Nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 la strage dei 43 normalistas. Lo scorso 20 agosto sono emerse le responsabilità dello Stato e, tra i 64 arrestati (militari, poliziotti e narcos) vi è Jesus Murillo Karam, all’epoca dei fatti il procuratore generale nazionale che si adoperò per insabbiare il caso. Ora i familiari dei desaparecidos esigono che lo Stato chieda all’esercito di rendere pubblico il luogo dove si trovano i loro corpi.
Fue el Estado: fin dal giorno successivo alla notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, i genitori dei 43 studenti della Scuola Normale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa (stato del Guerrero, Messico) uccisi e fatti sparire da poliziotti, militari e narcotrafficanti, incolparono le istituzioni federali, statali e municipali.
Il 20 agosto scorso, dopo otto anni di depistaggi e insabbiamenti, la Commissione per la Verità su Ayotzinapa, promossa e sostenuta dall’attuale presidente Andrés Manuel Lopez Obrador, ha confermato ciò che i familiari dei giovani normalistas desaparecidos avevano sempre sostenuto: è stato un crimine di Stato. Tra i 64 arrestati (militari, poliziotti e narcos) ve ne è uno eccellente, quel Jesus Murillo Karam, all’epoca dei fatti il procuratore generale nazionale, che rilasciò una dichiarazione particolarmente offensiva nei confronti dei genitori dei ragazzi scomparsi: “Mi sono stancato”, disse, facendo capire di non sopportare il clamore mediatico della vicenda e le proteste delle organizzazioni popolari.
Jesus Murillo Karam, tuttavia, riuscì a fare anche di peggio poiché si dette da fare quotidianamente affinché l’indagine sull’omicidio dei normalistas finisse nel dimenticatoio e venisse derubricata ad un episodio di criminalità comune, come ha evidenziato il sottosegretario per i Diritti Umani del presidente Obrador, Alejandro Encinas, dichiarando che la strage di Ayotzinapa è stata “insabbiata ai massimi livelli”
La versione ufficiale diffusa subito dopo quanto accaduto dal governo dell’allora presidente Enrique Peña Nieto fu quella di non essere stati a conoscenza della mattanza, quando in realtà tutti sapevano della partecipazione diretta alla strage da parte delle autorità e della polizia di Iguala, Cocula e Huitzuco, che aiutò il cartello della droga dei Guerreros Unidos per far sparire i corpi dei giovani.
A farci una pessima figura fu anche la Secretaría de la Defensa Nacional (Sedena), che non solo non si adoperò per fermare il massacro, ma non si curò nemmeno di tutelare la sorte di Julio César López Patolzin, infiltrato tra gli studenti della scuola rurale per controllare le loro attività politiche e divenuto uno dei 43 scomparsi.
Peraltro, già lo scorso aprile, il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes (Giei) che indagava sulla strage di Ayotzinapa, aveva sottolineato il coinvolgimento della Marina militare e i tentativi di depistaggio della precedente amministrazione. È stato anche grazie a loro che il caso non è finito nel dimenticatoio.
I fatti del 26 e 27 settembre 2014 per anni sono rimasti impuniti. L’assalto di narcos e polizia agli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, uccidendone sei, ferendone venti e facendone scomparire 43, spinse il giornalista Luis Hernàndez Navarro a scrivere: “Di giorno i criminali lavorano in uniforme e di notte in abiti civili”. Il riferimento alle squadracce congiunte di narcotrafficanti e poliziotti era evidente.
A tentare di imporre la cosiddetta “verità storica” sulla strage furono il presidente Enrique Peña Nieto e i vertici dello Stato di allora, insieme allo stesso Jesus Murillo Karam, che cercarono di far ricadere tutta la colpa esclusivamente sul sindaco della città di Iguala, José Luis Abarca Velázquez, sulla moglie (peraltro realmente coinvolti) e sui narcos, come se lo Stato non avesse alcuna responsabilità.
No queremos que el tiempo pase y los años se acumulen como sucedió con la matanza de Tlatelolco o el Halconazo hanno ripetuto per anni, con coraggio, i familiari dei normalistas desaparecidos. Se l’Informe de la Presidencia de la Comisión para la Verdad y Acceso a la Justicia del Caso Ayotzinapa evidenzia che non esiste alcuna possibilità che gli studenti siano ritrovati in vita, le accuse mosse a Murillo Karam, fino a determinarne l’arresto, sono pesanti e rendono almeno un po’ di giustizia ai genitori dei ragazzi. All’ex procuratore generale nazionale si imputa infatti la sparizione forzata, la tortura, ma soprattutto a seguito delle dichiarazioni del sottosegretario Encinas potrebbe aprirsi anche la possibilità di un processo contro Enrique Peña Nieto.
Nel frattempo, adesso occorre compiere un altro passo significativo, quello di esigere che lo Stato chieda all’esercito di rendere pubblico il luogo dove si trovano i corpi degli scomparsi. Lo chiedono a gran voce a Lopez Obrador non solo i familiari dei normalistas, ma anche i movimenti sociali, il cui scopo è quello di fare pressione sul governo affinché costringa i militari a parlare. Il timore maggiore, infatti, è che il governo si limiti agli arresti dello scorso agosto e che consideri il caso definitivamente chiuso.
Un primo passo sulla strada della verità è stato compiuto, ma il governo obradorista deve avere il coraggio di andare fino in fondo per rendere giustizia ai 43 desaparecidos, ai loro familiari e a tutti quei ragazzi che frequentano le scuole rurali, negli ultimi anni pesantemente sotto attacco.