Pubblichiamo, in vista del 16 ottobre, anniversario della razzia di Roma, l’intervista ad Alessandro Matta, Presidente dell’associazione Memoriale sardo della Shoah.
Ci avviciniamo a una data storica per l’Italia e la comunità ebraica, il 16 ottobre, quando nel 1943 vi fu la razzia di migliaia di ebrei di Roma deportati ad Auschwitz-Birkenau, da cui in pochi tornarono. A tal proposito esiste un film, “la Razzia” di Ruggero Gabbai, prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma, che con documenti e testimonianze ricostruisce quanto avvenuto: come valuti questo film?
Anzitutto una piccola premessa. Questo film è solo uno dei tanti film-documentario sulla Shoah italiana realizzati da Ruggero Gabbai, validissimo regista e responsabile della Forma International productions, con la consulenza storica di Marcello Pezzetti e di Liliana Picciotto. Alla base dell’incredibile lavoro filmico di Gabbai c’è un importante base, che è costituita dal progetto “Archivio della memoria” realizzato da Marcello Pezzetti e da Liliana Picciotto per il Cdec (centro di documentazione ebraica contemporanea) di Milano negli anni ’90: una raccolta di interviste video a tutti i sopravvissuti italiani ebrei della Shoah, raccolte da Pezzetti e dalla Picciotto sotto la regia appunto di Ruggero Gabbai, da loro scelto per il suo imponente curriculum come regista di cinema documentario o comunque di cinema di qualità (Gabbai, voglio ricordare, fu anche autore di alcuni servizi per la rubrica di vita e cultura ebraica “Sorgente di vita” trasmessa quindicinalmente dalla Rai) tra il 1995 e il 1997 in una prima fase, e tra il 2002 e il 2008 in una seconda ed ultima fase. In tutto 110 interviste a sopravvissuti. In moltissimi casi, a causa di eventi temporali come la morte, l’intervista raccolta da Marcello e Liliana è spesso la sola intervista video da loro rilasciata!
Voglio inoltre ricordare che per l’Italia questa raccolta di testimonianze è addirittura antecedente all’arrivo in Italia del progetto di raccolta di interviste ai sopravvissuti della “Survivors of the Shoah visual history foundation” di Steven Spielberg, che giunge in Italia e forma i suoi intervistatori solo nel 1998. Non è ancora chiaro il motivo di questo ritardo. Sulla base delle prime interviste raccolte, nel 1997 Gabbai ha diretto e montato un primo film documentario: “Memoria” uscito appunto nel 1997 e premiato al festival del cinema di Berlino, e poi trasmesso in prima serata da Rai Due nella primavera dello stesso anno, con uno share di telespettatori incredibile. Nel 2006 seguì poi, in parte sulla base delle nuove interviste e in parte su materiale proveniente dalle vecchie, un importante film documentario sul campo di transito italiano di Fossoli di Carpi dal titolo “gli Ebrei di Fossoli”, e nel 2012, con interviste del tutto nuove filmate a Rodi, il film documentario “il Viaggio più lungo” sulla tragedia degli ebrei della “Isola delle rose” rastrellati con l’inganno alla fine di luglio del 1944 e giunti ad Auschwitz Birkenau nel giorno di ferragosto successivo. Segue poi “la Razzia nel 2018 e non dimentichiamo “Kinderbloch-l’ultimo inganno” del 2019, dedicato alle sorelle Tatiana e Andra Bucci e al loro cuginetto Sergio De Simone, bambino ebreo napoletano assassinato a Bullenhuser Damm a seguito di orribili sperimentazioni mediche. Senza dimenticare che Nel 2003 Gabbai, sempre con Pezzetti consulente storico, è stato produttore del documentario “la Città che Hitler regalò agli ebrei” incentrato sul ghetto di Terezin (vicenda quindi non connessa all’Italia) e in questo momento sta realizzando un film documentario su Shlomo Venezia, il sopravvissuto italiano dei Sonderkommando di Birkenau.
Tutti questi documentari hanno come consulente sempre Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, e basano la loro realizzazione su un incrocio tra la testimonianza e il lavoro dello storico quale è Marcello Pezzetti, che talora, soprattutto negli ultimi film realizzati, interviene allo scopo di contestualizzare, documenti alla mano, quanto stanno rievocando i testimoni. E’ un metodo di lavoro molto funzionale, che ho fatto anche mio nelle mie ricerche e anche nella mia raccolta di testimonianze, e funziona molto bene. I lavori fatti da Gabbai con la consulenza di Pezzetti e Picciotto funzionano ed hanno un importante eco anche all’estero, dove spesso si stanno conoscendo le vicende della Shoah italiana proprio grazie a questi film documentari.
Non è un caso che abbia fatto una domanda del genere a lei, visto che è il direttore dell’Associazione Memoriale sardo della Shoah nonché uno dei massimi esperti di cinema e Shoah, e autore di numerosi articoli sul tema su CInemecum. Come nasce l’associazione e di cosa si occupa?
L’Associazione Memoriale Sardo della Shoah nasce a Cagliari nel settembre 2011. La sua creazione è stata anzitutto un modo di dare una vera e propria forma a un immenso lavoro compiuto fino ad allora in modo privato dal sottoscritto. La mia intenzione primaria con la sua creazione è quella di mettere a disposizione del pubblico, ma soprattutto degli insegnanti e delle scuole e università, l’immenso patrimonio che già in quel momento era stato raccolto da me in materia di libri, documenti ma soprattutto di materiale audiovisivo sulla Shoah e sugli ebrei in generale, che già allora ammontava a oltre 1000 vhs e centinaia di dvd raccolti.
Oggi, negli anni, il patrimonio è andato via via aumentando a dismisura fino a raggiungere i numeri di oggi: una biblioteca di oltre 1000 volumi, un settore audiovisivi che conta oltre 12500 documentari e film (probabilmente la seconda collezione audiovisiva europea su questi temi, seconda rispetto a quella dell’IMAJ-Institut pour la memoire audiovisuelle juive di Bruxelles, il cui patrimonio audiovisivo si aggira sui 20/30000 titoli), un archivio storico con centinaia di documenti storici originali (il tutto viene a poco a poco catalogato anche online, e si possono raggiungere i vari cataloghi dei settori dallo stesso sito web www.memorialedellashoah.it ).
Ma lo scopo della creazione della associazione è anche e soprattutto un altro: creare in Sardegna il principale punto per la didattica e l’educazione sulla Shoah, realizzando seminari, convegni, presentazioni in collaborazione con istituti internazionali (abbiamo organizzato, in collaborazione con molte scuole o grazie all’aiuto e all’impulso di molti insegnanti anche essi impegnati nella didattica della Shoah e che si formano sulla stessa almeno una volta l’anno, tantissimi seminari, facendo arrivare nell’isola per la prima volta la Fondazione Museo della Shoah di Roma,lo Yad Vashem di Gerusalemme, il Mémorial de la Shoah di Parigi, l’organizzazione internazionale “Yahad-in Unum”) , ma soprattutto: facendo in modo, attraverso un meccanismo a rete, che tutti i docenti che vengano in contatto con noi possano usufruire non solo del patrimonio dell’associazione, ma soprattutto della consulenza mia e dei pochi altri membri del piccolo gruppo che la compone.
Non serve a nulla mettere una collezione di libri, video e documenti sulla Shoah a disposizione degli insegnanti, se poi non si crea un meccanismo per il quale quel patrimonio è legato a una didattica fatta con attenzione e ben precisa. Altrimenti, il rischio è quello di creare una sorta di “blockbuster” di libri, video e documenti, nel quale gli insegnanti arrivano e ti chiedono “Hai un bel film, hai un bel libro per i miei studenti sulla Shoah che non li annoi per domani, 27 gennaio?” e tutto finisce li. La nostra associazione è attenta a che i materiali e il loro utilizzo siano sempre legati a progetti seri, non improvvisati, e non pensati all’improvviso dall’oggi al domani. Inoltre, l’associazione porta avanti una ricerca dettagliata sulla sorte degli ebrei della Sardegna o degli ebrei con origini sarde negli anni delle persecuzioni e della Shoah, ricerca che sta conducendo a non poche sorprese e novità nel ricostruire vicende familiari fino ad oggi inedite o poco conosciute.
Come si può oggi insegnare la Shoah in un paese come l’Italia, dove questa vicenda è sempre relegata verso la fine dei cicli scolastici? Lei ha anche collaborato con la Fondazione Museo della Shoah per alcune mostre…
Purtroppo, anche in Italia come in molti paesi d’Europa, l’antisemitismo è in costante aumento nonostante la presenza di una avviata didattica della Shoah. Tuttavia, questa didattica necessita allo stato attuale assolutamente di un cambio di rotta. Ancora oggi spesso in molte istituzioni scolastiche assistiamo a eventi molto improvvisati, dove è palese la retorica e/o la banalizzazione degli eventi. Spesso assistiamo a una serie di eventi dove tutto viene trasformato in una sorta di melassa sul rispetto dei diritti umani e su un generico “antirazzismo” che finisce col mescolare tra loro eventi diversi e realizzare una sorta di livella di ogni genocidio, di ogni crimine contro l’umanità o di ogni massacro. In questo modo si annacqua l’unicità della Shoah nel panorama storico, ma soprattutto si nega identità a ogni evento, creando l’effetto “Memoria-lacrimuccia”.
Una didattica della Shoah necessita anzitutto di un meccanismo di formazione e aggiornamento continuo da parte sia del docente sia dell’educatore che da esterno, in veste di responsabile di organizzazioni culturali o museali impegnate nella memoria e soprattutto nello studio della Shoah, possa ritrovarsi a venire chiamato a collaborare ai progetti didattici. Questo in Italia non è complesso, abbiamo diverse istituzioni che organizzano ogni anno decine di corsi di formazione, e soprattutto, grazie agli accordi del Miur con queste due istituzioni, i docenti italiani possono usufruire di seminari di formazione presso la International School for Holocaust Studies dello Yad Vashem di Gerusalemme e presso il Mémorial de la Shoah di Parigi.
Ma purtroppo può risultare spesso frammentato anche per la mancanza, questo si, di un museo nazionale della Shoah, che ancora oggi l’Italia non ha. Vorrei approfittare però di questa intervista per lanciare una proposta: l’istituzione di una “Scuola Italiana per lo studio della Shoah”, con una sede in ogni regione italiana, una scuola staccata da ogni complesso museale, ma ad essi legata da un meccanismo a rete, che coinvolga ovviamente anche la rete degli istituti storici della resistenza e tutte le organizzazioni sul territorio nazionale che si occupano di memoria e storia della Shoah e dell’ebraismo (anche quelle relative all’ebraismo devono, in questa scuola, avere un importante ruolo. Come insegna soprattutto la didattica dello Yad Vashem, occorre parlare anche della vita, della cultura e della religione ebraica prima e dopo la Shoah. Auschwitz Birkenau o Treblinka sono “solamente”, mi si scusi il virgolettato e il solamente, il luogo dove i nazisti e i loro collaboratori hanno cercato di porre fine all’esistenza di un popolo dalla storia e dalla cultura millenaria. Bisogna invece mostrare chi erano le vittime, quale è la loro cultura, la loro vita. Ma soprattutto, bisogna parlare dell’antisemitismo, e mostrare le sue varie forme ieri e oggi.
Inoltre, sono personalmente convinto che una didattica della Shoah debba partire, per coinvolgere i nostri ragazzi, dalla storia locale. Guardi me e la mia ricerca sugli ebrei e la Sardegna durante la Shoah. Quando parliamo ad esempio, del ghetto di Varsavia, io mostro ai ragazzi le circa 50 cartoline e lettere che i coniugi Szlezynger inviarono da quel ghetto a Sassari, dove vivevano la loro figlia Magda e il cognato Franco Ottolenghi, e restano meravigliati! Si rendono conto di come la Shoah ha “toccato” anche questa nostra terra, e si crea quella vicinanza e inter-azione che è alla base per coinvolgerli in questi temi. Proprio la mia ricerca sulla storia locale mi ha portato all’onore di poter venire invitato da Marcello Pezzetti, curatore di quasi tutte le mostre esposte nella sede espositiva della Casina dei Vallati della Fondazione Museo della Shoah, a collaborare ad alcune mostre, soprattutto quelle organizzare in occasione degli 80 anni dalla promulgazione delle leggi antiebraiche del regime fascista, nelle quali sono stato tra coloro che hanno aiutato a rintracciare documenti li esposti relativi alla mia isola.
Ringraziandola per questa intervista, volevo ricordare che lei sta per pubblicare un libro proprio relativo alla ricerca storica che lei manda avanti da una decina d’anni sulle vicende degli ebrei sardi negli anni della Shoah…
Esatto, un libro molto importante per me, una ricerca da me iniziata nel 2012 come tesi di laurea triennale in scienze giuridiche e poi proseguita e tuttora addirittura ancora in corso nonostante il libro sia già stato consegnato. Vi saranno quindi sicuramente anche altre edizioni in futuro. Sono tantissime le novità che stanno anche in queste ultime ore venendo alla luce con questo mio lavoro. Ad esempio: l’altro giorno ho intervistato Laura Maxia, dottoressa di Cagliari nata nel 1936 da Liana Aufrichtig, ebrea originaria di Trieste e nipote del famoso Ingegnere Eugenio Geiringer di Trieste, e questo incontro è stato accompagnato anche da un risvolto positivo che voglio condividere : la signora Maxia, grazie infatti a un contatto tra me e un suo cugino di secondo grado di Firenze di nome Dario Bartolini che finora non aveva mai conosciuto, ha avuto la possibilità di vedere per la prima volta l’albero genealogico della famiglia della madre e della nonna Geiringer, finora a lei sconosciuto, ma d’altra parte anche questo parente della Maxia, che non sapeva di avere un ramo parentale in Sardegna, ha potuto completare questo albero genealogico inserendo, grazie al lavoro compiuto da me rintracciando la figlia di Liana, il ramo relativo a Augusta Geiringer, ultimogenita di Eugenio e mamma di Liana Aufrichtig.
Questo lavoro quindi di ricostruzione delle vicende familiari relative alle persecuzioni antiebraiche in Sardegna sotto il fascismo, riserva ancora oggi molti risvolti finora ignoti, e si è rivelato in questo caso anche un aiuto per una famiglia nel ricostruire il proprio passato. Ecco, questo aver fatto si che una persona ritrovasse e ricostruisse la storia della propria famiglia, è qualcosa che mi resterà per sempre nel cuore, perché sento che questa è l’eredità che rimane in questo enorme lavoro.
Ho in programma, dopo questo, un altro libro: una vera e propria enciclopedia di tutta la cinematografia della Shoah (l’altro grande filone sul quale mi sono e mi sto tuttora specializzando) che includerà le schede di tutti documentari e di tutti i prodotti di fiction inerenti la Shoah e l’universo concentrazionario nazista