Secondo fonti dell’opposizione all’estero, il regime è passato alla fase due della repressione con l’occupazione militare dell’università Sharif a Teheran e l’arresto di centinaia di studenti. L’Ong Iran Human Rights (IHR) ha postato sui social video dall’interno del campus dove si sentivano spari di arma da fuoco. L’emittente “Iran International”, che trasmette da Oslo ha affermato che le manifestazioni in diverse città vanno avanti, malgrado la repressione dura e l’uso dei proiettili da guerra da parte della polizia e dei Basiji, le milizie studentesche del regime. Nelle comunicazioni dell’emettente si sostiene che le vittime della repressione sono state finora 133.
Il presidente Raissi ha accusato “forze straniere di fomentare la rivolta per indebolire il paese, mentre stiamo svolgendo un’inchiesta per stabilire le responsabilità per la morte della giovane Mahsa Amini”. Un’inchiesta alla rovescia: infatti la polizia ha arrestato le due giornaliste che hanno dato per prima la notizia della morte della 22enne curda e la cantante Mona Borzouei, per le sue liriche in ricordo di Mahsa.
Il regime dall’altra parte cerca di attenuare le reazioni internazionali, concedendo la libertà vigilata a un imprenditore statunitense di origine iraniana detenuto in Iran dal 2015. Secondo l’agenzia semi ufficiale Nour, le trattative tra Washington e Teheran per la liberazione dei detenuti statunitensi in Iran sono state condotte da un paese arabo del Golfo (Il Qatar?). La proposta sul tavolo è il baratto tra il gesto di clemenza iraniano e il pagamento dei capitali iraniani trattenuti in Giappone in seguito alle sanzioni USA.