L’idea più terribile che ho letto e ascoltato in questi giorni è l’affermazione anticostituzionale di “Certezza della pena”. Tale visione implica una idea di automatismo per il quale ad ogni evento debba, necessariamente, corrispondere una determinata pena anche quando è controproducente per la società o per chi la sconta. E come se un dottore, dopo la guarigione del suo paziente, continuasse a curarlo somministrargli medicine con gravi effetti collaterali perché lo aveva stabilito prima.
Molti non sanno che la nostra Carta Costituzionale, scritta soprattutto da partigiani che sono stati detenuti nelle carceri fasciste, prevede che la pena abbia principalmente lo scopo di tendere alla rieducazione; quindi, qualsiasi pena detentiva non può e non deve essere certa quando ha esaurito la sua funzione rieducativa. Per fortuna ci ha pensato il nuovo Ministra della Giustizia, Carlo Nordio, a ricordarlo, ma adesso bisogna vedere se avrà il coraggio di mettersi contro la sua maggioranza politica.
In tutti i casi, la certezza della pena non è assolutamente un deterrente e non spaventa proprio nessuno: i terroristi continuerebbero a farsi saltare in aria, alcune persone a uccidere moglie o figli, i mafiosi ad essere mafiosi e alcuni politici continuerebbero a rubare.
Attualmente chi sconta la pena fino all’ultimo giorno esce arrabbiato e convinto di avere pagato il suo debito con la giustizia. Credo che i politici che per consenso elettorale invocano a gran voce la “certezza della pena” non facciano gli interessi di chi li ha eletti, ma facciano piuttosto, senza volerlo, gli interessi della criminalità, perché i suoi adepti in carcere non sono stimolati a cambiare.
Mi è capitato pure di ascoltare dichiarazioni di alcuni politici della nuova maggioranza parlamentare e sono rimasto perplesso di fronte all’eventuale programma di costruire nuovi istituti penitenziari, perché nei Paesi in cui ci sono poche carceri ci sono anche meno delinquenti.
Non citerò i dati sulla recidiva, ma per esperienza personale penso che il carcere in Italia non fermi né la piccola né la grande criminalità, piuttosto la produca. E questo probabilmente perché quando vivi intorno al male non puoi che farne parte.
Penso che spesso non siano i reati commessi a far diventare una persona criminale, bensì i luoghi in cui è detenuta e gli anni di carcere che vengono inflitti.
Si vuole assumere nuovo personale di Polizia, ma siamo il paese nel mondo che, in rapporto al numero di detenuti, ha più agenti penitenziari. Credo che sarebbe meglio se in carcere ci fossero più educatori, psicologi, psichiatri, insegnanti o altre figure di sostegno.
Si prospetta anche la revisione della ‘sorveglianza dinamica’ e del regime penitenziario ‘aperto’, ma come si fa a migliorare stando chiusi in una cella, sdraiati in una branda guardando il soffitto 22 ore su 24?
Credo che si dovrebbe stare molto attenti al trattamento delle persone in carcere, perché quando usciranno, molto probabilmente, saranno diventate più devianti e criminali di quando sono entrate. E odieranno la società e le istituzioni ancor di più, per averle fatte diventare dei ‘mostri’.
Io penso che il carcere, così com’è oggi, non dia risposte, il carcere è una non risposta, è il male assoluto. Non si può educare una persona tenendola all’inferno, la si può solo punire, farla soffrire, distruggerla, e dopo di questo anche il peggiore assassino si sentirà innocente. Solo un carcere aperto e rispettoso della legalità può restituire alla società dei cittadini migliori.
Si propone pure la rivisitazione in peggio sul carcere duro del “41-bis”. Sinceramente non credo che più di così si possa peggiorare questo terribile regime detentivo di tortura.
Comunque, per sconfiggere la mafia non ci si dovrebbe accontentare solo di murare vivi i mafiosi ma, piuttosto, si dovrebbero voler migliorare i loro cuori e le loro menti.
E per fare questo si hanno più possibilità di riuscita trattandoli con umanità.