Realizzare un’informazione nonviolenta non è facile; è un’aspirazione, un percorso da costruire insieme. Si tratta di “illuminare l’oscurità”. In preparazione dell’incontro del 7 ottobre nell’ambito della Human Week, ne parliamo con Anna Polo di Pressenza.
Proseguiamo la conversazione sulla Nonviolenza avviata nelle scorse settimane con Annabella Coiro, interrogandoci su che cosa significa la nonviolenza nell’ambito dell’informazione.
Esiste un “giornalismo nonviolento”? Come si declinano quei principi, quei valori nella pratica quotidiana di chi ha l’onere e l’onore di informare? Perché, lo sappiamo bene, le parole possono essere più violente dei gesti e soprattutto possono influenzare i comportamenti e le azioni, educare o istigare…
Ne parliamo con Anna Polo, giornalista, anzi, “mediattivista”, come lei ama definire se stessa e i suoi colleghi di Pressenza, l’agenzia stampa internazionale, interamente composta da volontari, che pubblica ogni giorno notizie in nove lingue su pace, nonviolenza, diritti umani, umanesimo, ambiente.
Buongiorno Anna, innanzitutto parlaci di te e di Pressenza. Che cos’è esattamente e da che cosa nasce l’esigenza/l’idea di un’agenzia di questo tipo?
Pressenza è nata nel 2009 come piccolo ufficio stampa con lo scopo di diffondere le attività del Movimento Umanista a Milano. Poco dopo, su suggerimento di Silo, pensatore e scrittore argentino fondatore del Movimento Umanista, si è ampliata ad altre lingue (in quel momento inglese e spagnolo) per documentare gli eventi della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, che ha attraversato il mondo dalla Nuova Zelanda all’Argentina con centinaia di iniziative sul disarmo e la pace, oscurate e taciute dai media mainstream. Finita la marcia, è risultato chiaro che l’esigenza di un’informazione indipendente era più attuale che mai e così Pressenza si è man mano ingrandita, coinvolgendo volontari – fotografi, videomaker, traduttori, giornalisti, editorialisti, autori, ecc – fino ad arrivare attualmente a 24 paesi in tutto il mondo.
C’è un altro elemento che mi preme sottolineare e a cui teniamo molto: siamo un’agenzia stampa umanista e questo significa che per noi l’essere umano è il valore centrale. Non si tratta solo di affermarlo in senso teorico e sociale, ma di prestare molta cura e attenzione anche al modo in cui trattiamo gli altri. Quando diciamo che le persone ci interessano, ci riferiamo a un sincero atteggiamento di calore, curiosità, ascolto ed empatia, che cerchiamo di mettere in pratica nei nostri rapporti con gli altri sia all’interno che all’esterno di Pressenza.
A livello personale, come sei arrivata a questa scelta? Perché hai deciso di impegnarti in un’attività di tipo giornalistico? Che cosa significa per te “fare informazione”?
Ho alle spalle una lunga storia di attivismo, cominciata al liceo nel Movimento Studentesco degli anni Settanta a Milano e poi proseguita con le tante attività a cui mi sono dedicata nell’ambito del Movimento Umanista, con il filo conduttore della nonviolenza. Nel 2012 ho cominciato a partecipare a Pressenza e mi sono subito entusiasmata per lo “spirito” che vi ho trovato: sguardo internazionale, struttura orizzontale, niente capi che ti dicono cosa fare e cosa scrivere e anzi un caldo invito a dedicarsi ai temi che appassionano ognuno in totale libertà. Gli unici “paletti” sono la violenza e la discriminazione, da evitare in tutte le forme.
Nel corso di questi anni mi è diventata sempre più chiara la necessità di un’informazione nonviolenta e indipendente, in un ambiente dominato invece da un linguaggio spesso violento e discriminatorio, da manipolazione, immagini negative, notizie false e interessi forti. Siamo sinceri, realizzare un’informazione nonviolenta non è facile; è un’aspirazione, un percorso da costruire, per fortuna insieme a tanta altra gente e ai tanti media indipendenti con cui stiamo creando in tutto il mondo una rete appunto di mediattivisti.
Che cosa significa esattamente questo termine “mediattivisti”?
Noi facciamo informazione “da dentro”, partecipando a eventi sui temi che ci interessano e spesso anche organizzandoli. Per fare un esempio, se parliamo di una manifestazione è perché ci siamo stati, conosciamo i promotori e vogliamo diffondere le loro iniziative. E se per ragioni di distanza o di tempo non riusciamo a partecipare direttamente, annunciamo gli eventi, intervistiamo gli organizzatori e pubblichiamo i comunicati stampa di associazioni, comitati, reti ecc. In questo modo diamo spazio e voce a chi viene in genere oscurato dai media mainstream ed è escluso dal potere e “suppliamo” al silenzio che salvo rare eccezioni circonda tutte queste esperienze. A livello internazionale, ad esempio, diamo molto spazio alla situazione dei popoli indigeni, alle loro rivendicazioni e lotte e alla repressione che purtroppo spesso subiscono.
La “forma” spesso è anche “sostanza”. Dunque, ora banalizzo, ma per intenderci: puoi farmi “un identikit dell’informazione nonviolenta? Quali sono le “regole” da seguire per quanto riguarda il tono, lo stile, il linguaggio e le immagini?
Partiamo da un concetto semplice, ma fondamentale: noi vogliamo costruire un’informazione che sia l’opposto di quella di molti media mainstream – e specialmente della televisione – che manipolano le notizie, nascondono o distorcono fatti ed esperienze interessanti, preferiscono lo scontro al dialogo e al rispetto per le posizioni degli altri. Suscitano anche paura, insicurezza, impotenza, scoraggiamento e rassegnazione nei cittadini e alimentano la convinzione che non ci sia alternativa a questo sistema violento.
Come ho già detto, non è un compito facile, ma ci siamo dati una “regola” generale che ci aiuta molto nel momento di scegliere che cosa pubblicare: cerchiamo di trovare un equilibrio tra la denuncia e la speranza, dando spazio alla critica, alla denuncia e all’identificazione dei responsabili di situazioni di ingiustizia e violenza, ma anche alle organizzazioni, alle reti e alle persone che stanno già costruendo un mondo nuovo basato sulla solidarietà, il dialogo, la partecipazione, la nonviolenza, la creatività, l’uguaglianza e la riconciliazione.
Una frase che sintetizza bene questa nostra “mission” è: “Illuminare l’oscurità”. Sappiamo che questo è un momento oscuro, pieno di ingiustizie, discriminazioni e violenze, ma senza nasconderci la realtà vogliamo anche dare spazio alle tante luci che lo illuminano, piccole o grandi non importa e magari aiutarle a collegarsi tra di loro. E questo è uno degli aspetti più belli di Pressenza: la possibilità di conoscere persone fantastiche, generose e profonde, che non si scoraggiano davanti a difficoltà, accuse e calunnie, ma vanno avanti perché credono in quello che fanno.
Entrando più nello specifico, ecco quello che secondo noi definisce un’informazione nonviolenta. Sono tutti spunti (senz’altro migliorabili) usciti da un continuo scambio di idee e di esperienze e anche da laboratori organizzati proprio per chiarirci e avanzare nel percorso che ci interessa.
• Usare un linguaggio semplice. Evitare i termini bellicisti. Non parlare di “nemici” o “colpevoli”, ma se mai di “responsabili.”
• Usare immagini nonviolente (meglio utilizzare la foto di una manifestazione per la pace piuttosto che immagini di un conflitto).
• Contestualizzare: serve a capire e a far capire, significa cercare le radici lontane e molteplici di un evento. La semplificazione (pro/contro, buoni/cattivi) è proprio il contrario della comunicazione nonviolenta. Comprendere permette di scegliere.
• Evitare il sensazionalismo: il titolo, per esempio, non deve terrorizzare o scioccare solo per attrarre l’attenzione del lettore.
• Smontare i pregiudizi, fare esercizio di comprensione ed empatia.
• Evitare di alimentare l’ansia, l’impotenza e la paura. Piuttosto cercare di suscitare il dubbio, offrire opportunità per riflettere e interrogarsi e trasmettere speranza e fiducia nella possibilità di cambiamento.
• Evitare la manipolazione, cercare un racconto il più possibile veritiero e onesto della realtà. Argomentare anziché attaccare.
• Utilizzare toni propositivi e positivi, evitare gli insulti, i toni carichi di rabbia, gli attacchi personali o la degradazione.
• Usare l’ironia per smontare posizioni razziste, violente o discriminatorie.