Al processo di appello su Riace e Lucano in corso presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, oggi (26 ottobre 2022) è stato il giorno della requisitoria della Procura Generale. I Procuratori Adriana Fimiani e Antonio Giuttari hanno presentato le loro valutazioni, alla luce di quanto obiettato dalle difese nel ricorrere in appello contro la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Locri poco più di un anno fa, il 30 settembre 2021.
E’ stata una udienza molto tecnica, in cui i Procuratori hanno esaminato punto per punto i rilievi mossi dalle difese contro la sentenza di primo grado. Come sempre, non entrerò nel merito delle osservazioni tecniche, cosa di cui non sarei capace, né le riprenderò in modo esaustivo. Cercherò piuttosto di sintetizzarne brevemente il senso sotto il profilo delle conseguenze su un procedimento giudiziario che, come abbiamo visto in questi tre anni, ha assunto il carattere sempre più deciso di un processo politico.
I Procuratori hanno condiviso le obiezioni degli avvocati difensori quanto all’inutilizzabilità di alcune intercettazioni; hanno però anche considerato che le nuove intercettazioni introdotte, che avevano portato a riaprire l’istruttoria, non modificano in modo significativo il quadro probatorio. Questo quadro, per quanto ricostruito dal Tribunale di Locri, non appare loro indebolito dall’uso anomalo delle intercettazioni, in quanto considerano solide le basi documentali su cui poggia, per cui la gran parte della requisitoria si è risolta in una conferma delle motivazioni della sentenza di Locri.
Pur rilevando piccoli cambiamenti nella situazione processuale di Domenico Lucano, come la prescrizione di due presunti reati di abuso d’ufficio e l’assoluzione per un presunto reato di truffa relativo alle spese per un pranzo di 50 turisti americani in visita al sistema d’accoglienza di Riace, pranzo poi saltato, la Procura ha confermato l’impianto d’insieme della sentenza di primo grado.
Lucano sarebbe colpevole di aver montato e diretto un’associazione a delinquere tesa a commettere una serie di peculati, truffe e abusi che sarebbero provati in modo univoco e convincente. Solo per un imputato, Luca Amendolia, l’accusa di associazione a delinquere deve cadere secondo la Procura generale, in quanto il professionista cercava attivamente di tenersi lontano dai legami associativi, pur mantenendo un buon rapporto con Lucano. Per il resto, l’associazione a delinquere viene confermata, in termini molto vicini alla retorica delle motivazioni di Locri.
L’associazione è “provata” in quanto “i reati commessi a Riace richiedono una sinergia che non poteva non derivare da una continuativa e metodica attività messa in atto” da soggetti che la Procura designa come “totalmente immersi in questa attività truffaldina”. A tal punto che i Procuratori escludono che si possano applicare nei loro confronti misure attenuanti come l’aver agito in stato di necessità, il riconoscimento di aver agito in buona fede, nemmeno le attenuanti generiche.
In conclusione, le pene stabilite in primo grado vengono limate qua e là. Quanto a Lucano, la condanna è “ridotta” a 10 anni e 5 mesi, rispetto ai 13 anni e 2 mesi del primo grado. Sarà anche un caso, ma la richiesta della Procura generale si situa proprio a metà fra i 7 anni e 11 mesi chiesti dal PM Permunian e i 13 anni stabiliti dal giudice Accurso. Algoritmi? Geometrie? Fatto sta che si ha l’impressione, da semplici osservatori, che i reati valgano quantità di pene molto variabili e che talvolta i giudici giochino con gli anni (degli altri) come se fossero noccioline.
Dalla prossima udienza, il 30 novembre 2022, cominceranno a parlare le difese. E allora speriamo che finalmente si ritrovi un linguaggio di giustizia.