Dieci giorni di rivolta popolare spontanea nella capitale Teheran, nel Kurdistan iraniano e in molte altre città. Secondo rapporti delle organizzazioni di difesa dei diritti umani le vittime della repressione sono state finora 76 e gli arrestati 1.200. La polizia ha usato idranti e lacrimogeni, ma reparti speciali della forza paramilitare dei Basiji hanno sparato con pistole e mitragliatrici.
Per ridurre al minimo l’azione repressiva, i manifestanti hanno organizzato proteste serali e notturne. Dalle finestre delle case sono stati appesi cartelli con scritto “Morte al dittatore”. La famiglia Amini denuncia di aver ricevuto intimidazioni dalla polizia perché non rilasciasse dichiarazioni alla stampa straniera.
Le comunità iraniane a Parigi e Londra hanno manifestato davanti alle ambasciate e ci sono stati scontri con la polizia, con feriti e arresti. A Berlino, il Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore iraniano per consegnare una protesta contro la repressione del dissenso pacifico dopo la morte in carcere di Mahsa Amini. A Teheran, il Ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdullahian, ha accusato gli Stati Uniti di interferenza negli affari interni: “Attizzano il fuoco delle proteste”. Queste sono le più grandi proteste da quelle del 2019, organizzate contro l’aumento dei prezzi dei carburanti.