Detenzioni, brutalità e tortura sono comuni negli Stati Uniti. Gli attivisti sostengono che ciò sia dovuto alla guerra sempre più aperta contro chi è discriminato per motivi di razza, contro i poveri e contro i lavoratori.
Le leggi e le agenzie governative create per proteggere il popolo degli Stati Uniti sono sempre più spesso strumentalizzate come vere e proprie armi contro chi si trova ai margini della società: le persone di colore, i poveri e la classe operaia. Solo negli ultimi mesi, si sono verificati molti casi di abuso violento del potere.
Il 28 luglio lo stato dell’Alabama ha compiuto un’esecuzione “sommaria” su Joe Nathan James Jr. che i giornalisti ritengono sia stato oggetto per ore di negligenza medica analoga a “tortura” prima di morire. Il 12 agosto attorno a mezzanotte, un poliziotto ha minacciato di morte una donna nera incinta durante un controllo stradale in Florida. Il 18 agosto, il Governatore di estrema destra della Florida, Ron DeSantis, ha annunciato che 20 persone ex-carcerate sarebbero state arrestate per il crimine di aver votato, dato che negli Stati Uniti il diritto di voto è severamente limitato per le decine di milioni di ex-carcerati. La stessa settimana, il 21 agosto, tre poliziotti sono stati ripresi in video mentre picchiavano brutalmente un senza tetto in Arkansas.
«Ci troviamo in una condizione di guerra genocida» ha dichiarato Jalil Muntaqim, ex-prigioniero politico, alla testata “Peoples Dispatch”. Muntaqim è stato un combattente della Liberazione dei Neri (e lo è ancora) che ha trascorso 49 anni in prigione; gli attivisti sostengono che sia stato incarcerato a causa del suo operato politico come membro del partito delle Pantere Nere e del Fronte di Liberazione dei Neri. Oltre all’etichetta di prigioniero politico, Muntaqim si attribuisce anche quella di prigioniero di guerra.
L’idea condivisa da molti che gli Stati Uniti siano in guerra con buona parte della sua popolazione, non è marginale. “Diamo fine alla guerra contro i Neri” è una piattaforma programmatica del Movement for Black Lives, un’organizzazione prevalente all’interno del movimento Black Lives Matter. «Fermiamo la guerra sull’America nera» è stato uno slogan ripreso in molte proteste contro la violenza della polizia, dall’uccisione di Michael Brown nel 2014 all’omicidio di Amir Locke nel 2022.
Considerando solo i mesi scorsi, ci sono prove sufficienti per sostenere l’opinione che gli Stati Uniti sono in guerra contro il proprio popolo.
Chi controlla la Polizia?
Secondo il progetto di raccolta dati Mapping Police Violence (Mappare la violenza della polizia, ndt), nel 2021 la polizia ha ucciso almeno 1.140 persone negli Stati Uniti, ovvero tre persone al giorno in media. Ogni poche settimane c’è un omicidio della polizia che scatena lo sdegno delle masse, come l’uccisione di Jayland Walker, sul cui corpo sono state trovate più di 60 ferite da arma da fuoco; oppure Amir Locke, ucciso pochi secondi dopo il suo risveglio; oppure il quindicenne Brett Rosenau, bruciato vivo durante l’improvvisa irruzione di una squadra della SWAT.
Due casi di violenza della polizia hanno suscitato particolare sdegno di recente. In Florida, il 12 agosto, il poliziotto Jason DeSue era in servizio in auto quando ha indicato di fermarsi per eccesso di velocità a Ebony Washington, una donna nera incinta di quattro mesi che era alla guida con i suoi tre figli. Anziché accostare immediatamente, Washington ha aspettato di arrivare in una zona ben illuminata. «Era buio [ed ero] con i miei figli. Mi sentivo insicura. Non volevo trovarmi senza nessuno intorno», ha poi dichiarato in un’intervista.
DeSue ha reagito in modo drastico alla decisione della Washington. Le riprese della videocamera corporale di ordinanza mostrano DeSue che intima alla donna con un altoparlante: «Accosta l’automobile o ti asfalto». Quando Washington ha finalmente accostato, DeSue ha tirato fuori la pistola e l’ha brutalmente ammanettata nonostante la gravidanza. DeSue l’ha poi rilasciata con una multa per eccesso di velocità.
Nino Brown, un attivista di lunga data contro la violenza della polizia e un combattente per la libertà dei prigionieri politici, ha dichiarato: «Il fatto che questo poliziotto si sia avvicinato [alla signora Washington] ad armi spianate ci fa capire benissimo il modo in cui la polizia tratta gli afro-americani in questo Paese: la polizia opera come una specie di Gestapo nelle nostre comunità – prima sparano e mai una volta che chiedano chiarimenti».
È diventato virale un video ripreso il 21 agosto, di tre poliziotti dell’Arkansas che picchiano violentemente Randall Worcester. Nonostante sia lui la vittima di un attacco brutale, è stato Worcester a ricevere accuse di «aggressione aggravata, resistenza all’arresto, disobbedienza, possesso di uno strumento atto al crimine, violazione di domicilio, atti vandalici, minacce terroristiche e oltraggio fisico»: questa la versione del “KARK”.
DeSue ha dato le dimissioni dopo lo sdegno suscitato per aver brandito una pistola contro Washington, e i tre poliziotti (Thell Riddle, Levi White e Zack King) dell’Arkansas sono stati sospesi. Questo è il massimo dell’assunzione di responsabilità a tutt’oggi, anche se alcune persone esigono una denuncia per accuse penali contro i tre.
Il fatto che questi tre poliziotti abbiano ricevuto delle punizioni è probabilmente collegato all’esistenza di prove video, che nei casi passati di violenza della polizia (come per l’omicidio di George Floyd) hanno generato un’indignazione tale da portare a una presa di responsabilità della polizia. Senza prove video la polizia spesso detta la narrazione dei fatti, edulcorando la brutalità con termini neutri quali “sparatoria con il coinvolgimento di poliziotti” anziché “uccisione da parte della polizia”. Prima che il video dell’omicidio di Floyd fosse reso pubblico, il comunicato stampa del 26 maggio 2020 del Dipartimento di Polizia di Minneapolis diceva: «Uomo deceduto a seguito di un incidente medico durante un’interazione con la polizia».
Persecuzione dei carcerati fino alla tomba
Esiste un sistema di giustizia indifendibile con due pesi e due misure per i poliziotti che agiscono con impunità legalizzata, e per coloro che solo in apparenza vengono protetti dalle forze di polizia. Anche se la polizia raramente affronta accuse penali per violenze, lo Stato punisce senza pietà le persone che vengono condannate per un reato, molte delle quali vengono discriminate per la loro razza e sono affette da grave povertà.
Questa è la situazione dei carcerati in attesa della pena di morte, che viene applicata negli Stati Uniti più comunemente per mezzo di un’iniezione letale. Sebbene questo metodo sembri il più umano, ci sono prove sempre maggiori di come sia una procedura straziante. Poiché la pena capitale è sempre più sotto scrutinio, le grandi case farmaceutiche come Pfizer stanno vietando l’uso dei loro farmaci per le iniezioni letali. Di conseguenza, alcuni Stati come l’Alabama stanno cominciando ad usare sostanze di qualità inferiore, per esempio il midazolam. Secondo Robert Dunham, direttore esecutivo dell’organizzazione no-profit Death Penalty Information Center (Centro di Informazione sulla Pena di Morte, ndt), «[il midazolam] non è un farmaco adatto alle esecuzioni». Dunham ha dichiarato alla testata “Independent” quanto segue: «Gli studi dimostrano che questa procedura [di iniezione letale] con tre composti è equivalente all’annegamento controllato, al soffocamento e all’essere bruciati con sostanze chimiche».
Lasciando da parte il dolore e la sofferenza causati dai contenuti dell’iniezione letale, i dipartimenti carcerari mettono in atto esecuzioni sommarie. La giornalista Elizabeth Bruenig ha scritto per “Atlantic” sull’esecuzione del condannato Joe Nathan James Jr.; un’autopsia ha rivelato che il dipartimento carcerario dell’Alabama ha impiegato alcune ore per trovare un punto di entrata per l’iniezione letale, in pratica sottoponendo James a tortura. «La mia iniziale impressione di James è stata di un corpo le cui mani e polsi erano cosparsi di punture degli aghi in tutte le articolazioni», ha scritto Bruenig.
Nel frattempo, molti di coloro che hanno scontato la prigione si rendono conto che le loro punizioni autorizzate dallo Stato non sono affatto finite. Questo è il caso di 20 persone, tutte ex-carcerate, che sono state arrestate di recente in Florida per apparente frode elettorale. “NPR” comunque ha scritto che «secondo la documentazione del tribunale, alcuni dei 20 individui avevano detto alle forze dell’ordine che pensavano di avere il diritto di votare». (In Florida il diritto di voto è stato ripristinato di recente a favore dei pregiudicati, ma non per chi ha scontato pene per omicidio o violenze sessuali; quest’ultimo punto è stato citato dal Governatore DeSantis in risposta alle critiche per la recente stretta sulla revoca dei diritti.) Desmond Meade, presidente della Florida Rights Restoration Coalition (Coalizione per il ripristino dei diritti in Florida, ndt), ha dichiarato a “Democracy Now” che gli abitanti della Florida «vengono ora portati via con la forza e in manette dalle loro case, solo perché hanno voluto essere partecipi della democrazia». Il Governatore della Florida Ron DeSantis si è vantato di questi arresti, affermando: «Le azioni di oggi [18 agosto 2022] mandano un messaggio chiaro a coloro che pensano di fare incetta di voti o di votare in modo fraudolento. Se commetti un reato elettorale, sarai perseguito con ogni mezzo previsto dalla legge».
Sistema crudele con due pesi e due misure
Le parole di DeSantis sono eloquenti. I cosiddetti «crimini elettorali» saranno «perseguiti con ogni mezzo previsto dalla legge», anche se non ci sono ancora novità sulle accuse penali contro i poliziotti Jason DeSue, Thell Riddle, Levi White e Zack King per i crimini violenti di minacce e aggressione che hanno commesso. Allo stesso tempo, nonostante le “punizioni crudeli e insolite” siano proibite dall’Ottavo Emendamento della Costituzione statunitense, i carcerati continuano a subire esecuzioni strazianti.
C’è chi sostiene che la tortura, l’esecuzione alla pena di morte, la carceraziome e la brutalità contro chi è discriminato per razza, contro i poveri e la classe operaia, corrispondano a vera e propria guerra. Alcuni, come Muntaqim, stanno lavorando per dichiarare responsabile di genocidio l’intera nazione US, e hanno cercato di mettere in dubbio la legittimità delle leggi e delle agenzie che controllano la popolazione. Muntaqim ha dichiarato: «Per noi neri è importante riconoscere che dobbiamo cercare altri mezzi di sopravvivenza in questa nazione. Altri mezzi di prosperità. Altri mezzi per auto-governarci».
Questo articolo è il frutto di una collaborazione delle testate Peoples Dispatch e Globetrotter.
Traduzione dall’inglese di Mariasole Cailotto. Revisione di Daniela Bezzi
L’autrice: Natalia Marques scrive per Peoples Dispatch, oltre a lavorare come organizzatrice e graphic designer a New York.