Il 4 ottobre di prima mattina, un “comando unificato” integrato con forze federali della Prefettura, gendarmeria e polizia federale con la collaborazione della polizia provinciale di Río Negro, è avanzato via terra e aria sulla comunità Mapuche Lafken Winkul Mapu presso il Lago Mascardi, su ordine del Ministero di Sicurezza Nazionale.
250 unità pesantemente armate hanno affrontato una comunità di 30 persone, inclusi i bambini. Per lo svolgimento dell’operazione e per evitare l’arrivo sul posto di altre comunità e della stampa, gli accessi via terra sono stati chiusi immediatamente.
Alla data di pubblicazione di questo articolo, il 4 ottobre, si denuncia l’arresto di otto donne Mapuche, tra cui una incinta e la guaritrice Betiana Coluan Nahuel, tre uomini e cinque minorenni, di cui due bebè. Altri bambini e adolescenti sono stati inseguiti nel bosco vicino.
I social hanno diffuso questa situazione con richieste angosciose di denuncia e aiuto da parte delle comunità sorelle, che vedono il ripetersi di casi come quelli che finirono con la morte di Rafael Nahuel nel novembre 2017 (presso lo stesso Lago Mascardi) e di Elías Garay nel 2021.
La retata risponde alla richiesta di sostegno nazionale da parte del governo provinciale, a seguito dell’incendio avvenuto la settimana scorsa nella zona di una sede della gendarmeria, attribuito immediatamente e senza basi a “gruppi Mapuche”. Il vero conflitto è quello della lotta per la sopravvivenza di questa popolazione nel proprio territorio ancestrale, rispetto a una sfera della società che dice di difendere la sovranità nazionale teoricamente minacciata, mentre utilizza le proprie risorse nei mezzi di comunicazione e nella “giustizia” per garantirsi la proprietà di quelle terre.
«Ovunque pretendiamo recuperare terre c’è conflitto» dice Mauro Millán, capo della comunità Pillán Mahuiza, in dichiarazioni radiofoniche. «Se facciamo ritorno al nostro territorio tra le pietre, dicono sempre “perché qui?”. Dove vogliono mandarci a vivere? Sulla Luna? Su Marte? Questo è il nostro territorio ancestrale! Perché no? Perché non possiamo tornare nel nostro territorio?»
«Non abbiamo il diritto indigeno in tasca: si tratta di normative costituzionali che non sono mai state applicate. Nella riforma costituzionale del ’94, lo Stato si era impegnato a consegnare terre adatte e sufficienti, ma non è mai successo, e noi minoranze danneggiate dobbiamo lottare per i nostri diritti».
Interpellato sulla titolarità che gli imprenditori locali reclamano su alcune di queste terre, dice:
«Sì, i terreni sono a nome di altre persone perché quando i nostri territori vengono usurpati, si consegna loro facilmente la proprietà. Noi stiamo lottando da anni per una legge di proprietà comunitaria. Anni! D’altro canto qualunque imprenditore che la richiede può ottenere da un giorno all’altro la proprietà delle terre. Non so se hanno documenti scritti, ma come mai nessuno indaga su come questa gente riesce ad acquisire proprietà nei Parchi nazionali?”
Il capo inoltre esprime la sua indignazione verso la stampa, che lo accusa impunemente, com’è successo con l’incendio recente della sede della gendarmeria:
«Infobae lo diceva chiaramente: “I Mapuche incendiano la sede della gendarmeria”. Ci ha dato un giudizio veloce, ha fatto da giudice, da pubblico ministero, da querelante, e ha determinato la colpa dell’incendio nei nostri confronti. E dico nostri perché quando parlano di Mapuche, ci prendiamo tutti la responsabilità, perciò hanno accusato me dell’incendio. Non si è mai dimostrato che sia stato il gruppo Winkul. Ovvio che la zona è vicina, ma non significa che sia stata opera del gruppo. Hanno detto che è stata la RAM, i narcotrafficanti…»
E protesta:
«Le sembra giusto? Non le pare che sia meglio dare informazioni affinché la gente sia al corrente?»
Nel frattempo, l’APDH, l’Assemblea Permanente per i Diritti Umani, ha manifestato il proprio sostegno dichiarando, tra l’altro: «Come abbiamo già reiterato, la strada per la risoluzione di questo conflitto e di molti altri che esistono nel nostro Paese con i popoli nativi è il dialogo, non la loro criminalizzazione..Così indica il Convegno 169 della OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro riguardo i Popoli indigeni e tribali, ndt).
È arrivato anche sostegno dalla Corporazione degli avvocati, da movimenti sociali e sindacali.
Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.