Pubblichiamo alcuni brevi stralci dell’Introduzione del libro curato da Umberto Santino, con qualche piccolo inciso del sociologo Salvatore Palidda. Quest’ultimo – professore dell’UNIGE – sottolinea che “Si tratta di un volume molto ricco di contributi di ricercatori e magistrati tra i più qualificati in ciò che riguarda l’evoluzione delle mafie. La necessità di rinnovare la comprensione di tale fenomeno appare più che mai decisiva visto anche che alle ultime elezioni comunali a Palermo e regionali in Sicilia i candidati amici della mafia hanno vinto”, riferendosi a quanto scritto  da Attilio Bolzoni sul Domani.

 

Il volume Mafie: a che punto siamo? Le ricerche e le politiche antimafia (a cura di Umberto Santino, di Girolamo editore, 2022), presenta gli atti del convegno “Mafia e antimafia. Lo stato della ricerca e delle politiche negli ultimi anni”, organizzato dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” e dal Dipartimento “Culture e società” dell’Università di Palermo, svoltosi il 26 ottobre 2017, nel quarantennale dell’attività del Centro. Il volume comprende contributi di Santino, Marco Santoro, Alessandra Dino, Monica Massari, Rocco Sciarrone, Antonio La Spina, Michele Prestipino, Franca Imbergamo, Piergiorgio Morosini (aggiornati successivamente). S’è aggiunto un testo di Ilaria Meli. Anna Puglisi ha condiviso la curatela del libro.

Ricordiamo che Umberto Santino è autore di tanti libri, alcuni firmati con Anna Puglisi, tutti produzione del Centro di documentazione siciliano “Giuseppe Impastato». In particolare è a lui che si deve la teoria del “paradigma della complessità” per l’interpretazione del fenomeno mafioso basata soprattutto sull’ipotesi che sia il risultato della relazione interattiva tra criminali, soggetti sociali ed economici, aspetti politici e anche culturali; così egli analizza non solo le organizzazioni criminali propriamente dette, ma anche il contesto sociale nel quale operano, arrivando quindi a definire il concetto di “borghesia mafiosa”. Si potrebbe dire che tale “paradigma della complessità” raggiunge la teoria della complessità di Edgard Morin e tutto ciò che rinvia alla pluridisciplinarità. Un altro approccio propone di considerare la mafia in riferimento al ruolo di power-brokers (intermediari del potere in tutti i campi) che le classi dominanti siciliane -ma anche di altri paesi dei Sud- adottano alfine d’arrivare ad avere l’autonomia di gestione della società locale nella negoziazione con il dominante straniero di turno che da sempre s’impone in Mediterraneo e in Italia (vedi qui). Questo spiega la riproduzione continua della marginalità dei Sud e della Sicilia e come la mafia vi contribuisce. I Sud diventano eterotopie, terre di nessuno, ma prede di tutti i dominanti

(Salvatore Palidda)

 

Dall’Introduzione di Umberto Santino

Le ricerche

Uno degli scopi del convegno era di creare il quadro delle ricerche, limitato a quelle sociologiche, e il quadro delle politiche antimafia.

Nel corpo delle relazioni riguardanti le ricerche distinguiamo due ambiti: uno propriamente teorico, l’altro più legato ad aspetti particolari.

 

L’approccio ontologico

Nel suo capitolo Marco Santoro affronta un problema fondamentale: l’ontologia della mafia. Cos’è realmente la mafia, al di là dell’implicito e del sentito dire, o anche della letteratura che prolifera in varie forme? Un punto fermo, almeno da qualche tempo, è che la mafia esiste. Il maxi- processo ha dimostrato l’esistenza dell’associazione mafiosa Cosa nostra, ma siamo nell’ambito di quello che Bourdieu chiamava “pensiero di Stato”: cioè un soggetto istituzionale, la magistratura inquirente e giudicante, a partire da fatti innegabili, il compimento di omicidi e di stragi, e dalle ricostruzioni di alcuni appartenenti a quell’associazione diventati “collaboratori di giustizia”, ha sancito l’esistenza, la struttura organizzativa e l’attività dell’associazione Cosa nostra. Ma tra gli studiosi c’è disaccordo sulla definibilità del fenomeno mafioso. Siamo nel campo dell’opinabile. Le scienze sociali operano su ipotesi che possono essere verificate o falsificate attraverso la ricerca, che è anch’essa condotta in base a metodologie e pratiche che sottintendono un certo modo di vedere e rappresentare la realtà, o quella che chiamiamo realtà.

 

La violenza 

Il problema della violenza non è un dato da archeologia mafiosa. Monica Massari nel suo saggio richiama la ricerca del Centro Impastato sugli omicidi e sulle guerre di mafia pubblicata nel volume La violenza programmata, sottolineando la complessità dello stesso concetto di violenza all’in- terno della ricerca. La violenza mafiosa non è comparabile a modelli sub-culturali, devianti e marginali; l’omicidio è un progetto, fa parte di un programma, all’interno dell’organizzazione nella gara egemonica, e all’esterno con l’eliminazione di chi ostacola la strategia mafiosa. Ed è una chiave di lettura per comprendere l’evoluzione del fenomeno mafioso, coniugando aspetti strumentali, simbolici e identitari.

Ma cos’è cambiato negli ultimi anni?

 

L’area grigia e il capitale sociale

Ricco di implicazioni teoriche è il contributo di Rocco Sciarrone sull’“area grigia”, definita come “un articolato e multiforme campo organizzativo”. La definizione di mafie all’inizio del saggio, avverte l’autore, è compatibile con il “paradigma della complessità”, nel senso che ne riprende le linee fondamentali: la ricerca del profitto e del potere, il radicamento territoriale, l’inserimento nell’economia legale, la capacità di influenzare la vita politica e istituzionale, la dotazione di un apparato militare, il consenso sociale.

La prospettiva del “capitale sociale” adottata da Sciarrone in un saggio del 1998, sarebbe la chiave analitica per spiegare i meccanismi di riproduzione delle mafie. Riprendendo l’analisi di Bourdieu, il capitale sociale viene definito “quell’insieme di risorse che deriva da una rete stabile e duratura di relazioni, conoscenze e riconoscimenti reciproci”.

 

Ancora sulle mafie romane

Alcuni gruppi operanti nell’ambito della capitale sono stati riconosciuti giudiziariamente associazioni di tipo mafioso. Se n’è occupata nei suoi studi Ilaria Meli, dottoressa di Scienze sociali applicate, a cui abbiamo chiesto di analizzare queste nuove realtà̀.

Roma è stata considerata un’isola felice, mentre è stata un laboratorio criminale in cui hanno operato mafie storiche in trasferta e fenomeni criminali autoctoni. Per cui si è configurata una pluralità̀ di paradigmi organizzativi. Nei decenni scorsi Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra si spartivano attività̀ e territorio e i piccoli gruppi locali, le “batterie”, cominciavano a strutturarsi. L’esempio più̀ noto è la banda della Magliana, crocevia in cui si incontravano criminali di quartiere, professionisti, imprenditori, soggetti del campionario che si è soliti designare come “poteri occulti”.