, delle stelle e della luna? Come si fa a tenere in carcere tossicodipendenti che hanno bisogno di cure e di assistenza di tutt’altro genere? Come si fa a tenere una persona detenuta per sempre con la pena disumana dell’ergastolo ostativo?
Il carcere, in Italia, è una macelleria e al macellaio non fa più impressione la vista del sangue, perché ha perso la sua umanità e non crede più che la pena abbia alcuna funzione rieducativa. La notizia dell’ennesimo suicidio in carcere mi ha fatto riflettere sul fatto che quasi nessuno parli mai della sofferenza indescrivibile che si riscontra in un carcere, e che non è presente in nessun altro luogo, forse neppure nelle corsie di un ospedale.
Sembra che i funzionari dell’Amministrazione penitenziaria abbiano diramato delle circolari per affrontare il problema ma, come al solito, probabilmente rimarranno lettera morta. Eppure, basterebbe così poco per evitare alcuni di questi suicidi: il trasferimento in un carcere vicino alla propria famiglia, una telefonata o un colloquio in più con i propri cari, una vivibilità migliore e qualche ora d’aria in più nei cortili dei passeggi. Basterebbe davvero poco per dare ai detenuti un po’ di speranza, di amore sociale e di dignità.